Il Messaggero, 24 settembre 2018
Luca Parmitano: «Il robot Cimon spierà in orbita le mie emozioni»
«Dove le ho messe? Dove le ho messe?» si domanda l’astronauta Luca Parmitano mentre fluttuando setaccia ogni angolo della stazione spaziale internazionale. In quello spazio angusto sembra strano non riuscire più a trovare qualcosa, soprattutto per un veterano come lui 166 giorni in orbita – che sa che il primo posto in cui cercare è il soffitto dove, in quella casa sottosopra che è l’Iss, si radunano oggetti e briciole di cibo.
Il fatto è che Parmitano sta cercando qualcosa che ancora non esiste e che per chissà quanto tempo ancora non sarà definito con linearità: cerca le parole, AstroLuca, per descrivere scenari che fino a oggi hanno lasciato senza parole solo 556 viaggiatori nello spazio come lui; 24 quelli che hanno raggiunto la Luna; 12 coloro che ci hanno lasciato impronte. Come raccontare la prima vista della Terra dall’orbita lunare, come capitò 50 anni fa a William Anders, Apollo 8, che scattò la commovente foto della Terra Crescente (Earthrise) che sorgeva da dietro la Luna? Non era mai accaduto ad alcun uomo.
I CRISTALLI
Come descrivere le nubi nottilucenti della Mesosfera, le prime meraviglie che nel 2013 ammutolirono l’allora novellino dell’Agenzia spaziale europea che dalla cupola dell’Iss restò abbagliato dai riflessi delle formazioni di cristalli di ghiaccio sciabolate dai raggi del Sole mentre sfrecciano a 300km orari a 80 km d’altezza? Uh, che cruccio per noi umani restare interdetti nell’ascoltare quel memorabile «ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser». «Semplicemente dice Parmitano non abbiamo ancora sufficienti forme verbali per descrivere questi scenari. E sono ancora meno le possibilità di esprimere le nostre sensazioni di fronte a ciò che viviamo durante le missioni. In 67 anni (da Gagarin in poi, ndr) non abbiamo ancora sviluppato termini e costrutti verbali adatti alla novità dell’uomo nello spazio. Non è questione di lingue (Parmitano ne parla cinque, ricorda anche National Geographic), ma di pensare in termini di voli spaziali, di vita nelle stazioni in orbita, di conservare le nostre radici di terrestri mentre affrontiamo qualcosa che terrestre non è.
La mancanza di queste introvabili parole non è questione da poco: l’evoluzione del genere umano ha da sempre bisogno del raccontare, della trasmissione di nozioni e sensazioni, dell’educazione: il successo stesso del lavoro di questi primi 556 astronauti e dei prossimi si basa anche sulla condivisione delle esperienze. E poi l’anno prossimo proprio Parmitano (la sua seconda missione sarà presentata giovedì dall’Agenzia spaziale europea a Frascati, ndr) esplorerà altre frontiere linguistico-semantiche: dovrà dialogare con il robot Cimon dell’Esa dotato di intelligenza artificiale. Una palla fluttuante di 5 chilogrammi con viso digitale studiato per riconoscere e dare un significato anche al tono della voce degli astronauti e alle espressioni dei loro volti. Con Al in 2001 Odissea nello spazio non andò benissimo.
«Tranquilli, Cimon non si monterà la testa spiega Parmitano Lui aiuterà noi a fare test ed esperimenti complicati e anche noiosi, mentre noi umani aiuteremo lui a diventare sempre più utile. Pensate a quante cose vanno fatte ad esempio navigando per tanti mesi verso Marte: un aiuto robotico-intelligente sarà essenziale». Una missione nella missione, quella della condivisione delle esperienze, divenuta ancora più pressante con il diffondersi dei social (in cui AstroLuca spacca con 564mila follower) che ci tengono in contatto costante con gli astronauti. Il racconto delle loro gesta ci fa persino rabbrividire, perché Parmitano nel 2013 è stato il primo uomo che nello spazio ha persino rischiato di morire annegato per un guasto alla tuta durante una passeggiata all’esterno dell’Iss: Sono sano come un pesce twittò una volta superato l’enorme pericolo con il suo già sperimentato sangue freddo.
L’ANNEGAMENTO
Ma, insomma, come si racconta un annegamento nello spazio? Potete intanto vedere il docufilm Eva 23 della Nasa che giovedì sarà in prima visione all’Agenzia spaziale italiana a Tor Vergata o leggere Volare, il bestseller di Parmitano ora rieditato. Il catanese, 42 anni, già navigatore (è anche maggiore pilota collaudatore dell’Aeronautica militare) e santo (non si contano le sue onorificenze), più volte si è rammaricato di non essere anche un poeta mentre condivide emozioni con uno scienziato, con un primo ministro, con un pontefice o un presidente della Repubblica o con gli alunni di una scuola elementare. O con la moglie Kathy e le figlie Maia e Sara di 6 e 9 anni.
LA FANTASCIENZA
Parmitano, in realtà, è fenomenale nel cambiare all’impronta registro in base agli interlocutori. È un tipo di buone letture, non solo di fantascienza. Ama Foscolo, perché fin da bambino ha avviato una personale ricerca dell’infinito. Quello è il mio pianeta, così magnifico, così fragile ha scritto alle figlie durante la prima missione. Un mondo senza confini, perché da lassù non si vede alcuna traccia dell’uomo. Il plurimillenario arrabattarsi dell’umanità non ha prodotto sulla Terra un segno visibile dallo spazio nonostante l’Iss viaggi ad appena 400 km di altezza, come da Roma a Bologna. Così agli astronauti tocca anche il compito di discutere di confini che non si vedono, di passare dalla geopolitica alla spaziopolitica. Ecco, manca la parola.