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 2018  settembre 23 Domenica calendario

Troppi libri da pubblicare

L’incubo per chi coordina le pagine culturali di un giornale inizia la mattina presto. O meglio, non finisce mai. Mail, sms, telefonate, imboscate, epistole, ricatti. Le (peraltro meravigliose) colleghe degli uffici stampa propongono i nuovi libri con una tenacia che sarebbe stalking se non ci fosse la letteratura di mezzo. Decine di richieste ogni giorno. Peccato che la maggior parte non abbiano la minima possibilità di essere recensiti. Non perché non siano belli, stimolanti, incuriosenti. Ma semplicemente perché sono troppi.
Per il giornalista culturale il cruccio di scegliere è una fatica sisifesca (Chi butti giù dalla torre, la mamma, il babbo, il figlio, il cane della sorella? Alla fine, esasperato, li sbatti giù tutti). Ma il problema è generale. Intellettuale. Sociale. Industriale. Razionale. Perché in un Paese dove pochi leggono, ancor meno comprano, si stampa così tanto? Quasi 70 mila libri all’anno; circa 190 al giorno; 8 ogni ora. Uno tsunami di carta. Dove tutto si confonde, si perde, si cannibalizza a vicenda. Il lettore barcolla: Baricco, Maggiani, Scurati, Tiziano Scarpa, Lansdale, Bianciardi, le ricette di Benedetta Parodi (sublimi), Kelsen (il giurista), Maugham, Brokken, «Bestiari tardo antichi e medievali» (cito a caso dalla mia scrivania…): dove trova il tempo per sfogliarli tutti e leggerne uno solo? Il turn over delle novità è sì alto che la vita media di un libro si riduce a un amen. Al massimo a un prece funebre. Dato che le librerie hanno spazi fisici limitati il volume nuovo scaccia quello vecchio (e come per la moneta, spesso, il cattivo uccide il buono). A meno che non sia bestseller, in poco tempo imbocca la via dei resi. Torna al mittente, nei bui magazzini, come nella solitudine troppo rumorosa di Hrabal, ad aspettare il macero. Se come dice la statistica la vendita media per titolo è di 160 copie, i polli di Trilussa insegnano che il 90% degli scriventi riesce a piazzare meno di cinque copie (ciò significa che neppure i parenti più stretti, l’amante miciosa, l’ex compagno di banco alle medie, fanno lo sforzo di acquistarlo).
Il forsennato andirivieni di titoli nelle povere librerie che resistono, paradossalmente, favorisce il «diabolico» Amazon, che non ha problemi di magazzino perché fa trading. Con il suo scaffale virtuale – infinito perché virtuale – può offrire qualsiasi avanzo di catalogo più o meno in un giorno. Il lettore occasionale che si reca dal vecchio-saggio-consigliante libraio e ovviamente non trova ciò che cerca, non aspetta («Se vuole glielo ordino»), acquista via computer, convinto che il web sia il futuro e il presente, e magari in libreria, dopo quell’unica esperienza, non torna più.
Quindi, cari editori, perché sfornate così tanti titoli? È bulimia. È dumping contro se stessi. Stampate meno. Dimezzate la produzione. Abbiate il coraggio di scegliere, e non pubblicate più a raffica per imbroccare il bestseller come un cecchino cieco che sventaglia mitragliate a casaccio sperando di centrare il bersaglio. Avrete la gratitudine dei redattori culturali. (Forse) delle vostre ufficie stampa, magnifiche e stremate. Ma soprattutto ridarete qualità a un oggetto fragile e magnifico. In economia, nella vita, nell’amore, succede così: più una cosa è rara, più è pregiata.