Libero, 23 settembre 2018
Ventimila persone in cella ingiustamente
Troppo spesso in Italia il principio della presunzione di innocenza, sancito dall’articolo 27, secondo comma, della Costituzione, che stabilisce che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva», viene convertito nel suo esatto opposto, ossia in quello della presunzione di colpevolezza. Ed è così che migliaia di indagati ed imputati, addirittura ancora prima del giudizio di primo grado, vengono assimilati ai condannati e si ritrovano a scontare una pena detentiva che ancora deve essergli comminata. Anche secondo l’art. 6, secondo comma, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, «ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata». Eppure, stando agli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, al 31 agosto del 2018 nei 190 istituti penitenziari italiani, a fronte di una capienza regolamentare di 50.622 individui, vi sono 59.135 detenuti, 9.901 dei quali in attesa del primo giudizio. Sono invece 9.766 i condannati non ancora definitivi. Quelli passati attraverso i tre gradi di giudizio sono 39.090. La regione con il più elevato numero di persone ristrette e non ancora processate è la Campania (1.425), seguono la Sicilia (1.359), la Lombardia (1.264), il Lazio (1.073). Se anche soltanto ai detenuti in attesa del giudizio di primo grado non venisse applicata la custodia cautelare in carcere, verrebbe risolto il problema del sovraffollamento, che determina l’impossibilità di eseguire sui singoli trattamenti individuali di rieducazione.
CAPIENZA MASSIMA
Infatti, il numero dei carcerati passerebbe da 59.135 a 49.234 individui, quota inferiore alla capienza massima possibile. I benefici sarebbero copiosi: diminuirebbero i suicidi, migliorerebbero le condizioni di vita all’interno degli istituti di pena nonché la salute fisica e psichica dei ristretti, per il personale che vi lavora sarebbe più agevole svolgere il proprio compito e diventerebbe più facile per l’istituzione totalizzante penitenziaria assolvere la sua funzione fondamentale, ossia quella rieducativa, mediante programmi mirati volti a favorire il reinserimento sociale e lavorativo del reo, dal momento che lo scopo del carcere non è imprigionare, ma redimere. Se si considera che ogni anno finiscano nelle nostre celle almeno mille innocenti (1013 nel 2017), quasi tre al giorno, 10mila in un decennio, i dati relativi ai carcerati in attesa di giudizio fanno ancora più impressione. Si tratta di uomini e donne accusati di diversi reati sulla base di prove irrisorie o addirittura inesistenti e per questo rinchiusi. Su di loro peserà per sempre lo stigma di criminali, anche nel momento in cui emergerà e sarà conclamata la loro estraneità ai fatti che gli sono stati contestati. Infatti, perché ciò avvenga, non di rado devono trascorrere molti mesi, addirittura anni, vissuti da presunti colpevoli in un micro-spazio in cui l’individuo viene privato di tutto ciò che gli appartiene, inclusi i rapporti familiari, e disumanizzato, diventando numero, soggetto invisibile, rifiuto sociale. Se la galera è insopportabile da colpevoli, lo è ancora di più da innocenti. Un vero e proprio calvario, che lo Stato, sempre più malvolentieri, è disposto a risarcire con un massimo di 270 euro per ciascun giorno di ingiusta detenzione. Codesti errori hanno già comportato una spesa di circa 700 milioni di euro di soldi pubblici, a cui devono essere sommati i costi giornalieri di mantenimento di ciascun detenuto in attesa di giudizio, che ammontano a circa 158 euro al dì. Il che implica che i 9.901 reclusi che attendono la sentenza di primo grado ci costano 1.564.358 euro al giorno, per un totale di oltre 570 milioni l’anno. Un salasso non indifferente per un Paese che cerca di racimolare quattrini per mantenere le grandiose promesse del governo in carica agli elettori.
INUTILE INFAMIA
Ogni 12 mesi mille vite vengono distrutte nell’indifferenza generale della politica, della società e della magistratura, che spesso abusa della custodia cautelare in carcere, ossia della carcerazione preventiva, nonostante costituisca una misura di ultima istanza. Ecco perché siamo il Paese europeo con il più alto numero di individui messi dietro le sbarre senza processo, esseri umani la cui colpevolezza dunque deve ancora essere provata e oltre ogni ragionevole dubbio. Faceva bene Enzo Tortora a dividere il mondo in due categorie: «Quelli che conoscono sulla pelle l’infamia di una carcerazione preventiva in un regime cosiddetto democratico, protratta all’infinito, protratta per anni; e quelli che non hanno la jattura di conoscerla». Sono questi ultimi a riservarla a cuor leggero a tutti gli altri.