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 2018  settembre 23 Domenica calendario

Centri per l’impiego, flop al Sud

«Qui è come se il mondo si fosse fermato, regna ancora la carta, niente email, Pec, internet sembra bandito nella comunicazione con i cittadini, bisogna venire di persona per qualsiasi pratica, anche la più banale». Incontriamo Andrea (39 anni) fuori dall’affollato centro per l’impiego di Roma Primavalle: «È la terza volta che torno -spiega-, la prima mancavano dei documenti, non sapevo quali presentare e un impiegato infastidito mi ha indicato una bacheca appesa alla parete con le istruzioni». 
Nella rete dei 501 Cpi, la metà ha dotazioni informatiche insufficienti (il 72% nel Sud e nelle Isole), per gli organici c’è un problema quantitativo e qualitativo: molti dei 7.934 dipendenti (contro i 98.739 addetti della Germania, i 74.080 del Regno Unito, i 54mila della Francia e gli 8.945 della Spagna), per effetto del blocco del turn over hanno un’età avanzata, una scarsa dimestichezza con il digitale, sono abituati a svolgere compiti puramente burocratici – complici le scelte dei governi che hanno privilegiato gli investimenti per le politiche passive -, non hanno avuto la formazione necessaria per rispondere alle nuove sfide delle politiche attive. Tuttavia i Cpi funzionanti sono il presuposto per un reddito di cittadinanza che non si risolva in puro assistenzialismo, visto che i centri dovranno proporre offerte di lavoro ai beneficiari del sussidio: è in gioco la condizionalità della misura. In generale prevale un clima di sfiducia (solo il 3,4% ha trovato lavoro con i Cpi), ma non mancano alcune eccellenze, soprattutto nel Centro Nord.  
Alla periferia di Roma, Annamaria (52 anni) è in fila al Cpi di Cinecittà, il più grande centro d’Europa: «Mi sono iscritta a 18 anni – spiega – non ho mai ricevuto una proposta di lavoro, l’ho sempre trovato per altre vie. Quando domandai se verrò chiamata, gli stessi dipendenti sembravano scettici». Il display è rotto, un impiegato chiama le persone in attesa: «È la seconda fila che faccio – dice Valerio (31 anni)- ho dovuto autocertificare la condizione di disoccupato, adesso attendo lo storico della mia situazione». Cinzia Festa, funzionaria del centro, conferma che «circa il 60% del lavoro è per pratiche amministrative, noi vorremmo dedicarci a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro che è la nostra mission. C’è una casella di posta per i consulenti del lavoro e il sito romal@bor pubblica gli avvisi di lavoro, ma tanti preferiscono venire di persona». Per Marco Noccioli, direttore della direzione regionale Lavoro, «circa metà del tempo di lavoro dei Cpi è dedicato a questioni risolvibili con l’informatizzazione spinta, ma non siamo all’anno zero».
Scendendo al Sud, a Mercato San Severino (Sa) è stato aperto uno nuovo Cpi, all’esterno di prima mattina sono in fila una trentina di persone, ciascuno segna il proprio nome in un quadernone per essere chiamato. In prevalenza sono lavoratori stagionali del turismo che, terminata l’estate, chiedono l’attestato di disoccupazione: «Eravamo qui anche ieri», afferma Emanuele (48 anni), che ha accompagnato moglie e figlia «ogni volta bisogna perdere una mezza giornata». Regna la carta, le stanze sono invase da fascicoli, la nuova funzionaria responsabile, Marianna Provenza (interim con Nocera) ha creato una pagina su facebook. I dipendenti hanno computer vecchi di una decina di anni, con problemi di connessione a internet, che non dialogano con le banche dati di Inps e Agenzia delle entrate. 
Più a Sud, il centro regionale per l’impiego di Palermo a giugno è stato teatro di una rivolta degli utenti. Con le sue 12 postazioni al front office è palesemente sottodimensionato rispetto all’utenza: «In media arrivano 200 persone al giorno – dice l’impiegato addetto all’accoglienza -, il numero massimo di persone che si riesce a gestire quando tutto va bene». Il servizio online non c’è: il portale Silav dà informazioni ma l’accesso è riservato agli operatori. Quando funziona: a metà giugno il sistema informatico si è fermato a lungo scatenando la rabbia degli utenti. Per qualsiasi pratica bisogna venire fin qui, a Palermo, anche un cittadino di Ustica che deve semplicemente fare una “dichiarazione di disponibilità al lavoro” e magari, dopo ore di viaggio in nave, non riesce a rientrare tra i 200 fortunati. «Bisogna decentrare o affidare alcuni servizi ai Caf» dice un impiegato. Quanto alla dotazione strumentale degli uffici, l’assessore Mariella Ippolito spiega che «il cablaggio è stato ultimato nelle sedi periferiche, ci sono difficoltà d’accesso della piattaforma regionale al nodo nazionale Anpal». 
A Nord c’è il Cpi di Lecco, considerato da molti una best practice. «Abbiamo 2mila aziende clienti presso cui abbiamo collocato 500 persone, – spiega Roberto Panzeri, dirigente della direzione lavoro e centri per l’impiego della Provincia di Lecco -, la metà dei posti offerti dalle aziende stesse, e nell’ambito di Garanzia giovani il 18% delle attivazioni provinciali arriva da qui». Per l’ufficio del capoluogo e quello di Merate, a cui corrisponde un bacino di quasi 340mila persone, ci sono 26 dipendenti, più 18 risorse esterne a supporto. Da una decina d’anni il centro può contare su risorse economiche aggiuntive per 6-700mila euro all’anno – pari a quanto viene riconosciuto per la collocazione dei disoccupati tramite la dote unica lavoro della Lombardia, Garanzia giovani e fondi europei -, utilizzati ad esempio per l’impiego degli psicologi. Il dialogo con le realtà presenti sul territorio è consolidato, l’unità di crisi attiva dal 2009 ha ricollocato il 40% delle persone prese in carico perché espulse da aziende in difficoltà. 
Al Cpi di Treviso, invece, colpiscono le salette riservate per i colloqui, lo spazio gioco per i bambini che spesso accompagnano i genitori, la libreria con i volumi donati dai negozi della città o dagli stessi utenti. «Il centro per l’impiego è nato nell’ex ospedale psichiatrico da un restauro del 2009 – afferma Diana Melocco, dirigente per l’ambito territoriale Treviso di Veneto Lavoro – con spazi pensati nel rispetto degli utenti». Da gennaio ad agosto 2ha ricevuto oltre 49mila persone, firmato oltre 16 mila patti di servizio, effettuato più di 21mila colloqui individuali. Qui è stato perfezionato negli anni oltre in terzo dei tirocini della regione, circa 6.500 solo nel 2017, oltre la metà finiti in assunzioni. Un fiore all’occhiello è il collocamento dei disabili: «Erano 462 nel 2016, 624 nel 2017 a fine agosto avevamo raggiunto i 498 e puntiamo a chiudere l’anno con 800 inserimenti», spiega Marigia Mansueto, direttrice del centro di Treviso e coordinatrice provinciale. Questo è stato anche un laboratorio di innovazione con iniziative come “futuro a costo zero”, 3.960 neodiplomati e laureati mandati nelle aziende con una borsa lavoro a carico del centro e un premio di mille euro per l’azienda che trasformava il tirocinio in assunzione: 200mila euro stanziati, esauriti in tre minuti.