il Giornale, 23 settembre 2018
La battaglia per oche e pecore. Paté e lana? Senza più torture
Ci sono molte pratiche odiose, per usare un eufemismo, che affliggono gli animali allevati in modo intensivo. Uno dei più noti e più discussi, per la sua crudeltà è il gavage, ovvero l’ingozzamento artificiale di oche e anatre per la produzione del foie gras, alimento che riconosce nella Francia il suo blasone e, per gli animalisti, la sua vergogna. Una miscela di nutrienti grassi e ipercalorici viene introdotta nel corpo di questi animali forzatamente. Il funzionamento del fegato è compromesso, l’animale soffre e non riesce a regolare la temperatura del corpo, sviluppando una malattia chiamata steatosi epatica (fegato infarcito di grasso). Il fegato ipertrofico, che diventerà 10 volte più grande del normale, gli renderà difficile la respirazione e ogni movimento molto doloroso. I sacchi aerei polmonari ne risultano compressi e il baricentro dell’uccello spostato, obbligandolo a ballonzolare più che camminare. A tutt’oggi non c’è protesta che abbia commosso i governi, a parte la Germania dove tale pratica è vietata da 20 anni, e una direttiva europea nella quale se ne raccomanda la cessazione. Ma la richiesta mondiale è più forte delle raccomandazioni e Francia, Spagna e Ungheria continuano a ingozzare anatre e oche con tubi metallici e a fargli quasi scoppiare il fegato.
C’è un’altra pratica, meno nota ma non meno odiosa (sempre eufemismo) che si applica alle pecore da lana di cui l’Australia, la Nuova Zelanda e i paesi della ex Unione Sovietica sono i maggiori produttori. Si chiama mulesing, un processo molto doloroso in cui pezzi di carne vengono scollati dai glutei delle pecore nelle fattorie della lana, per prevenire l’accumulo di umidità e il cosiddetto «colpo di fulmine» (infestazione da larve di mosca) tra le pieghe della pelle. Non solo gli animalisti, ma la gente comune ha cominciato a protestare e i legislatori neozelandesi non hanno soltanto ascoltato, ma hanno agito. Così, la procedura è stata finalmente messa al bando in Nuova Zelanda e il divieto entrerà in vigore il 1 ottobre 2018.
In realtà le proteste sono iniziate in Svezia e sono state talmente veementi che oggi molti produttori di filati, tessuti e abbigliamento rendono pubblico che le loro stoffe provengono da allevamenti che non utilizzano questa pratica. Il mulesing avrebbe peraltro numerose alternative tra cui l’adozione di tosature e disinfestazioni localizzate e l’utilizzo di speciali morsetti in plastica che riducono, in modo incruento, la formazione delle pieghe perianali. Gruppi di allevatori inoltre, stanno selezionando varietà di pecora Merino prive di quelle pieghe cutanee che favoriscono l’infestazione da larve.
Essendo la Nuova Zelanda il terzo produttore mondiale di lana, questo è un passo fondamentale nel bandire la mutilazione crudele e straziante. Il divieto, se non osservato, implica una condanna punibile con una multa di 5.000 dollari per un singolo trasgressore e di 25.000 per le società. La nuova legge mette ancora più pressione sull’Australia, il più grande produttore di lana del mondo, a seguire l’esempio specie perché, in precedenza, aveva promesso di porre fine alla pratica più di 10 anni fa ma forse se ne è dimenticata.
John Colley, amministratore delegato dell’Australian Wool Network (AWN), afferma alla stampa: «Riteniamo imperativo che gli allevatori comprendano ciò che oggi chiede il mercato. I marchi di lana senza mulesing crescono ogni giorno di più e, alla fine, i consumatori, hanno sempre ragione». E si rivolge anche a noi.