Robinson, 23 settembre 2018
Rod Steward: «Non solo calcio’n’roll, ora canto Moby Dick»
Hello my friend. So, what would you like to know?”, “cosa vuoi sapere?”. Beh, moltissime cose dal momento che non capita tutti i giorni di essere invitati a casa di Sir Rod Stewart. Uno che ha venduto più di 100 milioni di dischi ed è al primo posto nel Guinness dei primati per il “free concert” con più spettatori (oltre 4 milioni), senza tralasciare il fatto che tutto ciò è avvenuto perché Rod ha una voce straordinaria e inconfondibile, capace di passare dal rock blues di quando militava nei Faces a brani- culto come Gasoline Alley (1970) e Maggie May (1971) fino alla disco di Da Ya Think I’m Sexy? (1978) tanto per citare solo alcuni dei successi stratosferici. E siccome è anche un tipo molto simpatico, nemmeno la vituperata e classica in quegli anni “svolta disco” è servita ad alienargli più di tanto un pubblico a quei tempi molto attento a chi si “vendeva” alle sirene del mercato. Il cielo è grigio, solcato da nuvole che non promettono bene. Una tipica giornata inglese. Siamo fermi davanti a un cancello nero in ferro battuto. All’entrata nessun nome, solo una scritta: Durrington House. Aspettiamo qualche minuto con la macchina a noleggio, che è l’unico mezzo per arrivare in questo “middle of nowhere”, come l’ha definito l’autista di Uber, un po’ preoccupato di non trovare nessuno, fino a quando non arriva un ragazzo a cui chiediamo informazioni. È un giornalista svedese, intrappolato nella villa, che non riesce ad uscire. Finalmente qualcuno risponde al citofono e apre la porta. Il nostro nuovo amico è libero. E noi entriamo. Prima di arrivare all’imponente corpo centrale della residenza ci viene fatto segno che la nostra destinazione si trova sulla sinistra. È una costruzione bassa, bianca con una porta celeste. Sopra la porta una targa verde che reca la scritta: “Sir Rod Stewart for Celtic”. Una ragazza fa segno di entrare. Pagine di giornale incorniciate alle pareti. Il Daily Recordrecita: “The night we won back our pride: England 0 – Scotland 1”, “La notte in cui ci riprendemmo il nostro orgoglio”. Un altro che, immaginiamo, racconta una orgogliosa sconfitta: “They died with their boots on”, “Sono morti con gli stivali ai piedi”. E, infine, Sports Record: “England – Scotland: it’s over”, “Inghilterra-Scozia. È finita”. Dal ritaglio non si capisce bene per chi, ma essendo a casa di Rod immaginiamo che sia stata ancora una volta la Scozia a trionfare. Tutto infatti è Scozia qui. Persino la bottiglietta d’acqua la cui etichetta recita: “Highland Spring, pura acqua di sorgente delle Ochil Hills” di cui “ogni goccia viene da una terra incontaminata”.
Poco dopo un Rod Stewart in forma smagliante arriva mangiando una mela. I capelli, a cui da sempre dedica, per sua stessa ammissione, una cura maniacale, tengono alla grande e hanno esattamente la forma e il colore che tutti conosciamo: un biondo solo un po’ più spento rispetto al rifulgente platino del periodo di Blondes Have More Fun.
Indossa un’elegante giacca di tweed a quadretti leggera e una camicia bianca finemente ricamata le cui maniche fuoriescono ( un vezzo da sempre). Inoltre dalla camicia, generosamente aperta sul petto, fa bella mostra una collana che sembra fatta di diamanti ( e visto il suo patrimonio niente è più probabile) con una scintillante scritta “Celtic”. Completano la mise pantaloni stracciati sul ginocchio color panna, cintura e scarpe beige. L’orecchino è rimasto come da sempre all’orecchio sinistro. Ci trasferiamo nello spazio adiacente. Il buon vecchio Rod si siede, anzi si adagia con grazia tutta sua su una poltrona: “Allora amico, che cosa vuoi sapere?”. Rieccoci al punto d’inizio. Visto che è appena stato in Italia con la moglie Penny Lancaster, dove ha incontrato il Papa, la domanda è ineludibile. «Mi piace Roma. Sì. Mi piace l’Italia. Io e Peggy ci siamo sposati in Italia. Abbiamo incontrato il Papa, ma sa, io non sono cattolico...». Però so che prega... «Certo, ogni tanto prego. Per esempio adesso prego che il Celtic vinca questa sera. Stiamo giocando nell’Europa League! Aaah, football: cosa faremmo senza football. Lei è tifoso?». A questo punto mi guardo intorno e capisco che ci troviamo nel cuore del mondo di Rod: dal soffitto pendono sciarpe e gagliardetti del Celtic, sulle pareti foto autografate e con dedica dei campioni del Celtic, sui davanzali delle finestre e sugli scaffali coppe, palloni del “Celtic Football Club” e cappellini della “Scottish Football Association”. Inoltre in fondo all’enorme sala c’è una vera e propria palestra con attrezzi di vario tipo e alla nostra sinistra un biliardo coperto da un telo (indovinate un po’?...) del Celtic con due enormi quadrifogli. Non manca nemmeno un perfetto bar ( come potrebbe?) in una stanza attigua e poi, dietro, spogliatoi, docce e... un campo regolare da football. Evidentemente ho esitato un po’ troppo a rispondere e così Rod lo fa per me: «Ho capito. Non è un tifoso, vero?». Provo a dire che la mia famiglia tiene da sempre all’Inter ma a Rod non la si fa: «Hanno giocato l’altra sera, no? Contro chi?». Poi ha pietà di me: «Contro il Tottenham. Hanno vinto 2 a 1. Niente male. Ok, parliamo di musica».
C’è stato un periodo in cui Rod faceva fatica a scrivere pezzi e invece, inaspettatamente... «Le cose sono diventate più facili negli ultimi cinque o sei anni. Principalmente per come si registrano i dischi oggi. Non è più come un tempo, quando ti chiudevi in uno studio e per cinque o sei mesi non vedevi più la luce del sole. Adesso si fa tutto con un laptop che ti puoi portare ovunque, così riesci a catturare le cose nella maniera più immediata». Magari tra un bagno sullo yacht e una cena a Portofino dove Rod e Penny si sono sposati nel 2007. «Qualche anno fa ci mettevi cinque ore per avere un buon suono di batteria “boom, boom, boom”, adesso invece ci lavori un po’ al computer ed è fatta.
Il che rende tutto più facile: continui la tua vita, vedi i figli, gli amici». Certo, però forse così non c’è più quel “social drinking” per cui Rod e i suoi compari erano famosi quando svaligiavano il bar dello studio di registrazione… «Oh, no amico, certo che c’è! Alla fine del disco si festeggia sempre alla grande. E comunque credo che ci sarà un bel po’ di social drinking questa sera a Glasgow». Glasgow? «Certo, tra poco prendo l’aereo e volo a vedermi il big match. A proposito», guarda fuori dalla finestra, «c’è un vento fottuto che soffia là fuori. E se c’è troppo vento è un bel guaio: “Ooh ooh pltt” (mima un aereo traballante con le braccia)». Una volta, dopo essersi infilato al volo sul suo aereo privato alla fine di un concerto, Rod ha rischiato di morire. «Sì, sì, è stato quando quel maledetto uccello si è infilato in un motore che si è fermato. Per fortuna c’era l’altro».
A proposito di Scozia e della vicina Irlanda, nel nuovo disco Blood Red Roses c’è un brano, Grace, che parla della ribellione contro gli inglesi del 1916. «L’ho sentito per la prima volta cantare dai tifosi durante la finale della Scottish Cup: è la più bella canzone d’amore mai scritta. L’adoro. È il mio pezzo favorito dell’album». Che, come dicevamo, si intitola “Rose rosso sangue”: un po’ drammatico... «Lo è: parla di caccia alla balena. In America nel 1800 ne usavano l’olio per le lampade. Quando le arpionavano si diceva che il sangue che usciva avesse la forma di una rosa. Mi ha influenzato Moby Dick ». Il capolavoro di Herman Melville, il “libro malvagio”, lo scontro definitivo tra la forza dell’uomo e quella della natura. «L’ho letto quando ero piccolo». A questo punto succede una cosa strana. Rod si mette a cantare: «Oh Moby Dick he was all biz slick, there never was a whale. He could sink a ship with one just flick of his mighty, mighty tale. Yo ho, Yo ho, a whaling we will go». «È la canzone di Moby Dick!», dice. Beh, chi altri oggi potrebbe fare una canzone sulle balene se non Rod Stewart? A 73 anni, quattro mogli e otto figli, non si può dire che non abbia vissuto intensamente. Ma com’è oggi una sua giornata? «Mi sveglio alle 7,15. Preparare i bambini per la scuola è una battaglia perché non si tratta solo di mettergli i vestiti e aiutarli ad annodare la cravatta. Il problema sono i capelli! I maledetti capelli! Il più piccolo ha solo sette anni e si mette la brillantina!». Già: i capelli sono un bel problema. Chissà da chi avranno preso questa mania i figli di Rod... Ah, per chi se lo fosse chiesto il Celtic ha poi vinto contro il Rosenborg: 1 a 0. Robinson porta fortuna: chissà che Rod non ci inviti ancora a fare un giro a casa sua.