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 2018  settembre 23 Domenica calendario

Intervista a Zucchero

Verrà annunciato martedì, nel giorno del suo 63esimo compleanno: Zucchero è il nuovo vincitore del Premio Tenco, il riconoscimento annuale che dal 1974 va a un artista che ha segnato la storia della canzone d’autore.«È un grande piacere per me - dice - e un onore. Vale come riconoscimento ai miei testi. Ho cominciato a scriverli per ribellione, per inc… varie. Credo di essere cresciuto».
Nasce musicista, e forse non proprio amante dei cantautori italiani?
«In Italia abbiamo avuto autori di testi di livello mondiale: De André, Guccini, De Gregori. Poeti. Ma musicalmente non mi hanno mai preso. Erano influenzati dai francesi, un po’ da Dylan, accordi in minore, ritmi blandi… A me piacevano il beat, il rhythm and blues». 
Non l’hanno influenzata neanche nei testi?
«I testi li scrivo spesso partendo da un inglese maccheronico, che sostituisco con un italiano che gli somigli nei suoni e che conservi lo swing dell’inglese. Poi, soprattutto nelle ballate, cerco di metterci un po’ di poesia. Ogni tanto ci riesco».
Com’è arrivato alla sua sintesi?
«Ho cercato di mettere insieme il groove e l’italianità. Nei mie pezzi c’è sempre un’apertura che viene dalla canzone napoletana, da Verdi e da Puccini. È la mia peculiarità. Dopo aver registrato Dune mosse con Miles Davis, a cena mi disse: devi cantare sempre in italiano. Aveva ragione».
Con quale musica è cresciuto?
«Per me Radio Lussemburgo era oro colato. La canzone italiana allora era melodica, da Volare a Morandi, avevo poco a che fare con il rock’n’roll, tranne un po’ Celentano. Io seguivo i Beatles, i Rolling Stones, Sam & Dave, Aretha Franklin, Otis Redding. E Battisti, che era diverso». 
Cita Aretha Franklin: aveva in mente lei quando ha scritto «Rispetto»?
«Onestamente no. Rispetto è venuta da dentro. Andava tutto male, la casa discografica non credeva in me, gli autori scrivevano canzoni che non mi piacevano, avevo problemi con mia moglie. Mi è venuta fuori come una bestemmia. Possibile che io sia così alla mercé di tutti?». 
Bisogna stare male per scrivere belle canzoni?
«Quando ho avuto successo, intorno all’87, la mia vita professionale andava al massimo, la vita privata all’inferno. Tra Blues e Oro incenso e birra ho tirato fuori tutta la mia sofferenza personale. Overdose d’amore, Senza una donna, Non ti sopporto più, Wonderful World… È più facile. Andavo al mare, litigavo, tornavo a casa, entravo in studio e urlavo: “Non ti sopporto più…”».
La felicità non ispira?
«Rischi di sembrare san Francesco che predica agli uccellini. Se stai bene, manca il fuoco, diventi noioso. Ma io sono molto bravo a procurarmi gli stress anche quando va tutto bene».
Le sue infinite e prestigiose collaborazioni sono anche ricerca di stress?
«Gli americani la chiamano challenge, sfida. È necessaria. Bisogna cambiare sempre. Oro incenso e birra è ancora - credo - il disco più venduto in Italia. Rock blues. E io dopo ho fatto Miserere con Pavarotti».
Qual è la collaborazione che le ha dato di più?
«La persona a cui devo essere più riconoscente è Eric Clapton. Era in vacanza con la sua ragazza di allora, Lory Del Santo, è venuto a sentirmi ad Agrigento per far contenta lei. A sorpresa me li ritrovo in camerino, lui mi dice che gli ero piaciuto e mi chiede di aprire il suo tour europeo. Per me fu una svolta. Poi mi ha influenzato Guccini, per i temi delle sue canzoni, per un fatto di radici. Musicalmente sono cresciuto con i Genesis e con Peter Gabriel, poi Ray Charles, Luciano Pavarotti, Elton John, Sting mi hanno dato molto e spero anch’io qualcosa a loro». 
E adesso che succede?
«Who knows! Dopo aver girato il mondo, 166 concerti, mi fermo anche se ripartirei subito. Dovrei scrivere un nuovo album ma per il momento non ne ho voglia. È cambiato così repentinamente il gusto del mondo».
In che senso?
«Quando ho fatto Miserere l’ho presentato con i pantaloni a zampa d’elefante, la tuba, gli occhialini rotondi. Nei giorni seguenti ho ricevuto i fax - allora si usava così - di Armani e di Versace, che dicevano: grazie di aver anticipato la nostra prossima collezione. Sentivo quel vento di ritorno, e non ero l’unico. Adesso non sento niente. Sto al balcone, ma non c’è nulla». 
È tutto una scusa per andare in tour, confessi.
«Il viaggio e il concerto sono fondamentali. Quando fai un album, sei felice se viene come volevi, ma mentre lo fai vivi male, per sei mesi sei fuori da tutto. I concerti invece sono divertimento puro».
Non le ho fatto neppure una domanda sulla politica.
«Meglio così. Quando ne parlo sono capace di passare dalla ragione al torto in una frazione di secondo». 
Brani politici ne ha fatti?
«Come no! Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’azione cattolica, ricorda? Ultimamente Partigiano reggiano, che velatamente lo era, con ironia. Però lo ammetto, non è un soggetto che mi ispira».