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 2018  settembre 23 Domenica calendario

Tutti in coda da Starbucks

Caro Aldo,
10 giorni dopo l’apertura dello Starbucks di Milano, vi sono ancora code di chi desidera entrare a bere un caffè. L’Associazione consumatori Codacons aveva protestato per il caffè a 1,80 euro. Evidentemente il prezzo non spaventa i consumatori, che sono adulti e sanno come spendere i loro soldi, senza la custodia tutelare del Codacons, una delle associazioni più petulanti e inutili. La miglior difesa dei consumatori è la concorrenza e poter scegliere liberamente tra diverse offerte. Franco Novelli

Caro Franco,
i consumatori hanno molto bisogno di tutele, quindi non condivido il suo giudizio liquidatorio sul Codacons; anche se credo che nel caso specifico il Codacons sbagli. Il prezzo lo fa il mercato. E quando una multinazionale investe in Italia, è sempre una buona notizia. Noi italiani siamo il popolo più esterofilo del mondo; quindi le code continueranno. Anche se stavolta, per ammissione dello stesso capo di Starbucks, sono stati gli stranieri a copiare noi.Da qualche mese gira in Rete una versione storpiata e ridicolizzata di quel che scrissi in questa pagina, quando arrivò la notizia dello sbarco di Starbucks nel cuore di Milano. Qualcuno mi dà del razzista per aver posto la questione: quanti posti di lavoro andranno a giovani italiani e quanti a giovani stranieri? (Onestamente, un popolo che non si pone questa domanda mi pare votato all’autodistruzione). Qualcuno ha scritto che «il caffè italiano non esiste». Ovviamente il caffè non si coltiva in Italia; ma è stato il nostro Paese a farne un’arte. L’espresso l’abbiamo inventato noi, un certo modo di intendere il bar anche. Non a caso l’idea di Starbucks è stata appunto concepita in Italia. E nei negozi della catena in tutto il mondo il menu è scritto in italiano: il caffè è espresso e macchiato, ci sono il cappuccino, il frappé e pure il frappuccino; è il caso più clamoroso di italian sounding, di prodotti che suonano italiani ma non lo sono. In America il caffè in vendita da Starbucks nei pacchetti si chiama «caffè Verona»; sull’etichetta però è scritto in piccolo «made in Seattle». Nel frattempo la Nestlé si arricchisce con il «Nespresso». Siamo sicuri che non ci sia nulla di cui preoccuparsi? O crediamo davvero che camperemo tutti con il reddito di cittadinanza?