La Stampa, 22 settembre 2018
Intervista a Madalina Ghenea
L’ironia che lascia esplodere appena può, porta Madalina Diana Ghenea, nata a Slatina in Romania l’8 agosto del 1988, a giocare con la propria bellezza, dunque a renderla tutt’altro che algida. Ricorda con affetto misto a nostalgia i sui primi passi in Italia. Il debutto all’«Ischia Global Fest» a pochi mesi dal suo arrivo, quando era una modella sconosciuta. Ripartì con il primo contratto in tasca.
Com’è andata?
«Devo tutto al patron Pascal Vicedomini che mi vide e capì le mie potenzialità. Mi presentò registi e produttori, il resto è il mio sogno realizzato. Ero una modella per 3, telefonia mobile. A Ischia c’era anche Pietro Valsecchi».
Fu lui a scoprirla?
«No, la figlia Virginia. Mi disse che sarei stata perfetta per un loro film, io non volevo, facevo altro. Acconsentii a un appuntamento a Milano con Mandelli e Bigio solo per cortesia. Invece girai I soliti idioti dove impersonavo una zoppa. Anni dopo, ai provini con Sorrentino per Youth, lui mi disse che nella prima stesura della sceneggiatura, Jane Fonda da giovane doveva essere zoppa».
Bisognerebbe credere nelle coincidenze significanti come si dice in psicoanalisi?
«E io ci credo. Il mio coach l’ho conosciuto a Ischia, ogni incontro è una palestra che sedimenta e ti resta dentro».
Anche il calendario dell’hair stylist Aldo Coppola è un passo?
«Avevo 15 anni e non sapevo sarebbe stata la sua ultima campagna. Questo mi rende triste e felice al tempo stesso. Soprattutto grata per la possibilità di lavorare con lui, una bellissima persona».
Un percorso professionale bizzarro il suo, che l’ha portata fuori dalla Romania e oggi la riporta alla stazione di partenza.
«Quando ritrovi le tue radici significa che il percorso si è compiuto. Ho appena finito di girare un film a casa, nel mio Paese e ne sono soddisfatta. Tutto il casting è romeno, Dorian Boguta mi ha offerto questo ruolo molto difficile. È la storia di un artista che sparisce, io sono la fidanzata e dunque possibile sospetta. Un noir introspettivo, silenzioso. Emozioni e sospiri. Si chiama L’Orma dai tanti significati, lui avrebbe voluto lasciare la sua orma nella vita degli altri. Un desiderio che sottende e che esploderà in mille modi».
E poi?
«Un ritorno che mi piace. Porterò un film americano alla Festa del Cinema di Roma, dove andai per la prima volta con Alessandro Gassmann e la sua opera prima, Razza bastarda. Lì avevo un piccolissimo ruolo e qui sono protagonista con Darren Criss, l’attore che impersonava l’assassino di Gianni Versace nel film dedicato allo stilista. Abbiamo girato in Trentino, il regista è Barry Morrow, lo sceneggiatore di Rain Man. Il titolo ancora non c’è e la storia parla d’amore. Si tratta di una commedia surreale incentrata sull’assunto che tutti ci meritiamo un pezzo di gioia. Criss è un attore bravissimo. Tra noi, che dovevamo essere presi l’uno dell’altra, mancava la chimica. Se lo vedi sullo schermo sembra innamorato perso».
Soddisfatta del suo pezzo di gioia?
«Sì. Mi rende allegra di tutto. Vivevo di solo set e oggi ci metto accanto gli affetti così anche quella passione prende una profondità diversa. Ho una figlia e sono innamorata. Quell’uomo mi ha fatto l’incantesimo. Avevo preso casa e manager a Los Angeles, il momento del cambiamento, ero elettrizzata, stavo lasciando un posto sicuro come l’Italia e andavo a Hollywood in una situazione molto competitiva. Poi ho conosciuto lui che vive in Romania e ho lasciato ogni cosa, sono tornata all’inizio, ho ripreso casa anche a Milano e da settembre sarò lì. Tutto improvviso, tutto subito».
Pare che lei sia fatta così, poche chiacchiere e va dove ti porta l’istinto. In questo caso, proprio il cuore.
«Sono le scelte migliori».
Come quella che l’ha tuffata al Festival di Sanremo nel 2016?
«Non ci potevo credere, un’emozione che ti taglia le gambe. Con Carlo Conti e con Gabriel Garko abbiamo cercato di gestire quest’onda incredibile. Mi dispiace solo di non essermi goduta la bellezza dell’esperienza. E a fine agosto ho condotto il Festival di Sanremo romeno».
Bel salto per una ragazza arrivata a Roma per fare la modella. No?
«Avevo 14 anni, ho cominciato con Gattinoni e con Sarli, c’era Donna sotto le stelle a piazza di Spagna. Erano i primissimi tempi di Facebook, io ero in un’agenzia di modelle che faceva l’indispensabile. Allora mi sono creata una immagine, volevo fare pubblicità e postavo qualsiasi cosa facessi. Lo spot telefonico per 3 è uscito grazie ai social. A volte ero imbarazzata, alcuni marchi volevano vestire me e non attrici molto più famose. Forse perché su Instagram ho 650 mila follower».
I social per lavorare di più?
«Con il cinema non fai tanti soldi, con i contratti invece sì e un brand non ti prende se non hai un account. Una volta avrei voluto chiuderlo, subito mi è arrivata la lettera dell’avvocato dell’agenzia che minacciava azioni giudiziarie. Cinema e social sono due mondi che non faranno mai pace ma in un certo senso si aiutano. Quarantamila visualizzazioni possono lanciare un messaggio. Chiara Ferragni è un’imprenditrice, un lavoro diverso. Io sono felice solo quando sto sul set, ma capisco l’importanza del mezzo e lo uso. A Marion Cotillard è bastato inviare un post per smentire la sua storia con Brad Pitt. È la modernità bellezza».