la Repubblica, 22 settembre 2018
Quando il futuro Pio XII era "nemico" segreto della Germania
Il 25 agosto del 1914 i tedeschi diedero fuoco a Lovanio: oltre duemila palazzi, l’Accademia di Belle Arti, i collegi storici della vecchia università, il teatro civico, la Universiteitshal e la collegiata di San Pietro, furono ridotti in cenere. Insieme alla cattedrale di Reims, rasa al suolo poco dopo, la distruzione della biblioteca universitaria di Lovanio divenne un simbolo della barbarie teutonica. Per l’immaginario collettivo, inculcato dalla propaganda tedesca, il Belgio divenne abitato da terroristi socialisti sul fronte vallone e da preti fanatici su quello fiammingo, i quali insieme istigavano la popolazione contro l’invasore.
Trentatré studiosi tedeschi pubblicarono il manifesto An die Kulturwelt, "Appello al mondo della cultura”, nel quale negavano l’esistenza di una politica tedesca del terrore a Lovanio e legittimavano la condotta di guerra della Germania. Ma un report rimasto nei cassetti vaticani svela dell’altro. È lo storico belga Johan Ickx, responsabile dell’archivio storico della segreteria di Stato vaticana e consultore della Congregazione per le cause dei santi, a parlarne inDiplomazia segreta in Vaticano (Cantagalli), un libro su cui la Santa Sede mette la firma anche con la prefazione del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin.
Il report parla dell’esistenza di un gruppo segreto attivo nel cuore di Roma: il “club dei cinque”, legato all’operato di Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, nel 1914 segretario della Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari, che presso la Santa Sede cercò di smascherare la propaganda bellica tedesca. La Germania giustificava, col placet delle diplomazie di mezzo mondo, la distruzione di Lovanio come rappresaglia alla presunta azione dei franchi tiratori. Pacelli si mosse per smontare questa tesi, anche se riuscì a convincere Benedetto XV solo nel 1915, un anno dopo i fatti, a causa della titubanza, poi giudicata interessata, dell’allora nunzio in Belgio Giovanni Tacci e del collaborazionismo sotterraneo dell’incaricato d’affari Emanuele de Sarzana. Pacelli, criticato per i silenzi sull’Olocausto quando venne eletto al soglio di Pietro, si mosse per convincere Benedetto XV dell’ipocrisia tedesca. Tanto che secondo Ickx anche la sua nomina anni dopo alla nunziatura bavarese non ebbe a che fare con un’ipotetica vena germanofila, ma con il contrario: la consapevolezza vaticana che occorreva mandare in terra tedesca un nunzio che sapesse di cosa fosse capace la Germania del tempo. Pacelli si mosse sotto impulso di monsignor Deploige, professore di filosofia dell’Università di Lovanio, che lo aiutò nel coagulare il “club dei cinque”. Il gruppo fu composto da un belga, un francese, un inglese, un romeno e un giapponese.
Coordinavano, con il supporto del cardinale Gasquet, benedettino inglese, azioni per esercitare pressione sull’orientamento della diplomazia della Santa Sede. Oltre ai personaggi principali, la storia verte su due documenti: il report segreto di 22 pagine dattiloscritte e l’analisi di queste scritte dallo stesso Pacelli. Il rapporto fu firmato dal rettore dell’Università di Lovanio, Paulin Ladeuze.
Monsignor Tacci, incaricato dalla segreteria di Stato di reperire i testi, decise di tenerli nel cassetto tanto che arrivarono a Benedetto XV un anno dopo i fatti. I commenti di Pacelli sono stati custoditi per un secolo nell’archivio storico della sezione per i rapporti con gli Stati della segreteria di Stato. Da essi si evince cosa il futuro Papa pensasse: le sparatorie che ebbero luogo a Lovanio sono da imputare a un complotto. I lovaniesi non hanno sparato. Sono state contate dieci persone che hanno dichiarato che comandanti tedeschi avevano parlato del fatto ancor prima che avvenisse. La distruzione era stata pianificata con premeditazione. Era un attacco che mirava a seminare terrore.
Per il ritardo della consegna a Roma del report e per l’atteggiamento servile verso i tedeschi dell’incaricato d’affari della nunziatura a Bruxelles Benedetto XV è ancora ricordato come Deustch freund, amico dei tedeschi.