la Repubblica, 22 settembre 2018
Così un paese fa rivivere il mito di Ribot
DORMELLETTO (NOVARA) Il cavallo è in piedi, sulle zampe posteriori e con i suoi tre metri e trenta riempie l’orizzonte della statale del Sempione all’altezza della rotonda che porta a un piccolo paese, il primo sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, certo insignificante rispetto alle sorelle maggiori, Arona e Stresa, che stanno solo pochi chilometri oltre. Ma ora, la scultura di arte topinaria, che è l’arte di dare agli alberi forme inconsuete, si incarica di ricordare una storia un tempo luminosa e oggi sbiadita, quella dell’ippica italiana e del suo simbolo, Ribot.Perché il purosangue figlio di Tenerani e Romanella, nato nel 1952 al National Stud, in Inghilterra, e morto a vent’anni a Lexington, in America, padre di 428 purosangue sparsi nel mondo, è cresciuto qui, in una villa nascosta alla fine di un viale che declina sul lago, dove perfino l’erba era studiata per avere le migliori qualità nutritive. Negli allevamenti dove il senatore Federico Tesio, che aveva stabilito che il grado di umidità della terra e la dolcezza del clima erano il mix ideale, sperimentava incroci tra fattrici e stalloni fino a individuare quello perfetto. Ed è qui che, insieme alla moglie Donna Lydia Flori di Serramezzana e poi al socio marchese Mario Incisa della Rocchetta, Tesio ha “creato” la razza Dormello-Olgiata e il suo campione dei campioni, Ribot.
Erano gli anni duri del dopoguerra, l’Italia cercava di riconquistare fiducia e di ritrovare l’orgoglio e la rinascita passava anche attraverso lo sport. Se Fausto Coppi e Gino Bartali scaldavano il cuore degli italiani pedalando sulle strade del Giro, del Tour, della Milano -Sanremo, il baio sgraziato, chiamato “il piccolo” perché cresceva lentamente, che non aveva fatto colpo su nessuno dei suoi domatori, lo faceva negli ippodromi di San Siro, San Rossore, al Longchamp di Parigi davanti a centomila persone, ad Ascot battendo il cavallo della regina Elisabetta. Sedici corse, sedici vittorie. Vincite per oltre trenta milioni di lire, più i 60mila franchi dei due Prix de l’Arc de Triompe e le quasi 25mila sterline strappate alle scuderie reali, con sua altezza reale a complimentarsi con Tesio. Di Ribot si occupavano firme prestigiose, da Luigi Barzini jr a Mario Fossati; Indro Montanelli intervistava Federico Tesio, il “mago di Dormello”, e raccontava un uomo «che ha fatto due volte il giro del mondo, è diventato amico dell’ultima imperatrice della Cina, ha esplorato la Mongolia e ha inventato una razza di cavalli».
La Domenica del Corriere metteva in copertina Ribot disegnato da Walter Molino, i giornali raccontavano il suo stile di corsa prepotente, le riviste dedicavano pagine alle sue «trionfali affermazioni internazionali», stregati dal suo carattere «serio, calmo, scattante, irresistibile appena sollecitato».
Lunedì alle 15.30 il mondo dell’ippica si ritrova sulla rotonda del Sempione per inaugurare la statua mentre poco più su, in una sala del Comune, in via San Rocco 3, restano in mostra cimeli mai visti: il ferro di cavallo e la cavezza inviati dalla Darby Dan Farm del Kentucky, là dove Ribot era andato «a fare il sultano di uno sceltissimo harem», la giubba con la croce di Sant’Andrea che il marchese Incisa conserva a Villa Tesio, libri rari ( La ricerca del cavallo perfetto di Franco Castelfranchi, il libro degli incroci appena restaurato); quadri, un piatto creato per Ribot da Pietro Fornasetti; gli appunti di Giacomo Ceffa, per venticinque anni veterinario dell’allevamento; l’originale del Lease Agreement sottoscritto presso il notaio Carnelutti per il primo affitto da stallone in America, lettere inedite che raccontano gli anni americani del purosangue e soprattutto svelano perché, a differenza di quanto stabilito dal contratto, non sia mai stato fatto rientrare in Italia (scrive il dottor Greathouse dopo averlo tenuto sotto osservazione per cinque mesi: «Mostra istinti suicidi, anche nel suo enorme paddock tenta di distruggere la porta e di arrampicarsi sugli alberi, un viaggio in aereo o in nave sarebbe un azzardo»).
«Non sono – dice Lorena Vedovato, la sindaca di Dormelletto che da anni inseguiva il sogno di una statua dedicata a Ribot – solo ricordi del passato, volevo che il paese fosse riconoscente a un simbolo che l’ha fatto conoscere nel mondo».