il Fatto Quotidiano, 22 settembre 2018
Intervista a Tommaso Paradiso
Tommaso Paradiso è uno a cui piace un sacco il cinema, per cui credo che quello che sto per dire dell’ultimo album dei Thegiornalisti, Love, gli piacerà. Dal nome del disco, che è un evidente inno all’amore, ai testi delle canzoni che celebrano spudoratamente l’amore di Tommaso per il mare, per Dr House e per una fidanzata che lo salverà, questa operazione mi ha ricordato la scena di un film bellissimo con Jim Carrey nel ruolo del comico Andy Kaufman, Man on the moon.
Nella pellicola, a un certo punto della sua vita, il comico decide che il suo nuovo show deve essere un inno all’amore talmente melenso da risultare quasi indecente, per cui sul palco si alternano angeli che scendono dal cielo, cavallucci di legno, Babbo Natale con la slitta, le ballerine e alla fine latte e biscotti per il pubblico. Love è più o meno questo. C’è tanto love in questo disco. Anzi, tanto Love Love Love, come direbbe Verdone versione hippy in Un sacco bello (e Verdone è un mito di Tommaso Paradiso, quindi gradirà anche questa citazione, probabilmente). È un disco, Love, destinato ad allargare di qualche ulteriore km la nota spaccatura tra chi vede nei Thegiornalisti il pop più schietto e contemporaneo e tra chi vede nei Thegiornalisti più o meno il ritorno dell’Anticristo. È un disco, Love, da “quanto è bello tornare al mare, coi finestrini semi-abbassati”, da “I tuoi baci guariscono, love”, da “Ti mando un vocale di dieci minuti soltanto per dirti quanto sono felice”. Insomma è amore profuso, cantato, glorificato.
“È nato prima il nome Love dell’album stesso, non ho mai avuto mezzo dubbio”, mi dice Tommaso Paradiso durante un’intervista che durerà quasi un’ora. “Questo disco è un invito ai buoni sentimenti anche nella fase più banale, più mielosa”.
Paradossalmente però il successo dei Thegiornalisti nasce anche dal fatto che siate così divisivi, così amati, ma pure così odiati.
Sì, ma l’odio non mi tocca più di tanto, abbiamo già venduto 110.000 biglietti del tour che sta per iniziare, le radio passano tre pezzi nostri, il consenso è molto più del dissenso.
Sei sempre molto specifico quando parli di felicità nelle tue canzoni, ma sei sempre vaghissimo quando parli di infelicità. Cos’è che ti incupisce?
È vero, e credo che questa vaghezza derivi dal fatto che conosco molto bene i rimedi per farmi passare i momenti negativi, ma non ne capisco quasi mai le origini. Io poi somatizzo tutto, mi sale la pressione, divento vulnerabile, suggestionabile. Alla fine sono convinto che sia tutta una questione chimica. Una mattina ti svegli male perché la sera prima hai mischiato mozzarella e un cattivo vino e la conseguenza è quel malessere diffuso, poco spiegabile.
Sei in fissa col mare. È la cosa che citi di più nell’album.
Io sono uno di quelli che aspettano trepidanti il primo caldino per fare un bagno anche nell’acqua più zozza del litorale romano. Però ho già prenotato le vacanze invernali in montagna, vado nelle Alpi svizzere.
Come mai questa fretta di prenotare le vacanze?
Devo avere un pensiero felice per il mio futuro per affrontare il presente. Fare il tour con un traguardo in mente mi rende le cose più facili.
La frangia degli intellettuali della musica si accanisce molto sul tuo slang. Facciamo che “Zero stare sereno” (titolo di un singolo di Love) te lo passo, ma “Love mio” non è un po’ cacofonico?”.
È il modo in cui chiamo Carolina, la mia fidanzata.
Cosa ha detto lei quando ha ascoltato il disco?
Non l’ha ascoltato alla fine, ma dall’inizio, ha assistito alla gestazione dell’album, c’era sempre. È stata una fase stupenda, ci eravamo appena conosciuti, ero a duemila per lei e in più avevo la botta emotiva di scrivere le canzoni nuove.
In Love dici che le sue foto ti uccidono. Cos’altro ti uccide di Carolina?
Lo sguardo, quello che ti frega.
Hai dedicato una canzone al “controllo” ed è un tema su cui in qualche modo torni spesso. Perché?
Perché prima ero solo NON CONTROLLO. Mi sfondavo tutte le sere e poi la mattina stavo a letto, come un debosciato. Poi è arrivata la fase in cui ho cominciato a stare male, recuperavo sempre più lentamente. In più il lavoro aumentava sempre di più, non potevo permettermi di fare un’intervista come questa biascicando, non essendo lucido… Ora ho la mia disciplina.
Fammi capire. Come diventi quando ti “sfondi”?
Quando bevo un po’ mi prende bene, divento simpatico, voglio bene a tutti, alle persone, al cielo, alle piante!
Dai molta importanza all’amicizia. È nota quella con Alessandro Borghi. Come si diventa amici tuoi?
Scatta la scintilla. L’amicizia per me è una sorta di innamoramento. E sono generoso.
Quindi mandi davvero le note vocali di 10 minuti come dici nel disco?
Sì, ma campione del mondo di note vocali è l’ex cantante degli Amor fou, Alessandro Raina. Lui le manda di 23 minuti, io le sento quando porto a spasso il cane, sono meravigliose.
Hai visto il film col tuo amico Borghi su Cucchi?
Sì, ho visto il film con lui, durante una proiezione privata. Lo guardavo e provavo rabbia, volevo entrare nello schermo per dire ‘Che cazzo aspetti a dire quello che ti sta succedendo?’. Al di là di questo io sono un amante del talento e la performance di Alessandro è stata impressionante. Gli ho detto ‘quanto cazzo sei bravo!’.
Hai dichiarato che faresti X-Factor solo potendo scegliere i giudici. Chi vorresti con te?
Elisa, ma soprattutto Fibra, con lui mi spaccherei a farlo!
La tua musica ha un sacco di richiami vintage, come fai a sembrare moderno, nonostante tutto?
Uso un linguaggio attuale. Manzoni ha scritto tre volte i Promessi sposi, per star dietro al linguaggio che cambiava. Io sto dietro al linguaggio, non ho la sindrome della belle époque. Non penso che quello che c’era prima fosse meglio per forza, come tanti che devono fare i nostalgici a tutti i costi.
Lo farai mai un film come attore?
Non so recitare e non ho memoria, anche nei concerti ho supporti grafici per i testi, se trovo un regista molto paziente può anche darsi.
Neanche un piccolo ruolo?
Sì, quello sì, da piccolo nei film di Bud Spencer mi sarebbe piaciuto anche fare l’attore secondario, quello che prende le pizze. Magari lo scriverò un film, quello sì.
Quando hai mandato il disco finito ai discografici, cosa ti hanno detto?
Il primo messaggio me l’ha mandato Dario Giovannini. Tengo per me il testo, ma ti dico che si è fatto un selfie e piangeva.
La mia traccia preferita, comunque, è New York, sappilo.
Non so se è la più bella, però posso dirti che il mio produttore, Dardust, quando l’ho finito, mi ha detto: ‘Questo sarà uno dei pezzi più importanti per la tua carriera’.