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 2018  settembre 22 Sabato calendario

Vite parallele di Frassati e Albertini: 150 anni di giornalismo moderno

Se il giornalismo italiano avesse bisogno di un santo protettore, la scelta cadrebbe probabilmente su Giuseppe Baretti, nato a Torino nel 1719, creatore della «Frusta Letteraria» e autore di corrispondenze da Londra, negli anni della Guerra d’indipendenza americana, che si leggono ancora con piacere e profitto. Se il giornalismo politico desiderasse rivendicare un antenato, il migliore sarebbe Camillo Benso conte di Cavour, fondatore nel 1847 di un giornale («Il Risorgimento») che formò la generazione del 1848. Ma se il giornalismo moderno volesse celebrare la propria nascita dovrebbe ricorrere alle vite parallele di due personaggi, pressoché coetanei, che vissero fra l’Ottocento e il Novecento. Il primo è Luigi Albertini (1871-1941), che divenne amministratore e direttore del «Corriere della Sera» nel 1900: il secondo è Alfredo Frassati (nato 150 anni fa, il 28 settembre 1868) che nel 1894 divenne proprietario de «La Stampa», erede della «Gazzetta Piemontese». 
Le somiglianze sono straordinariamente numerose. Entrambi impararono il mestiere là dove il giornale, come disse un grande filosofo (Hegel), era già diventato la preghiera del mattino dell’uomo moderno. Nel 1894 Albertini andò a Londra, la città dove Alfred Harmsworth (il futuro Lord Northcliffe) avrebbe fondato due anni dopo un giornale, il «Daily Mail» che ebbe la più grande tiratura nella storia del giornalismo britannico. Fece una sorta di stage nella redazione del «Times», da dove riportò a Milano, insieme a un’utile esperienza per la organizzazione di un giornale, il disegno di un lungo tavolo delle riunioni che è ancora usato in via Solferino. Frassati invece scelse la Germania, dove erano nati negli anni precedenti grandi giornali e grandi case editrici. Vi studiò diritto penale, imparò il tedesco, strinse rapporti di amicizia con giuristi e studiosi, fece pratica di politica tedesca assistendo ai dibattiti parlamentari del Reichstag. 
Entrambi erano liberali, ma Albertini con una vena conservatrice e Frassati con una maggiore attenzione alla questione sociale. Entrambi erano animati da un forte sentimento nazionale e adottarono posizioni molto simili quando l’Italia di Giovanni Giolitti, nel 1911, decise di occupare la Libia. Ma su Giolitti e sul suo modo di governare avevano opinioni alquanto diverse. Albertini gli rimproverava una linea politica che al «Corriere» sembrava troppo filosocialista, mentre Frassati, pur manifestando qualche riserva, lo aveva sostenuto nella sua lunga battaglia contro Francesco Crispi ed era convinto che fosse il migliore uomo politico del Paese. Le divergenze divennero ancora più evidenti dopo l’inizio della Grande guerra. Albertini fu un entusiasta interventista, mentre Frassati, come Giolitti, avrebbe preferito una Italia neutrale. Furono anche uomini pubblici nel senso più largo della parola. Frassati divenne senatore nel 1913 e Albertini nel 1914, entrambi quando il presidente del Consiglio era Luigi Luzzatti. Entrambi furono incaricati di missioni internazionali: Frassati a Berlino come ambasciatore dal gennaio 1921. Albertini a Washington come membro della delegazione italiana alla conferenza di Washington sugli armamenti navali nel novembre 1921. 
Frassati fu un buon diplomatico. Non approvava l’enorme onere finanziario che il Trattato di Versailles aveva caricato sulle spalle della Germania e aveva un ottimo rapporto con Walter Rathenau, ministro degli Esteri della Repubblica di Weimar, vittima di un attentato terroristico nel giugno 1922. Ma non appena Mussolini formò il suo primo governo nell’ottobre 1922, Frassati si dimise. Di lì a poco entrambi,lui e Albertini, perdettero la proprietà del loro giornale. Non fu una confisca. Accadde quando gli altri soci (i Crespi nel caso del «Corriere», gli Agnelli in quello della «Stampa») decisero di non sfidare il regime e accompagnarono alla porta il loro direttore con una generosa buonuscita. 
Anche gli ultimi capitoli della loro vita si assomigliano. Albertini amministrò saggiamente una bella proprietà agricola nei pressi di Roma e scrisse una grande opera sulle origini della Grande guerra; mentre Frassati fu un eccellente presidente di Italgas (allora una delle maggiori aziende chimiche italiane). Ma continuarono ad avere idee alquanto diverse sul ruolo di Giolitti nella politica italiana. Quando le memorie politiche di Albertini apparvero in tre volumi quasi dieci anni dopo la sua morte, fra il 1950 e il 1953, Frassati riprese la penna. Non poteva accettare la tesi del suo collega milanese secondo cui la politica giolittiana sarebbe stata addirittura responsabile del fascismo e pubblicò un breve libro, con la prefazione di Luigi Salvatorelli, in cui sostenne che alle origini del fascismo vi era soprattutto l’intervento dell’Italia in guerra: quella guerra che Giovanni Giolitti aveva cercato di evitare.