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 2018  settembre 22 Sabato calendario

Matteo Marzotto: «La mia vita nella tenda berbera di mamma»

«Questa casa? È e resterà sempre la casa di Marta, mia madre, anche se ormai da 15 anni è la mia casa. Che cosa c’è di mio? I caschi da motocicletta, tanto per cominciare, e questo radiatore della macchina con la quale ho corso una Parigi Dakar». Matteo Marzotto – figlio di Marta, regina dei salotti di Milano, e di Umberto Marzotto – imprenditore della moda (e scapolo d’oro che ha sedotto top e bellissime) si muove fra i velluti di «mamma Marta» con passo leggero. 
«Non ho stravolto nulla, ho cercato anzi di conservare, per rispetto verso di lei che pure aveva un gusto molto diverso dal mio. Ricordo quando mi disse che avrebbe voluto vivere di più a Roma e mi chiese se c’era qualcosa della sua casa di Milano che mi piaceva. Abitavo in un piccolo appartamento di corso Vittorio Emanuele, dissi che sì, mi erano sempre piaciuti i due tavoli rettangolari in pasta di lapislazzuli. Finì che quando si trasferì davvero a Roma mi propose “ma perché non ti trasferisci tu, nella mia casa di Milano?”. Così eccomi qui nella sua tenda berbera nel cuore di Milano – sorride —: e dire che all’inizio la casa era tutta stucchi e colori pastello. La prima volta che la vidi entrai in casa cercando la mamma e mi ritrovai nel mezzo di un party da 150 persone! Poi lei attraversò la stagione di Marrakesh... e questa casa si coprì di velluti. Anni fa la chiese in prestito Anna Wintour di «Vogue Usa», per una cena, poi la serata slittò al giorno del mio quarantesimo compleanno e... mamma Marta non rinunciò a far comparire una maxi torta con 40 candeline, e gli ospiti del mondo moda non capivano perché».
Fra velluti e lampade marocchine ecco sbucare le passioni di Matteo: la fusoliera di un modellino d’aereo, un volume del calendario Pirelli diventato un tavolino. Velocità e mondo del fashion. Su un divano immenso – come quello di un harem – veglia un «guerriero». Accanto, un quadro dedicato a Marta, da Guttuso. Alla parete un olio del 1933 di Ernesto Quarti Marchiò. Sugli scaffali, fiammanti caschi rossi da motocicletta.
«Già da piccolo pilotavo, tutto: trattorini da giardino, il go kart di mio fratello, bici con o senza ruotine, poi per vent’anni il motocross anche con la nazionale under 21, e ho corso 5 Parigi-Dakar. Il colore dei miei motori è sempre quello che gli amici chiamano il mio “rosso Matte”, con un po’ di arancio».
Caschi e una maglietta tecnica da bici, sotto vetro, come un quadro. «La bicicletta, che tengo nella casa di Valdagno, è più di una passione? Per me è una compagna di vita, anzi una maestra di vita, perché insegna la resilienza nello sport e nella quotidianità. Solo la corsa, come la bici, può insegnare tanto: che ogni giorno è dedizione e fatica. Anch’io che ho una vera passione sportiva non sempre ho voglia di allenarmi, ma così è la vita. Ed è per questo che da 6 anni, e il primo ottobre si riparte con destinazione Sicilia, corro il Bike Tour: giro in bici lungo 500 chilometri per dare sostegno al lavoro della Fondazione fibrosi cistica (che ha colpito sua sorella Annalisa, scomparsa nel 1989 a 32 anni, ndr.)». Un viaggio su due ruote con amici e campioni «per testimoniare la battaglia contro la malattia, che racconterò con il libro Bike TourGether (Cairo editore) che sto ultimando».
Il volo è l’altra passione, «ho il brevetto di pilota per l’elicottero e l’aereo, e volo ogni settimana per andare nelle Marche dove ha sede Dondup, l’azienda di moda nella quale sono coinvolto (dopo aver guidato Valentino, e rilanciato Vionnet), oltre all’impegno di vicepresidente Ieg (fusione tra Fiera di Vicenza e Rimini Fiera). Ma non gioco col destino, mai se il tempo è incerto: non si scommette su un bene così prezioso come la vita». 
Modellini di aerei, caschi, le sedie-sculture di Carla Tolomeo e... tende di Zara. Alle finestre. «Queste lampade sono invece Ikea, come pure un tavolo nello studio. E nel fine settimana mi piace passare dal supermercato perché nel weekend cucino io: risotti, la mia specialità, o del pollo se mi sto allenando. Mi diverte. La tv accesa sulle notizie. E alla fine tutto dev’essere in ordine». E dove sono i tavoli con tante foto sotto il vetro, voluti da Marta? «Li ho fatti rivestire di un décor color oro che le sarebbe piaciuto. Per la verità quei tavoli all’inizio reggevano due tondi delle Allegorie di Antonio Calcagnadoro, del 1913, poi mamma li regalò a mia sorella. Anche tra noi fratelli ci siamo spesso scambiati oggetti e arredi». Le foto di “mamma Marta”? «Eccole, incorniciate».