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 2018  settembre 22 Sabato calendario

Ricordando De Gasperi, lo statista che riabilitò il Paese

«Prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me». Con questa realistica introduzione il 10 Agosto 1946 Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, difese la causa dell’Italia alla conferenza di Parigi. Non era un invitato: era un accusato chiamato a discolparsi per una guerra scatenata da un regime che lui stesso aveva combattuto. E sulle prime, non sembrò particolarmente efficace: i vincitori stentavano a distinguere tra fascisti e antifascisti, e molti di loro lessero con disattenzione la traduzione trascritta in un momento successivo. Tuttavia, visto retrospettivamente, quel discorso costituì il riconoscimento internazionale dell’Italia libera e democratica, e in parte il fondamento dell’idea di Europa. 
Contro di noi militavano la storia e in parte anche la geografia. La storia, perché l’Italia usciva da una sconfitta disastrosa, aggravata dalla vergogna di un’aggressione a una Francia agonizzante, e dalla fuga di un dittatore travestito da tedesco ubriaco. E la geografia, perché le guerre coloniali di Mussolini ci avevano consegnato territori estranei ai nostri naturali confini. Potevamo invocare due circostanze a nostro favore : l’aver ottenuto lo stato di cobelligeranti dopo l’otto settembre 1943, e l’aver aiutato l’avanzata degli Alleati con una guerriglia partigiana poco influente sul piano operativo ma significativa sotto quello morale. 
ILLUSIONINon sappiamo se De Gasperi si facesse molte illusioni su queste due attenuanti: certo si comportò come se ci credesse, e la sua storia personale di antifascista perseguitato gli conferiva la legittimazione politica ed etica a difendere la nostra causa con dignitoso vigore. 
In realtà gli Alleati furono sordi a ogni perorazione, e De Gasperì non godette nemmeno della personale cortesiaimmaginata all’inizio. Nessuno battè le mani, i delegati restarono seduti, e soltanto il Segretario di Stato americano, Bayrnes, gli manifestò un minimo di calore. Questo gelo fu criticato dal New York Times, che rilevò come tra i vincitori sedesse quello stesso Molotov che aveva firmato con Ribbentrop il patto scellerato per dividersi la Polonia, e che di fatto aveva scatenato i mastini della guerra. Comunque le condizioni furono dure. La perdita di tutte le colonie era scontata, e addirittura positiva, visti gli elevati costi e gli scarsi benefici che l’Italia ne aveva ricevuto. 
Ma l’umiliazione arrivò con l’abbandono della Venezia Giulia e l’istituzione del territorio libero di Trieste, che Togliatti aveva persino cercato di barattare cedendo Gorizia ai titini. Fu una pagina dolorosa, e una piaga non ancora del tutto rimarginata. Ma le sconfitte si pagano e, alla fine il conto non fu insostenibile. La Francia nel 1871, e la Germania nel 1919 avevano subito condizioni molto più umilianti, che infatti avevano preparato le guerre successive. Ispirata da De Gasperi, e aiutata dall’America, l’Italia poté invece intraprendere un percorso virtuoso che ne avrebbe, in pochi anni, cambiato la fisionomia. 
La favorevole impressione che De Gasperi aveva fatto su Bayrnes produsse infatti un rapido avvicinamento tra i due paesi, complici anche il profilarsi della guerra fredda, la collocazione strategica dell’Italia, e la decisiva influenza dell’elettorato italoamericano. De Gasperi fu invitato privatamente a Cleveland, e ne approfittò per allacciare importanti relazioni politiche. 
Fu accolto benevolmente da Truman, e ricevette il plauso entusiasta degli italoamericani durante la parata tra due ali di folla lungo la Broadway. Un trionfo che si sarebbe ripetuto quattro anni dopo, in modo ancora più ufficiale e fastoso, accanto al Presidente americano. Ci riesce difficile, oggi, pensare che un nostro capo del governo possa ripetere una simile esperienza.
CRONACAIl resto è quasi cronaca. De Gasperi cacciò i comunisti dal governo, e pose le fondamenta del miracolo economico che avrebbe portato il Paese, negli anni cinquanta, ai vertici della stabilità finanziaria mondiale. Come tutti i veri amanti della pace, cercò e ottenne una valida garanzia militare, e condusse l’Italia, tra i sibili di rancore dei filomoscoviti, in quell’alveo Atlantico che protesse l’Europa occidentale dalle repressioni sovietiche di Varsavia, di Berlino di Budapest e di Praga. Come tutti gli spiriti profondamente religiosi antepose Dio e la sua coscienza alle interferenze clericali, e con grande dolore, e pari determinazione, si oppose alle pressioni politiche di Pio XII, ricevendone in cambio una freddezza ai limiti dell’ostilità.
E infine, come molti grandi statisti, da Temistocle a Churchill, fu ripagato con l’ingratitudine. Nel 1953 i suoi amiciemergenti della Democrazia Cristiana lo eliminarono, senza troppi riguardi: «I suoi delfini disse Montanelli - erano in realtà degli squali». Ma il suo tramonto era comunque inevitabile. Già gravemente malato, Alcide De Gasperi si spense il 19 Agosto 1954 nella sua villetta in Valsugana, invocando il nome di Gesù.
IL VIGOREIl discorso di Parigi non fu soltanto un appassionato appello patriottico. Fu l’espressione del vigore morale di uno statista quale l’Italia mai aveva avuto, e di cui non avrebbe più visto l’eguale. Un discorso che può figurare degnamente accanto ai Fireside chats di Roosevelt e persino ai Great war speeches di Churchill, condottieri che parlavano a un pubblico ipnotizzato dalla loro personalità e dalla convinzione di seguire una causa sacrosanta; mentre De Gasperi si rivolgeva a un uditorio ostile, non avendo altro da offrire che dignità, coraggio e lungimiranza politica.
A differenza di Orlando, che trent’anni prima, rappresentando a Versailles un Paese vittorioso, spargeva lacrime di lamenti e di rabbia, questo esile trentino, portavoce di un’Italia prostrata, umiliata e derisa, seppe rappresentare con una logica secca ed essenziale i pericoli di un accanimento nei confronti dei vinti, e i vantaggi di una collaborazione paziente e leale. Il messaggio fu raccolto dagli americani, ma presto fece breccia tra le più illuminate menti del vecchio mondo. 
L’IDEADa Schuman ad Adenauer, da Monnet allo stesso Churchill, germinò l’idea che soltanto una comunione di fede e di cultura europee potessero eliminare quelle controversie che avevano devastato il nostro continente per secoli, fino all’immensa catastrofe di una guerra fratricida condotta in due tempi. Questa radice comune era costituita dalla tradizione cristiana, intesa come sintesi di libertà, di iniziative operose e di giustizia solidale, ma soprattutto come un grande progetto etico e spirituale. Quando, mezzo secolo dopo, l’Europa si rifiutò di inserire nel preambolo della sua Costituzione il riconoscimento di queste radici, si capì che le aspirazioni di De Gasperi erano state deluse, e che l’Europa si sarebbe limitata ad un arido catalogo di avari bilanci e di pedanti burocrazie.