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 2018  settembre 20 Giovedì calendario

Biografia di Stephen King

Stephen King (Stephen Edwin K.), nato a Portland (Maine, Stati Uniti) il 21 settembre 1947 (71 anni). Scrittore. Sceneggiatore. Oltre 350 milioni di copie vendute. «Lui, maestro della paura, di cosa ha paura? "Dei ragni: sono il classico esempio di aracnofobia maniacale. Ma anche la paura di perdere il senno, di sviluppare un precoce Alzheimer e non rendermene conto. E poi ho la fobia del numero 13: ogni volta che arrivo a quella pagina di un libro che sto scrivendo, cerco di scriverlo velocissimo senza mai fermarmi, per passare così in fretta alla pagina 14. Se leggo un libro non mi fermo mai alla pagina 94, 193, o 382, perché la somma di quei numeri corrisponde al 13. Dopo tutto, c’erano 13 scalini per salire alla ghigliottina in Inghilterra fino al 1900!"» (Silvia Bizio) • Secondo figlio di un venditore porta a porta della Electrolux e di una casalinga, a soli due anni di età subì l’abbandono del padre, uscito un giorno di casa per una passeggiata e mai più tornato: la donna fu quindi costretta a svolgere ogni genere di lavoro per mantenere da sola i figli («Fu tra le prime donne emancipate d’America»), portandoseli appresso nei suoi numerosi spostamenti da uno Stato all’altro, per fare infine ritorno nel Maine. In quegli anni, ancora bambino, King – in base a quanto ricostruito da sua madre – subì un nuovo trauma, di cui tuttavia non conserva coscienza: la morte di un suo amichetto, stritolato sotto un treno mentre giocava insieme a lui lungo i binari di una ferrovia (una chiara reminiscenza dell’evento si ritrova nello splendido racconto Il corpo, trasposto da Rob Reiner nell’altrettanto suggestivo film Stand by Me). Fondamentali, per la graduale formazione del suo immaginario in tenera età, anche i racconti dello zio Clayton («grandi storie, non solo di fantasmi ma di leggende locali, e sugli scandali, sulle vicende familiari, sull’exploit di Paul Bunyan, su qualsiasi cosa accadesse sotto il sole»), le letture – approfondite in prima elementare durante un lungo periodo di malattia – e la visione di alcuni film. «Alle elementari ho letto un racconto di un grande autore per bambini, Dr. Seuss, I cinquecento cappelli di Bartholomew Cubbins. Una storia semplice: arriva il re, tutti devono togliere il cappello, ma Bartholomew sotto il cappello ne porta un altro. Lo toglie. Sotto ce n’è un altro ancora. E così via. Lo arrestano: ha mancato di rispetto al re. Lo portano in galera. Poi arriva il boia! Col cappuccio nero! Io ho sei anni, vedo quell’ascia più grande di lui e penso: che cazzo succede!? Allora lui comincia a togliersi un cappello dopo l’altro per salvarsi la vita. Gli ultimi cappelli sono tutti ingioiellati, pieni di pietre preziose. Il re li prende per regali per lui. E, appena prima che il boia lo decapiti, finalmente via il cinquecentesimo cappello. Tutto finisce bene. Sono diventato scrittore in quel momento. La tensione! I cappelli! Il cappuccio! L’ascia! Cazzo!» (a Matteo Persivale). «Il primo film che ho visto era un film dell’orrore, Bambi. Ricordo quel cucciolo di daino intrappolato nell’incendio della foresta: ero terrorizzato, ma allo stesso tempo divertito. Non so come spiegarlo» (ad Andy Greene). «Il mio più grande terrore lo provai a dodici anni: la sequenza della vasca in I diabolici di Clouzot, dove un uomo, sott’acqua, pare morto e, d’improvviso, apre gli occhi. Occhi completamente bianchi» (a Mario Serenellini). «L’elemento orrorifico ancora non si affacciava nel suo primo racconto, scritto quando andava alle elementari, “in cui quattro animali magici viaggiavano a bordo di una vecchia macchina aiutando dei bambini. Il capo era un coniglione bianco che si chiamava Mr Rabbit Trick”. Per quel racconto ottenne dalla madre 25 cent. E altri 25 cent cadauno per gli altri tre racconti che avevano come protagonista Mr Rabbit Trick. “Fu il primo dollaro che guadagnai in questo mestiere”, chiosa King. La passione per il lato oscuro del mistero sarà suscitata più tardi, dalla lettura di Poe e Lovecraft» (Annalisa Terranova). «La fantasia e la scrittura li ho ereditati da mio padre. Negli anni Trenta e Quaranta era solito inviare storie a riviste illustrate, anche se non venne mai pubblicato. Adorava i fantasy, la fantascienza, le storie dell’orrore. Da piccolo, in casa, trovai una scatola piena di libri di Lovecraft, Clark Ashton Smith: fu come un suo messaggio pieno di cose buone» (a Miguel Mora). «Da allora l’horror diventò un’ossessione. Non faceva che vedere film come L’attacco delle sanguisughe giganti, scrivere racconti intitolati Ero un profana-tombe adolescente, fondare giornali tipo “Il vomito del villaggio”» (Antonella Barina). «“Io ero al college durante gli anni Sessanta. Anche presso l’Università del Maine non era un grosso problema entrare in possesso di droga. Ho fatto un largo uso di Lsd, pe­yote e mescalina: più di 60 viaggi in tutto. E devo dire che per me i risultati sono stati generalmente positivi. Non ho mai avuto un trip che non mi abbia fatto sentire come se avessi avuto un purgante al cervello: era una specie di purificazione psichica tesa a svuotare tutta l’immondizia accumulata dalla mia testa. E in quel particolare momento avevo bisogno di quel tipo di clistere mentale”. […] “Quando sono uscito dal college nei primi anni Settanta con una laurea in Inglese e un’abilitazione all’insegnamento, ho trovato una sovrabbondanza di offerta in quel mercato, e sono andato a lavorare presso una pompa di benzina in una stazione di rifornimento, e successivamente in una lavanderia industriale per 60 dollari a settimana. Eravamo poveri in canna, con due bambini piccoli, e, inutile dirlo, non è stato facile far quadrare il bilancio con uno stipendio simile. Mia moglie andò a lavorare come cameriera in un locale, Dunkin’ Donuts. Tornava a casa ogni sera odorando di ciambella”. […] Vendevi già qualche tuo lavoro in quel periodo? “Si, ma solo racconti, e solo alle più piccole riviste maschili in circolazione come Cavalier e Dude. […] In ogni caso, il pagamento per le mie storie non era sufficiente per tenerci fuori dal conto in rosso, e con i miei lavori più lunghi non stavo andando da nessuna parte. Avevo scritto parecchi romanzi, che vanno dal mediocre al terribile-passabile, ma tutto era stato respinto. […] Cosa peggiore di tutte, stavo andando fuori di testa. […] Sono scivolato verso l’ansia e l’autocommiserazione, ho cominciato a bere e a buttare i soldi a poker”» (Eric Norden). «Nel frattempo King ha trovato lavoro come insegnante […] e dedica soltanto i week-end alla scrittura, riuscendo comunque a realizzare un numero sorprendente di racconti e romanzi, questi ultimi tutti rifiutati fino alla primavera del 1973, quando il manoscritto di Carrie viene finalmente accettato per la pubblicazione. Quello stesso manoscritto che l’autore, in un momento di sconforto, aveva gettato in un cestino e che la moglie aveva (saggiamente) ripescato prima che venisse portato via dai netturbini. La pubblicazione di Carrie porta notevoli benefici finanziari, e permette a King di lasciare l’insegnamento per dedicarsi solamente alla scrittura» (Marco Roberto Capelli). «Carrie fu il suo primo romanzo pubblicato da Doubleday, […] con un anticipo sui diritti di duemilacinquecento dollari. Poca cosa anche nel 1973, abbastanza soltanto per acquistare un’orrida Pinto Ford usata che si affrettò a perdere per strada la cinghia di trasmissione due giorni più tardi. Quei duemilacinquecento dollari sarebbero divenuti, pochi mesi più tardi, i cinquecentomila dell’edizione economica in paperback» (Vittorio Zucconi). «Quando Carrie venne pubblicato, avevo scritto due romanzi, e chiesi all’editor di New York quale preferisse: uno più letterario su un sequestro, Blaze, o un altro dell’orrore, Le notti di Salem. Ed egli disse: “Il secondo sarà un best seller, ma, se continuiamo con l’orrore, ti etichetteranno”. E io dissi: “Non me ne frega un cazzo, se riesco a pagare il conto al supermercato”». Seguì una lunga serie di straordinari successi (tra gli altri: Shining, La zona morta, Cujo, Christine. La macchina infernale, It, Misery, Il miglio verde), bruscamente interrotta in seguito a un gravissimo incidente stradale nel 1999, mentre King stava ultimando la stesura di On Writing. Autobiografia di un mestiere. «Lo scrittore, ricoverato in gravissime condizioni nel locale ospedale, se la caverà (si fa per dire) con una frattura all’anca destra, nove fratture in quella sinistra ed otto lesioni alla colonna vertebrale. Gli ci vorranno quasi tre anni per riprendersi dall’incidente, che lascerà comunque un segno profondo nell’immaginario dello scrittore, riapparendo, sublimato, in diversi romanzi e racconti (L’acchiappasogni, Buick 8, Riding the Bullet)» (Capelli). «È un miracolo che sia sopravvissuto o che non sia diventato un vegetale, perché avevo sbattuto la testa. Tre anni dopo, nel 2002, ero ancora pieno di dolori, e scrivere mi era difficile: come se la vena creativa si fosse prosciugata. Non ero felice, e ho pensato: forse è meglio che smetta prima di sottoporre i miei lettori a un brutto libro; voglio andarmene in silenzio, senza farmi notare troppo. E invece poi, quasi miracolosamente, il mio corpo ha cominciato a guarire, e sono tornato ad essere di nuovo interessato alla scrittura: le idee hanno ricominciato a scorrere, ed eccomi ancora qui». Gli anni successivi hanno infatti salutato l’uscita di numerosi nuovi romanzi, tra cui Cell, The Dome, 22/11/’63 (in cui si immagina un viaggio nel tempo per impedire l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, evento da cui King si è detto profondamente segnato), Doctor Sleep (concepito come seguito di Shining), Revival e Sleeping Beauties (scritto insieme al figlio Owen), oltre a quattro nuovi titoli della serie di genere fantastico La torre nera, alla trilogia di Mr Mercedes e ad alcune raccolte di racconti • Autore di una settantina di libri di narrativa, tra il 1977 e il 2007 ha firmato sette romanzi con lo pseudonimo Richard Bachmann. «Mi era stato detto che potevo pubblicare solamente un libro l´anno con il mio vero nome, altrimenti saturavo il mercato» (a Mario Calabresi) • Numerosissimi, e spesso di grande successo, gli adattamenti cinematografici tratti o ispirati dalle sue opere, per i quali talvolta lo stesso King ha curato la sceneggiatura, e in un unico caso anche la regia: «Dino De Laurentiis […] nell’86 produsse Brivido, l’unico film scritto e diretto da King: “A quei tempi ero ubriaco dalla mattina alla sera, e la troupe era italiana: parlavamo senza capirci. Ne è nato il peggior horror della storia del cinema”» (Barina). «I più riusciti secondo lui? I film diretti da Rob Reiner Stand by Me e Misery non deve morire, e Le ali della libertà di Frank Darabont. Quello che gli piace di meno? Shining, il capolavoro di Stanley Kubrick del 1980 con Jack Nicholson: King lo detesta. "Nel film sono stati tolti tutti gli elementi più importanti del libro che spiegano la discesa del protagonista nella follia – dice lo scrittore –. A me sembra che manchi di tensione, di suspense: ci sono solo coup de horror teatrali e posticci. Mi sono sentito tradito. Forse per la pretesa artistica del film. Tutti gli altri mi vanno bene. […] Ma, guardate, una volta concessi i diritti io rispetto lo sceneggiatore e il regista: romanzo e film sono due mondi diversi". […] King è noto per cedere i diritti dei suoi racconti (non romanzi) a bravi registi giovani debuttanti e meritevoli per il prezzo simbolico di un dollaro. "Una volta fatto il film me lo mandano, e se mi piace metto il dvd su una mensola speciale etichettata ‘One dollar movies’: sono i film che amo di più"» (Bizio) • «“Lei è una maledetta industria”, gli obbiettò una giornalista. A cui King ribatté serafico: “Uno scrittore che impiega venti anni per un romanzo non sta coltivando pensieri profondi. Si sta facendo le seghe”. […] Ormai persino la critica accademica, che per anni aveva storto il naso davanti a quei libroni da drugstore, lo saluta come il Dickens contemporaneo, ben oltre l’indisputato titolo di signore della paura. E dire che King stesso non si è mai considerato un autore di genere. La sua “sinfonia dell’orrore”, l’epico It, doveva addirittura essere il suo ultimo horror» (Edoardo Rialti) • Dal 1971 è sposato con Tabitha Spruce, l’amore della sua vita. «A 30 anni avevo già tre figli. E siamo ancora molto uniti. Anche dalla scrittura, in cui ci aiutiamo l’un l’altro. Tabitha pubblica romanzi sulla classe operaia, Joe ha un notevole successo nell’horror, Owen scrive libri comici. Solo mia figlia Naomi non scrive: è ministro del culto nella Chiesa unitariana. Eppure la famiglia resta per me la realtà più difficile da raccontare. Come entrare nell’acqua gelida: devi farlo molto molto lentamente» • Nonostante un patrimonio stimato in alcune centinaia di milioni di dollari, King conduce una vita molto tranquilla e appartata nel Maine. «La sua Bangor, vicino alla costa del Maine, è stata mascherata da King attraverso tante cittadine della fredda provincia americana e del New England in cui si svolgono i suoi romanzi e racconti, a partire dalla fittizia Derry – che ricorre spesso. Bangor è Derry, e viceversa, epicentro di tanti misteri e fenomeni paranormali e crimini ed enigmi, capitale internazionale del terrore: lo stesso cimitero della cittadina era il set per l’adattamento del film Cimitero vivente". E da Bangor King e sua moglie Tabitha (pure lei scrittrice) non si muoveranno mai. I due sono figure molto amate nel Maine: hanno donato decine di milioni di dollari per iniziative culturali, per finanziare biblioteche semiabbandonate, promuovere scuole pubbliche e progetti di lettura, stadi, arene. Lo stadio di baseball a Bangor ha ottenuto dall’autore una sponsorizzazione di due milioni di dollari in cambio di un solo privilegio: che il cartellone luminoso dello stadio fosse posto in modo che King, dal suo studio di casa, fosse in grado di leggere il risultato» (Bizio) • Democratico e grande sostenitore di Obama, dalle cui mani nel 2015 ha ricevuto la prestigiosa National Medal of Arts, nutre invece un viscerale invece il disprezzo per Trump («Ecco cosa mi spaventa: quell’uomo mi fa davvero paura»), che ha persino diffidato dal guardare It, il film del 2017 tratto dall’omonimo romanzo di King e divenuto in poco tempo la pellicola dell’orrore con i maggiori incassi della storia del cinema (oltre 700 milioni di dollari) • «Ho scritto tanto, ma solo su quel che conosco. Le mie storie, anche se fantastiche, nascono dalla realtà minuscola della cittadina in cui abito, anzi, dal mio vicinato, provinciale e pettegolo». «Misery è un libro sulla cocaina. Annie Wilkes è la cocaina. Era la mia fan numero uno». «Quando non scrivo entro in depressione, ma non devo sforzarmi troppo: mi bastano tre o quattro ore al giorno per sentirmi appagato. […] Fino a dieci anni fa producevo sei o sette buone pagine, oggi ne sforno tre se va bene: ma il mio segreto è farlo ogni santo giorno dell’anno. […] Con l’arrivo dei 70 anni le idee non mi mancano, anche se non sono più frequenti come una volta. […] C’era un tempo in cui avevo così tante idee che il cervello sembrava voler scoppiare: non riuscivo a contenerle. Preferivo i racconti per dare espressione a tutte queste idee. Un romanzo è come essere sposati: ti devi impegnare, devi rimanere fedele a una sola idea, come fosse tua moglie, senza farti distrarre da altre tentazioni. […] Ora le idee mi arrivano un po’ più lentamente, mi giungono ben stagionate, e forse è meglio rispetto alla sarabanda frenetica di prima». «Più volte hai minacciato di ritirarti, ma ovviamente non l’hai mai fatto. Ti vedi a 80 anni a scrivere ancora libri? “Sì: che altro potrei fare? Devi trovare qualcosa per riempire le tue giornate, e suonare la chitarra e guardare la televisione non mi possono certo bastare. Scrivere è una cosa che mi appaga. E poi mi piace per due motivi: mi rende felice, e fa felici anche gli altri”» (Greene).