La Stampa, 20 settembre 2018
L’illusione del deficit
Dalla lontana Cina, dove si trova in missione, il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio è intervenuto nelle intricate vicende della prossima legge di bilancio enunciando una sua ricetta finanziaria: «Si attinge a un po’ di deficit per poi far rientrare il debito l’anno dopo o tra due anni, tenendo i conti in ordine».
Si tratta di una dichiarazione tipica dello stato di confusione e delle illusioni che caratterizzano di solito la fase preparatoria di tutte le leggi di bilancio che quest’anno raggiungono però livelli particolarmente elevati.
La prima illusione è che il deficit sia qualcosa alla quale l’Italia può «attingere». Il deficit italiano è in realtà italiana un pozzo senza fondo che da circa trent’anni risucchia le risorse nazionali; questo risucchio lo stiamo pagando tutti con la mancata crescita, i carenti investimenti in infrastrutture che fanno crollare anche materialmente il Paese, la migrazione verso l’estero dei giovani che non trovano lavoro, di fatto precluso dal debito pubblico creato dai loro padri nel corso di circa trent’anni.
Rischiamo di spendere in maggiori interessi con una mano quello che stiamo raccattando come nuovo debito con l’altra. Nel 2019, infatti, anche senza l’aggiunta ipotizzata da Di Maio, i conti pubblici chiuderanno in rosso e faranno aumentare il debito; se andremo oltre i livelli concordati con l’Europa pagheremo questo deficit aggiuntivo prima ancora di «incassarlo». Naturalmente se l’Italia non avesse un grande debito pubblico le cose sarebbero diverse, ma oggi la possibilità che i mercati finanziari, per prestarci qualche soldino in più, oltre a quelli già previsti, richiedano un interesse molto più alto sui circa 350 miliardi di debiti da rinnovare nel 2019 è purtroppo molto alta.
La seconda illusione è che sia facile «far rientrare» il debito aggiuntivo nel giro di uno-due anni. L’abbaglio del «rientro facile» ha costellato gli Anni Ottanta e Novanta e contribuito pesantemente a collocare l’Italia ai primi posti della classifica mondiale dei Paesi indebitati e agli ultimi in quella della crescita economica. Questo rientro potrebbe realizzarsi se gli italiani ai quali andassero le nuove risorse – con reddito di cittadinanza, riduzioni fiscali o altri meccanismi – si mettessero spenderle tutte subito e comprassero prevalentemente beni fatti in Italia. In realtà con una misura in parte simile, ossia gli 80 euro del «bonus Renzi», le cose non sono andate proprio così. E va ricordato che un bene di consumo acquistato dai consumatori al prezzo di 100 euro contiene mediamente circa 25-30 euro di importazioni che non stimolano la nostra economia. Se invece di mettere nelle mani dei cittadini queste cifre, necessariamente piccole, lo Stato riuscisse a impiegarle in opere pubbliche, a cominciare dalla manutenzione delle scuole, l’effetto sulla crescita italiana risulterebbe superiore.
La terza illusione risiede nella convinzione che sia facile «tenere i conti in ordine». Molti parlamentari della maggioranza sono alla loro prima esperienza di una legge di bilancio e probabilmente non si rendono conto della complessità di una manovra finanziaria. Non appena c’è sentore che si allarghino i cordoni della borsa si scatenano appetiti ed esigenze di territori e categorie, spesso del tutto legittime ma alle quali questo Paese semplicemente non è in grado di dare una risposta immediata. Per quanto la maggioranza possa essere più «disciplinata» di quelle che l’hanno preceduta, le tensioni già oggi non mancano, come mostra il caso dell’esclusione di Torino dalla candidatura italiana per le Olimpiadi invernali del 2026.
Che fare allora? L’unica via è quella scomoda di negoziare pazientemente con Bruxelles, come hanno saputo fare prima di noi altri Paesi. In un momento in cui molti governi, a cominciare da quelli di Germania e Francia, sono in forte difficoltà nei sondaggi, nessuno vuole addizionali problemi derivanti dall’Italia: qualche decimale in più di deficit si potrebbe forse ottenere senza spaventare i mercati.