la Repubblica, 20 settembre 2018
Millie Bobby Brown, la nuova Shirley Temple nelle braccia di Godzilla
Intervista di LOS ANGELES Farle il nome di Shirley Temple, la Riccioli d’Oro del grande schermo, non attacca: «Le bambine prodigio sanno sempre cosa accadrà domani: se ci sarà uno show a Broadway, qual è il prossimo set, a che ora parte il jet privato. A me basta tornare a casa la sera e trovare una grande tavola apparecchiata da mamma e papà». A quattordici anni, Millie Bobby Brown è già tra le 100 persone più influenti dell’anno secondo Time. Dopo Modern family e Grey’s anatomy, la consacrazione: nel giro di una stagione, il ruolo di Eleven (Undici) nella serie Netflix Stranger things la porta dritta agli Emmy Awards (due nomination) e le vale un’amicizia con Barack Obama e due cene con il rapper Drake: durante il red carpet degli ultimi Emmy, ha dichiarato: «Io e Drake ci siamo scambiati messaggi fino a poco fa. Lui mi dice: Mi manchi. Io rispondo: Tu di più». Il cantante le dà consigli anche sui primi appuntamenti, chi frequentare e chi no. Ma l’invidia, a Hollywood, è salita di tono quando Millie è riuscita a conquistare Leonardo DiCaprio e Meryl Streep. «Recito dall’età di otto anni, senza non respirerei» ci racconta quando la incontriamo con un look che ricorda un’altra bimba prodigio, Natalie Portman. Nata a Marbella, in Spagna, terza di quattro figli: «I miei si sono trasferiti a Londra quando ho compiuto quattro anni. L’accento british ho imparato a mascherarlo a scuola di recitazione; mi dicevano: “Attenta Millie, in America sarà dura per te”. Non sapevano che in realtà sono un jukebox di idiomi, so imitare persino la parlata di un texano. Datemi un cappello, degli stivali da cowboy, e vi faccio sentire». Mentre il personaggio di Eleven, la ragazzina imbottita di superpoteri, psicocinesi e telepatia, sembra dirci che “il futuro si può sentire”, a Millie Bobby Brown interessa di più il presente: «Non pianifico. Lascio sia mio padre a farmi da agente perché, si sa, quest’industria è imprevedibile», dice. «Non ho alcuna voglia di perdere la testa qua e là, se non per quel saurone radioattivo di nome Godzilla». A maggio 2019 la vedremo, appunto, nel primo film da protagonista, il kolossal griffato Warner Bros. Godzilla: King of the monsters, metafora dell’incubo atomico e icona pop. Ma com’è riuscito Godzilla a scalfire le tonnellate di copioni che le arrivano? «I mostri giapponesi non sono mai stati il mio forte», sghignazza. «Quando mi hanno proposto il nuovo Godzilla ho pensato alla sfida fisica ed emotiva e ho detto sì». Interpreta Madison, figlia di Vera Farmiga, una paleo-biologa che sa come comunicare con le creature nel mezzo del finimondo. Millie avrà 15 anni quando il film sarà in sala. «Chissà, tra un anno potrei aver smesso di fare l’attrice», commenta. «Riflettendoci bene, il viale del tramonto può aspettare. Se smettessi di fare cinema e televisione, mi annoierei a morte. La recitazione è una cura. A volte mi alzo dal letto con l’influenza, mi presento sul set e, boom, sono guarita. Questo mestiere lo voglio fare per davvero, nessuno mi costringe». Ha cominciato così: «Leggendo battute per le pubblicità dei cavoletti di Bruxelles». Ride. «Andavano in onda sotto il Ringraziamento e a Natale». Poi sono arrivati i supermercati e infine la Barbie: «Al provino mi diedero uno strano oggetto che somigliava a una bambola ma non lo era. Mi toccò giocarci, tutta brava e sorridente; avevo una bambina accanto, muta». Il trucco è restare coi piedi per terra: «Mi hanno detto che per allenarsi a leggere i commenti negativi sui social network, cosa che non faccio, devi fissare a lungo le tavolette dei water. Se superi la prova, puoi masticare tutto ciò che scrivono di te». Vantaggi della fama? «I manager di Drake che chiedono a mio padre se il rapper dei miei sogni può invitarmi a cena in Australia. Da allora è il mio guru. Sempre a messaggiarci!». E ci canta un estratto del brano God’s plan:” She said, ‘ Do you love me?’, I tell her, ‘ Only partly’, I only love my bed and my mama, I’m sorry”. Secondo Brown, nella terza stagione di Stranger things, in produzione, Eleven dovrebbe sacrificarsi. Ormai è chiaro ai creatori della serie, i fratelli Duffer: «Undici sono io. Non devo neppure concentrarmi per pensare o muovermi come lei. Mi viene naturale. La sua vulnerabilità la porta ad essere sia protettiva che fuori di testa. Mi riconosco in lei. Sono una sorella chioccia in famiglia, soprattutto con la più piccola di casa. Vorrei vedere Eleven senza poteri, meno depressa di così. Prima o poi arriverà il tempo di una commedia nella mia carriera». Ai fan dice: «Preparatevi per il romanticismo. Stranger things sta per entrare in piena summer of love». Sullo schermo Millie è sempre in fuga. Prima gli esperimenti condotti dalla Cia nella serie, poi Godzilla. Ma da cosa scappa? «Non scappo mica», fa l’occhiolino. «Affronto la vita di petto. Infatti più che bambina prodigio, io sono una bambina schietta. Una che ha scritto in fronte: non fatemi imbestialire».