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 2018  settembre 20 Giovedì calendario

I lupi nel Salento

BRUNELLA GIOVARA, NARDO (LECCE) Bisognava vederli, in fila ordinata, «erano tre, li ho visti andarsene giù per la strada», e neanche troppo spaventati dalla potente sirena che Carlo Castellaneta ha fatto suonare nella notte piena, per cacciarli via dalle sue pecore. «Hanno scavalcato il recinto alto, due me le hanno ammazzate». Comprerà una scacciacani, cioè una scaccialupi, adesso gli allevatori del Salento hanno a che fare con i lupi, scesi dalle Murge e dalla Daunia fino al mare, in una transumanza che preoccupa non solo loro, in un’area di turismo spinto, spiagge e movida, dove il canis lupus mancava da oltre cent’anni, da prima che si iniziassero a bonificare le terre, «prima che piantassero gli ulivi qui era tutta macchia, era il regno dei selvatici». Fino a poco tempo fa c’erano solo le volpi a insidiare i pollai malguardati, e per il resto falchi, civette e upupe, e persino meravigliosi innocui ramarri, nelle pietraie e nei muri a secco. Il lupo è un’altra cosa. Tira fuori dagli uomini una paura antica, l’allevatore Castellaneta, della Masseria La Grande nella contrada Fattizze di Nardo, racconta con spavento che «lui cerca la preda viva. E prima la attacca alla gola, poi alla pancia, e lì comincia a sbranare», e con i fratelli Angelo, Pippo e Flora, che mandano avanti l’azienda, mai avrebbe pensato di dover usare la sirena che di solito chiama a pranzo i loro pastori, che badano a 500 tra pecore di razza comisana, e capre “ionica incrociata”. Se mai li risarciranno, ogni capo vale dai 110 ai 140 euro, ma poi «bisogna pagare lo smaltimento delle carcasse, 60 euro l’una. Il danno e la beffa». «Gli allevatori vanno ascoltati e supportati come si deve, secondo legge», dice Anna Grazia Frassanito, naturalista del Parco nazionale Alta Murgia, dove da 10 anni si studiano i lupi, le loro dinamiche e i loro spostamenti, perché questi camminano veloci, fanno chilometri cercando prede, per lo più cinghiali, «e per fortuna in Salento non ci sono cinghiali, che fanno danni più dei lupi», ma ci sono prede più facili, pecore e capre, «e tutti sappiamo quanto dolore porti la morte di uno di questi animali, un valore emotivo che non va sottovalutato», dice Frassanito, che è di Copertino e conosce bene la macchia di olivastri e lentisco, e però aspetta le prove, servono i tamponi salivari sulle ferite per risalire al Dna e stabilire che i predatori sono lupi e non cani inselvatichiti o incrociati con i lupi, come spesso capita nel sud. Ma la dottoressa Frassanito – che suggerisce l’utilizzo di mastini abruzzesi come cani da guardiania riconosce come «vera notizia» il ritrovamento di un cucciolo di lupo, la settimana scorsa nelle campagne di Avetrana, provincia di Taranto ma confinante con il territorio di Nardo, malato e quindi abbandonato dal branco e ora in rianimazione, tassello fondamentale nella storia di questa zona perché significa che «qui il lupo ha trovato il suo habitat. Si sente più sicuro, riesce ad alimentarsi, quindi può procreare». Daniele Tondo è veterinario dirigente del settore igiene e allevamento e produzione zootecnica dell’Asl di Lecce. Gira per le masserie, verifica i danni. Li certifica, trasmette i campioni alle autorità sanitarie, e oltre al caso di Nardo ricorda «un recente attacco alla periferia di Lecce, in località Frigole, con tre capi uccisi, e a giugno un altro caso a Otranto». Tondo ha una sua idea: «Il lupo si allarga nelle zone non antropizzate, cioè dove l’uomo non è presente. Consideriamo l’epidemia di Xylella che sta massacrando gli uliveti. I piccoli proprietari non seguono più i fondi, centinaia di ettari vengono abbandonati. Lì il lupo si allarga». «Che si sia adattato negli uliveti non mi sorprende», dice Piero Genovesi, responsabile della conservazione e gestione della fauna all’Ispra. «Negli anni 70 era scomparso dalle Alpi, permaneva nelle zone appenniniche dell’Italia centro-meridionale. Poi ha recuperato, occupando tutto l’arco appenninico, quindi le Alpi occidentali e le centro-orientali». Ora è arrivato al mare, dove ci sono anche allevatori che sparano e uccidono, poi impiccano la carcassa in paese, come si faceva nel Medioevo.