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 2018  settembre 10 Lunedì calendario

Robert Redford: «Chiudo col set ma voglio lasciarvi con una risata»

Robert Redford aveva confessato tempo fa il suo desiderio di abbandonare la recitazione per tornare a dedicarsi a una passione giovanile, la pittura.
«Con tutto l’amore che ho per questo mestiere, ora mi ha un po’ stufato», aveva detto. E il premio Oscar ha mantenuto la parola: The old man and the gun sarà la sua ultima apparizione sullo schermo. Redford è Forrest Tucker nel film che racconta la vera storia del criminale famoso negli anni 70 per le rapine in banca e l’impareggiabile talento nel fuggire di prigione (almeno 16 volte, oltre a una dozzina di tentativi falliti). Scritto e diretto da David Lowery, del cast fanno parte anche Sissy Spacek, Danny Glover, Tom Waits e Casey Affleck nei panni del detective che insegue Redford. Abbiamo incontrato l’iconico attore e regista al Festival di Toronto.
Allora è ufficiale? Si ferma?
«Non mi fermo. Cambio strada. Faccio questo lavoro da quando avevo 21 anni, ora ne ho 82, ma la mia vita era cominciata con l’arte. Ci ho messo tanto ad accettare il fatto di essere diventato attore e poi regista, ora voglio tornare alle origini, alla pittura. Nel cinema resterò da regista e produttore».
Quando ha deciso che questa sarebbe stata la sua ultima volta sul set?
«Il film precedente, una storia d’amore drammatica con Jane Fonda ( Le nostre anime di notte, dal racconto di Kent Haruf, nel 2017, ndr), è stato meraviglioso ma anche molto triste, pesante. E volevo che il film successivo fosse allegro e edificante. Non mi ero reso pienamente conto all’epoca che lo avrei realizzato in un momento in cui il nostro ambiente culturale è così tetro. È triste doverlo ammettere, ma come ognuno vede da sé qui in America viviamo in tempi politicamente bui. E la polarizzazione con i due partiti che insistono a non volersi venire incontro è deprimente, e chi ne fa le spese e ci perde siamo noi. E il pubblico. Così ho pensato, perché non fare qualcosa che tiri su lo spirito? E sa che c’è? Se questo deve essere il mio ultimo film da attore, allora è meglio recitare un copione allegro!».
Cosa suggerisce di fare in questa situazione politica, con un presidente in carica contestato persino dentro la Casa Bianca?
«In carica... spero proprio che lo rimanga ancora per poco! (ride).
Io ho deciso da tempo di impegnarmi su ambiente e natura. Cosa lasceremo ai nostri figli?».
Ci sono elementi di paragone tra il suo carattere e il personaggio che interpreta?
Sembra uno che rapina banche più per divertimento che per soldi. Che rapporto ha lei con le armi?
«Per la verità, a me i soldi sono sempre interessati! (ride). Ma se proprio vuole un parallelo: attore e rapinatore passano inevitabilmente dalla felicità alla depressione. Recitare è pura gioia tra mille momenti difficili. Quanto alle armi, il film si doveva intitolare Old man and a gun, un vecchio e una pistola, non so da dove sia spuntato fuori quel "la". Si parla di un uomo e di una pistola, tra loro c’è una separazione: la pistola c’è ma non viene mai usata e non è mai carica. È usata solo per fare scena, ma mai per far del male, perché in fondo Forrest Tucker, il protagonista, voleva solo divertirsi».
Lei che lista dei desideri ha?
«No, niente liste. Vivo all’impronta, senza pensare troppo in avanti. La vita diventa più eccitante proprio mentre la vivi: diventi più consapevole, conosci le tue potenzialità, man mano che vai avanti capisci se e come sfruttarle».
Dato lo stato di questo paese è ottimista?
«Beh, una cosa è certa: non cadremo mai più in basso di così».
Fra i tanti film girati, da "Butch Cassidy" a "La stangata" a "Tutti gli uomini del presidente", ce ne sono alcuni che le stanno particolarmente a cuore?
«Risposta difficilissima, ma lei cita due film che ho amato particolarmente: mi è piaciuto molto lavorare con George Roy Hill, e Butch Cassidy (1969, ndr) è il film in cui io e Paul Newman siamo diventati amici e poi pochi anni dopo, nel ’73, ci siamo ritrovati nella Stangata. A pensarci bene, in quei due film girati a distanza di pochi anni, io e Paul ci scambiamo i ruoli. In Butch Cassidy io sono il tipo serio e silenzioso, letale, e Paul è l’allegrone. Nella Stangata invece è tutto il contrario: io recito il personaggio spensierato e lui quello più calmo. Sono sorpreso che nessuno ci abbia mai fatto caso. Ciò detto, penso che La stangata sia uno dei più bei film mai girati, ed è tutto merito di George Roy Hill che ha fatto tutto, dalla musica alla scenografia. L’ho rivisto recentemente su suggerimento di mia figlia e, accidenti, mi è piaciuto ancora immensamente».
Una curiosità: lei ha sempre dichiarato il suo amore per i cappelli.
«E infatti li ho sempre portati, da quando ero bambino. Non so perché, mi piace l’idea. A teatro a Broadway mi sono innamorato del vostro Borsalino: lo indossavo ovunque, me lo toglievo solo per andare in scena».
Com’è cambiato l’ambiente del cinema dai suoi esordi, soprattutto ora in tempi di #MeToo e Time’s Up?
«Mah, non saprei, certamente alcuni cambiamenti sono stati molto positivi. Penso al ruolo delle mie colleghe, anche nella produzione. È estremamente vantaggioso per l’industria che le donne abbiano acquisito maggior potere. All’inizio questo non c’era proprio, semplicemente dominavano gli uomini. E invece è molto importante avere un altro punto di vista».