La Stampa, 10 settembre 2018
Torna l’asilo rurale dei Savoia e si ispira alla Montessori
Erano contadini del Regno e semplici braccia destinate al lavoro dei campi. Ma che almeno imparassero – nel «mare magnum» dell’analfabetismo dell’800 – a leggere l’alfabeto della terra anche con gli occhi della scienza e del sapere. Non solo a suon di superstizioni e leggende. Così la pensavano i regnanti di Casa Savoia. E con loro anche i Comizi agrari, il «braccio lungo» della monarchia ai confini del Regno, che a Mondovì, nel Cuneese, fondarono uno dei primi asili rurali nati sotto il segno sabaudo, per dare alla classe contadina del Regno i rudimenti di vita nei campi.
Era il 1867, il re – il primo d’Italia – era Vittorio Emanuele II. Ieri, a distanza di 151 anni dalla nascita e dopo decenni di chiusura, l’ex asilo rurale è tornato a vivere. Tutte donne, quattro più la cuoca, le educatrici che lo hanno ribattezzato il «Nido del Merlo», un gioco di parole che omaggia la piccola frazione di campagna, il Merlo appunto, dove è nato un progetto ispirato alla sfida di Maria Montessori: liberare la creatività dei bimbi. «Siamo una scuoletta montessoriana – spiega Francesca Boetti, capitana della squadra di educatrici-: i 17 bimbi sono liberi di crescere con le loro competenze innate, senza le attività standardizzate dell’educazione convenzionale». Il metodo Montessori, dove un tempo c’era l’asilo nato sotto i Savoia e rimasto finora in mano alla «gente di qui», figli di contadini che avevano vissuto il lusso della prima scolarizzazione.
Fausto Tealdi è a capo dell’amministrazione: «Ci abbiamo messo tutto l’impegno a fare rivivere il nido. Tutto su base volontaria. Noi amministratori abbiamo contratto un mutuo per ripristinare i locali e la Pro loco ha devoluto i soldi della festa a favore dell’asilo, che ha visto crescere noi e i nostri genitori. È come far rivivere tutto il mondo da cui veniamo».Ci aveva pensato un uomo illuminato, il senatore Felice Garelli, a istituire la struttura. L’occasione si presentò quando il Consiglio provinciale, il 5 settembre 1867, deliberò di stanziare 1800 lire da dividersi in tre premi per i Comuni che avessero creato un asilo rurale, per «eliminare dalle statistiche una vergogna nazionale qual è la ingente cifra di 17 milioni di analfabeti, di cui 13 nelle campagne». Garelli, come ricorda un saggio firmato dall’attuale presidente del Comizio, Attilio Ianniello, argomentava: «Negli asili il nesso armonico nell’educazione del corpo, dell’intelletto e dell’anima non si trova più. Avviene anche peggio in quelli che coltivano quasi esclusivamente la memoria. Quivi l’insegnamento arido, materiale, uggioso, si rivolge in un questionario incompreso e indigesto che i bambini imparano meccanicamente».