il Fatto Quotidiano, 11 settembre 2018
Da X Factor alle campagne web: Asia licenziata da Asia
Di Asia Argento bisognerebbe scrivere solo a matita, su un foglio sottile e senza calcare troppo il tratto, perché qualsiasi cosa si scriva di Asia oggi, domani potrebbe essere scaduta, come il gratta e vinci del parcheggio. Nel giro di un anno è stata eroina, paladina, esiliata, riabbracciata, amante, fedifraga, molestata e molesta, megafono e silenziatore, pugno chiuso e mano morta.
La Argento, come l’omonimo metallo, è l’individuo a più alta conducibilità del pianeta.
Attraverso di lei, le sue azioni, il suo coraggio sgangherato e la coerenza intermittente, passano tutte le umane contraddizioni. Le sue, le nostre. E se proprio lei, Asia, avesse preso coscienza di questo mentre creava l’onda potente del #Metoo, avrebbe evitato la risacca meschina che s’è portata via anche lei. Se avesse capito che esistono i predatori seriali alla Harvey Weinstein che sì, vanno fermati e resi inoffensivi, e che poi c’è tutto un universo di sfumature popolato da viscidi, sessuomani, esseri fastidiosi o semplicemente inopportuni e che talvolta l’inopportuna puoi essere perfino tu perché il ricordo e il percepito spesso prevalgono sui fatti, beh, forse il suo posto a X Factor non glielo avrebbe tolto nessuno.
Ed è un peccato che il suo gomito smetta di confinare con quello di Manuel Agnelli, perché paradosso vuole che il talent di Sky fosse la prima esperienza artistica in cui Asia Argento pareva a fuoco. Protetta da un bancone, lontana da ingombranti competenze paterne e giudice non della morale altrui, ma dell’effimero, sembrava finalmente libera di dare il meglio, di dimostrare qualcosa. Si era tolta il gesso che la faceva sembrare rigida come conduttrice tv e la cantilena innaturale con cui ha sempre recitato (male). “Non esiste il metal da villaggio turistico”, ha detto nello show a un concorrente che voleva fare il maledetto con una camicia hawaiana. Già. E neppure il #metoo da villaggio turistico, purtroppo.
Se si è deciso per la sanzione sociale che ti elimina da set e palcoscenici, da piccoli e grandi schermi e perfino dai titoli di coda, se tu per prima l’hai invocata non solo per il predatore Weinstein, ma pure per un Kevin Spacey che non ha mai aggredito nessuno e non ha mai promesso lavoro a nessuno, per i Brizzi mai ascoltati da un giudice, per i Louis CK che hanno la colpa di essere dei geni col microfono in mano e degli omuncoli patetici ma certo non pericolosi nel loro camerino col loro arnese in mano, beh, poi finisce che la pesante scure della morale talebana si abbatte pure sul tuo collo. Ed è inutile prendersela con Sky che per giunta, nei contratti con i giudici, ha da tempo clausole rigidissime in tema di molestie.
È Asia Argento che ha licenziato Asia Argento, purtroppo. È Asia Argento che ha chiesto di trasformare in zombie, in morti viventi come negli amati film di papà quelli che ci provano con un diciassettenne. Ora è uno zombie anche lei. È viva, ma deve sparire dalla tv. Non solo dalla tv che verrà (X Factor), ma pure da quella che è già stata (la sua presenza nelle serie con l’ex compagno morto suicida, Anthony Bourdain è stata tagliata). È una morta vivente. In compenso, il web, la stessa pentola in cui fino a qualche giorno fa bollivano insulti e anatemi perché “l’eroina del #Metoo abusa di un diciassettenne!”, ora organizza petizioni perché a Sky si mettano una mano sulla coscienza e se la riprendano come giudice, perché una donna con quel carisma e quella competenza quando la ritrovano più! (che per giunta è un altro argomento di un sessismo raccapricciante).
Nel frattempo – ironia della sorte – mentre Asia diventa zombie, il povero Bourdain che invece morto lo è per davvero, viene premiato con sei Creative Arts Emmys postumi per Parts Unknown, come a dire “è ancora vivo”, “non morirà mai”. Eppure santo non lo è stato neppure lui, ma ormai è deciso, la molestia (o tutto quello che decidiamo di chiamare così, ognuno col suo misurino), merita lo stigma. La damnatio memoriae, riservata ormai nei secoli solo alle ideologie, torna in auge per i singoli, per i peccatori. Asia Argento, Kevin Spacey, Fausto Brizzi, Louis CK come il bunker di Adolf Hitler, asfaltato e diventato parcheggio. E dunque, qual è la morale? Cosa doveva fare Sky? Che ne sarà di Asia Argento?
Le accuse contro Asia non devono fermare il #Metoo, si dice giustamente. “La meno credibile tra di noi è la più adatta per fare la battaglia. Il diritto di denunciare una violenza non dipende da quanto sei una brava ragazza”, dice Michela Murgia. Che è vero. E però c’è dell’altro. C’è che un simbolo, il condottiero che guida l’esercito e impugna l’asta con la bandiera, non deve consentire agli altri di raccontare le pagine sgradevoli, prima che le abbia raccontate lui stesso. Proprio perché chi denuncia ha il diritto di essere cattivo, deve sventolare la sua cattiveria, non insabbiarla. Deve rivendicarla, non nasconderla sotto al tappeto. Era Asia a doverci raccontare di Bennet, del sesso con lui, dei soldi richiesti, non il New York Times. Era lei a dover tracciare la linea che separa un Weinstein da un Kevin Spacey. Un Weinstein da un’Asia Argento. E invece, mentre decideva il ruolo della vita, ha scelto di essere l’eroina senza macchia col pugno chiuso e la ghigliottina per i colpevoli, anziché quella sporca e cattiva che non strizza l’occhio allo spettatore, che non vuole apparire meglio di quello che è, ma intanto, nell’ultimo fotogramma, fa la cosa giusta. L’ultima nota amara: la vogliono al Grande Fratello Vip, dicono. Peccato che anziché come una riabilitazione, suoni come un’ulteriore sanzione sociale.