Il Messaggero, 11 settembre 2018
Ceccobelli, le opere come un pavimento
Non è esperienza abituale visitare una mostra dall’alto: da una passerella a quattro metri dal suolo, e con le opere distese sul pavimento; non è esperienza comune la mostra di un nome assai noto nella storia dell’arte, che si fonde con un’altra esposizione, dei suoi due figli gemelli. Ma Bruno Ceccobelli, 66 anni appena compiuti, ci ha abituato tante volte alle sorprese. In questa, presenta, sparsa su 240 metri quadrati, un’antologica della sua vasta produzione: una trentina di lavori che iniziano dai primi Anni Ottanta.
Quando aveva appena concluso di studiare all’Accademia di Belle Arti a Roma (con Toti Scialoja), e faceva parte della cosiddetta Scuola di San Lorenzo, che lavorava nell’ex Pastificio Cerere. E i 240 metri quadrati sono quelli della Sala delle Pietre, nello stupendo Palazzo del Popolo di Todi. Insomma, Ceccobelli espone in casa sua: nasce infatti in provincia di Perugia; si trasferisce subito a Todi; poi Roma per studiare; torna quindi nella città di Jacopone, forse per vivere (con moglie e figli), e lavorare, meglio.
L’ARCHEOLOGIA
La mostra, inaugurata per il Festival intitolato alla città (250 eventi), resterà aperta fino al 30 settembre. Con un gioco di parole, s’intitola T’odi, «ti ascolti»: perché, dice l’artista, «ascoltare è simile ad osservare dall’alto; come quando si guarda uno scavo archeologico. Una visione superiore ed esterna da se stessi».
Del resto, lo vedremo, non è la prima volta che Ceccobelli impone qualcosa agli spettatori delle sue esposizioni: anche questa è una sua quasi caratteristica che lo rende unico. Dall’alto, si vedono opere da lui sapientemente esposte. S’inizia da quelle più recenti; si termina con quelle più remote. In mezzo, intervallati, cerchi e croci: che si possono guardare da qualsiasi punto.
L’arte di Ceccobelli è da sempre fortemente ispirata ai simboli; e «questa spina centrale, è forse la parte più personalmente preferita da me», spiega Daniela Lancioni, autrice del catalogo: infatti «lui riesce a formare davvero delle icone». I suoi tondi li chiama Pupille.
E le croci, laiche: piene di segni, nessuno religioso. Anche se spesso contengono degli elementi figurativi, le sue opere sono tutte astratte; ed hanno magari titoli singolari: La sposa che nasce dai fiori (2010); o Atlante (2006), e s’indovina un corpo umano; o La volontà sulla valle (1989), e si vede un piede; o ancora, Due porte una sorte (1993), con un occhio e una mano; dai colori ben studiati, e mai troppo violenti.
Le ha volute disporre, dopo averci molto pensato, su un letto di sabbia; ha meticolosamente curato il tutto. Ci si arriva passando davanti a un muro dipinto: sono i Ritratti di Bandiera; in alcuni c’è lui; ed altri sono vessilli, s’intende di pura fantasia. Li ha eseguiti a sei mani: con quelle dei figli Auro e Celso, nati nel 1986. I quali, per disporre le loro creazioni, hanno scelto un ex convento che domina sulla città: il Nido d’Aquila, dove la mostra prosegue.
I DRAPPI
Con loro e accanto a loro, Ceccobelli s’è già sperimentato: ad esempio, tre anni fa, per i dieci della Fondazione e i 100 dalla costruzione dell’edificio del Pastificio Cerere, con Capovolgere, in cui, appunto, esordirono i 20 drappi. Vivono tutti assieme: in una torre medievale (e il ricordo va alla canonica in cui operava Piero Dorazio: si vede che l’aria di Todi fa bene all’arte); e lui si sente un Homo medievalis: figura singolare e carismatica forse anche per la bianca barba, sospeso tra il lavoro artigianale e quello collettivo, al fianco dei due figli gemelli.
Usa sempre dei materiali naturali; spesso di recupero: quanto è stato cioè scartato dalla natura e dalla società. «Il colore giallo è zolfo; il nero, pece», spiega Daniela Lancioni. Possiede, continuamente, una cifra totalmente sua, che lo rende perfettamente riconoscibile, affatto identificabile: non lo si può scambiare con nessun altro. E sono una famiglia, lui e i suoi, alquanto spartana: votata all’arte.
L’ESOTERISMO
Ceccobelli è un po’ cervellotico? Forse. Le cose semplici non lo interessano; è pieno di spiritualità e di esoterismo, vissuti in modo assolutamente personale: non fa parte di religioni, o di correnti. E lo dimostra anche questa stessa mostra. Nelle sue prime, per esempio, si poteva entrare solo quando egli avesse terminato un certo rito; o bisognava osservarne le opere da una passerella; o guardando dentro cinque parallelepipedi. Ha sempre saputo essere un originale. Fin dagli esordi. La sua prima mostra, è una collettiva in Austria: nel 1971, Palma Bucarelli, che fu una grande, aveva saputo (pre)vedere assai bene. Regala oggi uno choc: il modo espositivo, originalissimo; sembra di essere, ha scritto qualcuno, davanti a un mosaico appena affiorato da Pompei; «si ha una visione spirituale», spiega lui. E ci si trova davanti a tanti dipinti; ma anche a dei messaggi spirituali: ciascuno li interpreta come preferisce. I figli si rifanno invece piuttosto alle forme: montano (e smontano) degli elementi, fornendoli di nuova vita. L’hanno chiamata Motore universale. È un «dopo Apocalisse»: quel che ne resta. Di analogo al padre, hanno l’originalità, sia pur maggiormente meccanica. Le sorprese sono assicurate: nella magnifica Todi, da tre artisti tuderti.