10 settembre 2018
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Biografia di Bashar Al Assad
Bashar Al Assad (Bashar Hafez A.A.), nato a Damasco l’11 settembre 1965 (53 anni). Politico. Presidente della Siria (dal 17 luglio 2000) • Secondogenito e successore di Hafez Al Assad, presidente della Siria dal 1971 al 2000. «Una famiglia di umili origini, proveniente da Qardaha, un villaggio della costa nell’enclave confessionale alawita di Latakia [l’antica Laodicea – ndr]. A causa della povertà, il nonno di Bashar Al Assad non poté mandare il figlio Hafez, che fin da adolescente si era iscritto al partito laico socialista Ba’th, all’università. L’unico escamotage per scalare in fretta la vetta sociale era la carriera politica abbinata a quella militare, che Hafez intraprese fino a diventare generale dell’aviazione. Entrato in carica nel 1971 in seguito al colpo di Stato avvenuto quattro anni prima, Hafez mantenne lo stato d’emergenza e aumentò le agenzie di intelligence interne, che infiltrarono capillarmente tutti i settori della società. C’è un detto siriano che sintetizza il potere smisurato dato da Hafez ai servizi segreti: “In Siria ci sono più agenti dei servizi segreti che siriani”» (Roberta Zunini). «Con l’ascesa al potere del clan degli Assad negli anni Settanta, per la prima volta nella storia della Siria vanno al potere gli alauiti, corrente religiosa musulmana considerata eretica da gran parte dei sunniti che hanno dominato per secoli la scena politica. Fu in realtà quello il primo grande shock della Siria, e molti non accettarono che una minoranza ai margini della vita del Paese potesse decidere i destini del cuore pulsante del mondo arabo. Hafez Assad, diventato presidente nel 1971, dovette quasi subito affrontare rivolte importanti, soprattutto quando cercò di cambiare la costituzione in senso laico: nella carta non era menzionato che il leader del Paese dovesse essere musulmano. I suoi maggiori oppositori furono i Fratelli musulmani, che scatenarono nel 1982 una rivolta ad Hama repressa dal fratello di Hafez, Rifaat Assad, con oltre ventimila morti. Le radici dell’opposizione islamista risalgono a quel periodo» (Alberto Negri). «Il governo di Hafez Al Assad punta tutto sul nazionalismo e si avvicina sempre di più all’Unione Sovietica. Assad attua inoltre importanti riforme, che fanno della Siria uno dei Paesi più laici dell’intera regione mediorientale. Tutto ruota attorno alla famiglia Assad: Rifaat, fratello minore di Hafez, viene messo a capo della sicurezza (verrà però cacciato in seguito a un tentativo di colpo di Stato); negli anni Novanta, il figlio maggiore, Basil, viene designato come successore alla presidenza. Più in generale, parenti e soggetti orbitanti attorno agli Al Assad assumono posizioni sempre più importanti all’interno dello Stato siriano. Essendo il secondogenito, Bashar Al Assad vive ai margini della politica. Si diploma nel 1982 e, subito dopo, si iscrive alla facoltà di Medicina di Damasco. Il sogno è quello di diventare oculista. Per questo motivo, Assad abbandona la Siria negli anni Novanta e si trasferisce a Londra, dove studia oftalmologia. […] Il 21 gennaio del 1994 la Siria e Bashar vengono colpiti da un terribile lutto: Basil Al Assad, primogenito di Hafez e designato ad ereditare la presidenza, muore a seguito di un incidente stradale. […] Con la morte di Basil, l’erede designato diventa dunque Bashar: richiamato dal padre in Siria, il futuro presidente siriano lascia i suoi studi e anche la sua futura moglie per stabilirsi nel palazzo presidenziale di Damasco per “studiare” da leader» (Mauro Indelicato). «Hafez gli riservò così una preparazione militare accelerata. Entrò come capitano del corpo medico dell’esercito, diventò capitano nell’Accademia militare di Homs, classificandosi al primo posto. L’ascesa ai vertici, favorita chiaramente dal padre, fu rapidissima. Entrò nei ranghi delle forze corazzate (17 novembre 1994), fu nominato maggiore della Guardia presidenziale (gennaio 1995), si formò alla scuola di stato maggiore (1998) e infine fu proclamato colonnello (1999). Arrivarono poi i primi incarichi politici e di governo: prima subentrò al fratello nella carica di presidente della Società di computer, successivamente gli fu delegato il Libano – allora soggetto alle ingerenze siriane – per l’elezione del presidente Lahoud. Il 10 giugno del 2000 segnò la fine di un’epoca. Un attacco di cuore assalì il presidente Hafez Al Assad, che morì sul colpo, e da quel giorno iniziò l’èra di Bashar, soprannominato anche lui “il Leone di Damasco”» (Sebastiano Caputo). «Il Parlamento siriano si riunisce qualche ora dopo la morte di Hafez per modificare la Costituzione e consentire a Bashar, che non ha ancora l’età richiesta (40 anni), di presentarsi come candidato alla presidenza. In tal modo, un mese esatto dopo, all’età di 34 anni, Bashar viene eletto presidente della Repubblica attraverso un referendum in cui è il solo candidato alla carica» (Massimo Iacopi). «Quando nel 2000, dopo la morte di suo padre, Bashar Assad assunse il potere, tentò di intraprendere una serie di riforme economiche e politiche. […] Centrale nel programma di riforme di Assad fu la liberalizzazione dell’economia siriana. I cartelli che i sostenitori di suo padre avevano messo in campo per controllare settori strategici dell’economia furono eliminati e sostituiti con strutture più competitive. Damasco promise l’inaugurazione di una nuova èra di diritti umani e s’impegnò perché alcune forme di opposizione al partito al potere si potessero organizzare. Il governo di Assad allentò i suoi legami con l’Iran e incominciò a meditare su possibili relazioni commerciali e politiche con l’America. Una risoluzione del conflitto tra Israele e Siria avrebbe potuto costituire un catalizzatore per queste riforme. La tregua con Israele avrebbe potuto significare la fine del più ampio conflitto arabo-israeliano, e con ciò Assad avrebbe potuto trasformare la mappa politico-economica di tutto il Medio Oriente. Tuttavia capì velocemente che non egli non era forte a sufficienza per fare pace con Israele e sopravvivere economicamente. […] Per queste ragioni Assad […] pretese che un qualsiasi accordo di pace con Israele fosse accompagnato da un contingente di armi o da qualsiasi altro aiuto economico dall’esterno volto a mantenere la potenza del suo regime. Gli americani rifiutarono, e di riflesso l’interesse di Assad per un processo di pace scemò drasticamente. Assad iniziò a guardare verso est, scoprendo che la Russia di Vladimir Putin sarebbe stata più che felice di svendere a basso costo ingenti quantità di armi alla Siria, pur di poter esercitare una qualche influenza politica su quel Paese. Quando le cose iniziarono ad andare male sotto il profilo economico e in politica interna, Assad inasprì la sua retorica contro Israele e si adoperò per stringere in profondità i suoi legami con l’Iran e Hezbollah» (Neill Lochery). «Sul piano internazionale, la Siria collabora dall’ottobre 2001 con la Cia nelle inchieste su Al Qaida e sulle persone legate all’organizzazione. In determinati casi la stessa Siria ha anche ritardato l’arresto di sospetti al fine di poter seguire le loro conversazioni e i loro spostamenti, in modo da riferirne agli Usa. Con l’invasione dell’Irak nel 2003, però, la Siria diventa uno dei passaggi obbligati dei jihadisti che si vogliono recare in quel Paese: Bashar saprà monetizzare la geografia del suo Paese, vendendo la cooperazione o la permissività dei suoi servizi di informazioni al miglior offerente. Tuttavia, l’insediamento di un potere filoamericano vicino alle sue frontiere diventerà l’inquietudine principale di Damasco, e Bashar, da questo punto di vista, non ha tutti i torti. L’“effetto domino”, atteso dai neoconservatori americani sulla regione, significa una condanna, a brevissimo termine, anche del regime di Damasco. Il Libano, occupato dalla Siria dal 1990, rappresenta l’anello debole del sistema. Il suo presidente fino al 2007, il generale Émile Lahoud, è una pedina di Damasco, che consente il bloccaggio politico ed economico del Paese dei cedri da parte del suo vicino siriano. Il 14 febbraio 2005 il primo ministro Rafiq Al Hariri muore in un attentato in pieno centro a Beirut. Gli occidentali accusano Damasco, e l’emozione raggiunge il suo culmine, mentre enormi manifestazioni hanno luogo nella capitale libanese. Bashar è costretto a cedere, e annuncia per l’aprile 2005 la ritirata del suo esercito dal Libano, pur continuando a controllare il sistema politico grazie agli hezbollah» (Iacopi). «Con lo scoppio della “primavera araba”, anche la Siria è stata travolta dal vento del cambiamento. Nel 2011 sono state organizzate le prime manifestazioni contro Assad per spingerlo alle dimissioni. Inizialmente, il dittatore siriano si è dimostrato disponibile a promuovere una democratizzazione del Paese, ma non è mai sembrato veramente disposto a lasciare le redini del comando. Nel 2012 inizia la vera e propria guerra civile, col Parlamento siriano che bolla i rivoltosi come terroristi e li accusa di essere al soldo delle potenze dell’Occidente. I gruppi di ribelli armati entrano quindi in aperto conflitto con l’esercito governativo, e la Siria si ritrova divisa in territori sotto il controllo dell’una o dell’altra fazione. I ribelli, inizialmente apertamente sostenuti dagli Usa, col passare del tempo subiscono un forte ridimensionamento, schiacciati da un lato dalle forze di Assad e dall’altro dai gruppi jihadisti, sempre più influenti nel Paese ormai devastato dalla guerra. Nel corso del 2013, a Damasco l’esercito governativo attacca facendo uso di armi chimiche: Unione europea e Stati Uniti condannano apertamente la condotta di Assad, e solo la mediazione della Russia sembra scongiurare un intervento diretto sul territorio siriano da parte delle potenze occidentali. La Siria aderisce alla Convenzione sulle armi chimiche e commissari dell’Onu vengono incaricati di seguire lo smantellamento dell’arsenale chimico siriano. […] Nel 2014 nei territori controllati dalle forze governative si sono tenute nuove elezioni, e Assad è stato confermato alla guida del Paese con l’88,7% delle preferenze e un record assoluto di affluenza. Il Consiglio nazionale siriano, attualmente in esilio, gli Stati Uniti e l’Ue hanno tuttavia fortemente contestato la legittimità e la natura democratica del voto. […] L’esercito di Assad sta piano piano riconquistando tutti i territori controllati dai ribelli ormai ridotti ai minimi termini. I gruppi che all’inizio del conflitto erano appoggiati dall’Occidente sembrano ormai essersi dispersi, e i pochi rimasti lottano fianco a fianco agli jihadisti per un ultimo disperato tentativo di rovesciare Assad. […] Con la guerra che sta volgendo in favore del dittatore e grazie all’alleato russo, Assad ha voluto dimostrare di rimanere intoccabile anche per gli Usa» (Matteo Margheri). «Quando esplose la rivolta, l’Occidente riteneva che Assad sarebbe stato spazzato via in pochi mesi, come Ben Alì, Mubarak e il già pericolante Gheddafi: fu così che iniziò l’afflusso dei jihadisti e dei foreign fighters ai confini tra Turchia e Siria, con i soldi dei sauditi e del Qatar e l’assenso di Parigi e di Washington, che a Bashar preferivano gli affari con le monarchie del Golfo e i sunniti. Gli esiti di questo calcolo sbagliato sono stati sconvolgenti. La Turchia, Paese della Nato, si è trovata a confinare con i suoi peggiori nemici, i curdi siriani “cugini” del Pkk, e costretta a inchinarsi a Putin. Assad al potere costituisce una sfida per gli Usa ma soprattutto per le potenze sunnite e Israele, i pilastri da 70 anni del sistema americano nella regione. Questa è la partita in Siria: la guerra civile e per procura si è trasformata in un conflitto dove si decide la supremazia tra Oriente e Occidente» (Negri). «All’ottavo anno di guerra civile, non potrebbe essere più chiaro di così: nessuno pensa a un regime change in Siria per cacciare il presidente Bashar Al Assad. Chiunque avesse voluto provarci avrebbe potuto sfruttare le occasioni offerte dagli sconvolgimenti e dalle atrocità nei sette anni precedenti. È vero invece l’opposto: ormai tutti i leader più importanti del mondo pensano che Assad resterà al suo posto» (Daniele Raineri). «In Siria si avvicina l’offensiva finale per espugnare l’ultima roccaforte dei ribelli, nella provincia settentrionale di Idlib. L’esito della battaglia, ormai scontata, peserà sui negoziati che determineranno il futuro assetto della Siria e la relativa spartizione del Paese in aree di influenza. Il governo di Bashar Al Assad e il suo alleato russo considerano la provincia in questione “un focolaio di terroristi” da debellare al più presto, e hanno ammassato per farlo tra i 100.000 e i 150.000 uomini in vista di quella che si annuncia come una campagna ancor più sanguinosa di quelle per la riconquista di Aleppo e della Ghouta orientale, alla periferia di Damasco. […] Il ministro degli Esteri siriano Walid Al Muallim è tornato a evocare il complotto americano-britannico-francese contro la Siria, affermando che questi Paesi sostengono i “terroristi”. Ma a Idlib, ha avvertito, “noi andremo fino in fondo”» (Camille Eid) • «Bashar non ha mai avuto il carisma di Basel e parte del suo potere è stato gestito dall’altro fratello Maher, a capo della Quarta Divisione corazzata e della Guardia repubblicana, due corpi di élite. E fu proprio Maher con i suoi carri armati a reprimere la rivolta esplosa nel marzo 2011. […] Un posto a parte occupa Asma, la moglie di Bashar. Alta, chic, con un look occidentale e sempre alla moda, Asma era stata definita agli esordi sulla scena pubblica da Paris Match come “la Lady Diana orientale”, guadagnandosi le copertine dei rotocalchi internazionali. Figlia di un noto cardiologo siriano e di una diplomatica, Asma è una musulmana sunnita: messa nel cassetto una laurea in Scienze informatiche del King’s College di Londra, ha sposato in segreto nel 2001 Bashar, che peraltro aveva già una prima moglie britannica. Amante del lusso, criticata dall’opposizione per essere una donna vanesia e distante dalla realtà di un Paese devastato, Asma in realtà è rimasta con i figli [tre: due maschi e una femmina – ndr] sempre al fianco del marito, apparentemente senza mai abbandonare Damasco, nonostante l’escalation di una guerra che appare senza fine» (Negri) • «Nonostante il conflitto che sta distruggendo l’intero Paese, Assad, usando abilmente le immagini, non si fa quasi mai vedere in divisa. Lui – è questo il messaggio che c’è dietro – non vuole esser il classico dittatore mediorientale, come Saddam Hussein e Mu’ammar Gheddafi. Le sue apparizioni sono quasi sempre in giacca e cravatta, in alcuni casi anche in semplice camicia. […] Anche quando visita i fronti e saluta i soldati impegnati in prima linea, Assad si mostra in abiti civili. […] Più che una classica propaganda, i media vicini ad Assad sembrano voler rilanciare l’idea di normalità, la stessa che la popolazione siriana ricerca a partire dal 2011. Forse, anche in questo va ricercata la vittoria che sta permettendo ad Assad e allo Stato ideato dal padre di rimanere in vita, e con un forte sostegno popolare» (Indelicato).