Il Messaggero, 10 settembre 2018
Così i robot faranno le diagnosi al posto dei medici
Il giorno in cui gli algoritmi di intelligenza artificiale saranno in grado di stilare diagnosi mediche come il più esperto dei clinici, si avvicina. E un passo fondamentale è stato appena compiuto grazie alla collaborazione tra DeepMind (società controllata da Google), l’Università di Londra e il Moorfields Eye Hospital, il centro inglese più avanzato per la cura delle malattie dell’occhio.
In un articolo pubblicato su Nature Medicine sono descritti i risultati di un esperimento in cui, basandosi sul Deep learning, (il meccanismo di apprendimento automatico in grado di scoprire strutture significative nei dati raccolti), è stato creato un software capace di identificare i disturbi più comuni dell’occhio. Partendo da scansioni 3D, il software raccomanda il trattamento corretto, con velocità e precisione senza precedenti.
Doctor A.I. non è pronto per essere utilizzato in ospedale al fianco dei medici, ma non manca molto; anche perché gli interessi di Google nelle applicazioni biomediche dell’Intelligenza Artificiale sono considerevoli, e DeepMind, la società nota per aver sviluppato il primo programma in grado di battere un giocatore professionista di Go, è il centro più avanzato al mondo. Trecento milioni di persone soffrono di disturbi alla vista. Non mancano i critici, preoccupati di come questi sistemi saranno integrati nella routine medica.
Com’è nata la collaborazione tra DeepMind e le istituzioni mediche?
«Due anni fa siamo stati contattati dal dottor Pearse Keane, oftalmologo al Moorfields. Ci ha chiesto se eravamo in grado di rispondere alla necessità di analizzare le scansioni oculari in modo rapido e corretto. Keane è il primo oftalmologo ad aver vinto il premio come miglior clinico del National Institute for Health Research».
Quali sono i vantaggi di una diagnostica affidata all’intelligenza artificiale rispetto a quella dell’uomo?
«Ogni scansione o risultato di un test contiene le informazioni fondamentali per capire se un paziente è a rischio o no, e quali misure siano necessarie. I sistemi basati sull’intelligenza artificiale possono essere determinanti. Invece di redigere manualmente programmi capaci di riconoscere i segnali di una malattia, un compito proibitivo per le variabili di cui tener conto, i sistemi di A.I. possono essere educati a interpretare i risultati da soli, e capire quali trattamenti siano poi più efficaci per ogni paziente».
E in pratica?
«I benefici sono i seguenti. 1)Un accesso più egualitario alle cure. La richiesta di questi protocolli medici è più alta in alcune aree del mondo, e in alcuni ospedali più che in altri. Riuscire a fornire un supporto di altissimo livello ovunque, comporterebbe un miglioramento generale. 2) Aumento della velocità. Le tecnologie che sviluppiamo saranno in grado di offrire in tempi brevissimi un primo parere sul paziente, rendendo più rapido il passaggio dagli esami al trattamento clinico. 3) Un altro effetto è la creazione di nuovi sistemi di diagnosi. I sistemi di A.I. hanno il potenziale di trovare strade alternative per connettere le relazioni anche più sottili tra sintomi differenti e risultati diagnostici. E gli strumenti di a.i. migliorano di continuo. Ciò potrebbe aiutare gli ospedali a valutare nuovi protocolli terapeutici».
Quali sono le altre sperimentazioni di intelligenza artificiale in campo biomedico?
«Lavoriamo con gli ospedali dell’università londinese per capire se il machine learning (l’apprendimento automatico) possa essere di aiuto allo staff medico nel pianificare efficacemente i trattamenti radioterapici per i malati di cancro. I processi utilizzati ora, consumano molta energia; la nostra ricerca è volta a far guadagnare ai medici il tempo che potrebbero usare con il malato o nella ricerca. Altre collaborazioni riguardano il Centro per le ricerche sul cancro dell’Imperial College: cerchiamo di capire se le macchine possano aiutare i medici a individuare nelle mammografie i segni di un possibile tumore, e meglio di quanto facciano i sistemi attuali. Abbiamo anche sviluppato una app chiamata Streams: usata da dottori e infermieri, raccoglie una serie di dati medici sulle condizioni del paziente, permettendo di fare diagnosi molto più rapidamente. Se i risultati indicano che un paziente è a rischio immediato, l’app invia un segnale di allarme».
Quando troveremo ad accoglierci in ospedale un sistema di intelligenza artificiale?
«È ancora presto. La tecnologia sviluppata con Moorfields deve essere sottoposta a trial clinici prima di essere usata».
Che cosa pensa delle critiche a questi nuovi software?
«Le tecnologie che sviluppiamo non sono programmate per sostituire l’uomo, ma uno strumento per aiutare i professionisti a dare la giusta priorità ai pazienti con maggiore urgenza di trattamento. E la responsabilità finale sarà sempre degli esseri umani».