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 2018  settembre 09 Domenica calendario

I robot che creano lavoro

Forbici finlandesi, automobili tedesche, tessili indocinesi, miniere australiane ed un recente studio del Massachusetts Institute of Technology aiutano a comprendere le trasformazioni nel mondo del lavoro innescate dall’arrivo dei robot. E le sorprese non mancano.
Le forbici finlandesi sono quelle prodotte da Fiskars Ab nella fabbrica di Helsinki dove le lame di metallo venivano forgiate a mano in fornaci da 2700 gradi fino a quando nel 2011 quel lento e pericoloso lavoro è stato assegnato ai robot consentendo di assegnare ai tecnici compiti di controllo di qualità, test e correzioni artigianali che nessuna macchina è in grado di eseguire. Il risultato è stato un aumento della produzione, la diminuzione dei prezzi ed un conseguente stimolo della domanda che ha portato ad un organico di 8650 dipendenti rispetto ai 4515 del 2007. In maniera analoga nello stabilimento Bmw dì Spartanburg in South Carolina l’introduzione negli ultimi dieci anni dei robot nella catena di produzione ha determinato una redistribuzione del lavoro, con i dipendenti che ora si occupano dei controlli finali di qualità con il risultato di raddoppiare la realizzazione di autovetture – portandola a 400 mila unità – mentre la manodopera è cresciuta da 4200 a 10 mila persone. Il motivo di tale aumento è che le macchine sono assai diverse da quelle del 2008: anziché 3000 parti ne hanno 15.000 trasformando i controlli finali di qualità nel cuore del rapporto fra produttore e consumatori. A confermare l’importanza dell’equilibrio fra qualità garantita da dipendenti sempre più qualificati e quantità frutto dei robot è il caso di Tesla perché le difficoltà del modello 3, realizzato a Fremont in California, si devono «all’eccesso di automazione della vettura», come lo stesso ceo Elon Musk ammette, sottolineando che «il valore degli esseri umani nella produzione viene spesso sottostimato».
Ovvero,
è l’eccesso di robotica l’origine del fatto che Tesla produce ogni settimana meno della metà delle 5000 vetture Model 3 che aveva previsto.
Altri tasselli di questi nuovi equilibri nel mondo della produzione arrivano dall’Australia Occidentale, dove il gigante delle miniere Rio Tinto ha introdotto i camion-robot per scavare più in profondità, più a lungo e con maggiore precisione di quanto i migliori minatori riuscirebbero mai a fare, e dall’Indocina dove – secondo l’Organizzazione mondiale del lavoro – il 90 per cento dei posti di lavoro in Cambogia e Vietnam nei settori del tessile e delle scarpe sono a rischio a causa dei «sewbots», i robot che realizzano ogni tipologia di cucitura.
A tentare di dare una lettura complessiva di questi stravolgimenti in atto è lo studio «L’automazione sposta il lavoro?» confezionato dagli analisti David Autor del Massachusetts Institute of Technology e Anna Salomons dell’ateneo di Utrecht secondo cui, aggregando i dati fino a questo momento disponibili, si arriva alla conclusione che il totale dei posti di lavoro creati dall’introduzione dei robot è superiore a quelli che vengono distrutti ma «coloro che perdono lavoro non sono necessariamente gli stessi che svolgono quelli creati perché richiedono qualità professionali differenti». Una delle conferme più lampanti in proposito viene dalla Gran Bretagna dove, secondo una ricerca di Deloitte, negli ultimi 15 anni l’automazione ha portato alla distruzione di 800 mila posti non qualificati ed alla simultanea creazione di 3,5 milioni di impieghi qualificati la cui remunerazione media è di 13.500 dollari in più a quelli perduti. Se a ciò aggiungiamo che secondo l’Asian Development Bank l’automazione ha creato nella sua regione geografica 34 milioni di posti di lavoro a causa di «aumento della qualità e diminuzione dei prezzi», è facile arrivare alla conclusione che i robot non stanno sostituendo gli esseri umani ma trasformano radicalmente il mercato del lavoro. Creando un nuovo equilibrio a vantaggio degli impieghi più qualificati dove genio, creatività e competenza rendono l’uomo superiore alle macchine. Tutto ciò può generare straordinarie opportunità di sviluppo se governi ed aziende private investiranno in maniera strategica nella formazione e nell’innovazione, tanto delle nuove generazioni come dei lavoratori più anziani, mentre se tali scelte tarderanno il serio rischio sarà di assistere ad un drammatico aumento delle diseguaglianze economiche e sociali. Il bivio fra crescita e instabilità non potrebbe essere più lampante. A fare la differenza saranno dunque le singole scelte di leader politici, legislatori e manager aziendali che nei singoli Paesi si trovano a fare i conti con la rivoluzione dei robot.