il venerdì, 24 agosto 2018
Ritratto di Antonio Tajani, sottovalutato e vincente
Si può vincere proprio perché nessuno ti prende mai sul serio?». Non c’ è solo l’Italia degli spacconi e dei folgoranti successi seguiti da rapide morti, l’Italia dei bulli e dei generali senza truppa. Oggi la più grande Italia è quella degli alter ego, degli ectoplasmi, dei politici per procura o per sorteggio. Ebbene Antonio Tajani sembra davvero il loro leader quando di sé dice: «Il sottovalutato è il vero protagonista di questo nostro tempo instabile, ma indecifrabile». A tenergli compagnia, tra gli ectoplasmi, ci sono maestri di cerimonia come il premier Giuseppe Conte, supplenti per bene come Maurizio Martina nel Pd, facce ammiccanti e sapute come Giancarlo Giorgetti nella Lega, e ovviamente tutti i parlamentari che Grillo e Casaleggio reclutarono in rete, più numerosi e più fake delle loro fake news.
Certo, se si misura Antonio Tajani dalla forza del suo nemico Matteo Salvini, se si considera la sproporzione – l’uno sotto e l’altro sopra la misura, l’uno al fondo e l’altro alla vetta dei sondaggi – ebbene allora Forza Italia è davvero perduta, la Lega la assorbirà e Tajani sarà ricordato come il commissario liquidatore del berlusconismo. E però gli ectoplasmi d’Italia hanno il vantaggio di partire tutti svantaggiati: «Conosco bene la forza dell’Agilulfo di Calvino, che non sembrava un cavaliere ma solo una lucida armatura vuota; chi l’avrebbe mai detto che sarei diventato, proprio io, il primo presidente italiano del Parlamento europeo?». Dunque gli ectoplasmi, che nello spiritismo sono impalpabili emanazioni di qualcun altro, energie parassite, forme a cui altri danno forma, in politica sono outsider e brocchetti e perciò antieroi, come lo stesso Di Maio che De Luca chiamava «l’ometto di Grillo» e invece, almeno per ora, sembra avercela fatta.
Sopra tutti, tra gli ectoplasmi vincenti, c’è l’inarrivabile modello Gentiloni, che Tajani sta cercando di riproporre a destra: il buon ectoplasma affidabile e rassicurante, il sostituto destinato a imporsi esibendo la prudenza e il grigio come valori, il leader ad interim, il “provvisoriamente al posto di“, il “signor nel frattempo” che, a furia di fare le veci e resistere al fuoco lento con la pazienza dell’arrostito, sale la scala e ascende al soglio, figlioccio che ammazza il padre, miracolato che si mette a fare miracoli. Tajani e Gentiloni furono compagni di scuola al Tasso. «C’erano pure Maurizio Gasparri, Nanni Moretti, Walter Veltroni, Alvaro Lojacono che finì nelle Brigate Rosse… Ma non bisogna pensare che fossimo tutti amici, che ci frequentassimo come nel club dei “saranno famosi“. Ho letto per esempio che c’era anche Lucrezia Reichlin, che però io neppure conoscevo. E invece hanno scritto che ne ero perdutamente innamorato». Il metodo Gentiloni applicato a destra significa mille frasi di buon senso: «In Europa ci vogliono nuove regole per ridurre le distanze tra istituzioni e cittadini»; «Serve una Ue che guardi al Sud»; «Ho proposto all’Europa una lista nera degli scafisti trafficanti, ma prima di tutto vengono l’umanità e la solidarietà».
E ora Tajani organizza l’Altra Italia, «un nuovo soggetto politico per la maggioranza silenziosa». Alla donna che in Piemonte gli ha mostrato il dito medio ha gridato: «Signora, viva la democrazia». Sono le frasi dell’uomo senza qualità, banalità e buon senso di destra, sulla Tav, sulle tasse e pure sui diritti degli omosessuali, «credo e difendo i diritti delle coppie dello stesso sesso, ma sui figli non sono d’accordo, penso che tutti debbano avere un padre e una madre». In settembre alla Convention di Fiuggi, che è la città dove abita, Berlusconi gli darà lo scappellotto dolce e paterno, il famoso quid che nel berlusconismo è il monosillabo malandrino dell’investitura. Le elezioni europee saranno il suo esame, ma per ora Tajani non ha nemici visibili, neppure un Brunetta, neppure una Ronzulli. Nella lunga collezione berlusconiana degli eredi disegnati, non c’era mai stato un altro delfino accettato da tutti. E val la pena ripassare la lista: Giovanni Toti, Stefano Parisi, Franco Frattini, Mauro Pili (chi era costui?), Maurizio Scelli, Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini, Roberto Formigoni, Corrado Passera, Angelino Alfano, Gianpiero Samorì (chi lo ricorda?), Guido Barilla, Guido Bertolaso. Davvero Tajani ce la farà proprio perché nessuno lo prende sul serio?
È nato nel ‘53 e già negli anni Sessanta, quando nei licei si faceva a botte, nessuno lo prendeva sul serio perché era di destra sì, ma non era fascista, lui era monarchico. E come si poteva nel ‘68 prendere sul serio il baciamano e il fiabesco, il principio d’autorità carismatica e anti-illuminista? «Io non ho mai amato la nobiltà, ma la monarchia popolare, quella dei vicoli di Napoli, dei martiri di via Medina». Ma lo sanno al Parlamento europeo che sei monarchico? «Non rinnego nulla, ma la monarchia non è tema d’attualità». E però… «Beh, ammiro le grandi monarchie europee, sono stato amico di Juan Carlos e sono amico di Felipe di Spagna, che quando mi ha dato il premio Carlo V si è alzato in piedi benché non fosse previsto». Era monarchico il nonno Mario «agricoltore e soldato, era stato artigliere e raccontava in estasi di quel giorno quando aprendo la porta si era trovato davanti al re». C’è una vecchia foto del giovane Tajani con la barba savoiarda, non il pizzo ardimentoso di Italo Balbo, ma le fedine asburgiche, barba e baffi a scopettone, il pelo di Cavour. Oggi ha una faccia a pagnotta, più che paffuto è pacioccoso,un morbido e incanutito cicciobello, con l’aria dell’usato sicuro. Ha infatti le forme ruspanti della Ciociaria, che è l’ombra di Roma, il suo serbatoio, il Lazio fertile che corre verso Napoli, l’umanità dei burini e dei grandi italiani da Cicerone a Vittorio De Sica, da Tommaso Landolfi a Marcello Mastroianni e Nino Manfredi… E poi, ovviamente, c’era Ciarrapico, fascista e democristiano. I fascisti ciociari non erano di quelli che menavano, e raramente facevano paura.
Antonio è figlio unico di un generale dell’esercito e di un’insegnante di latino. I primi anni li passarono a Parigi perché era la sede della Nato: «Ho imparato il francese da piccolo». Poi Roma e Bologna. Laureato alla Sapienza in Giurisprudenza, voto 108, studiava e faceva il giornalista. Cominciò con il Settimanale, allora edito da Rusconi e diretto da Ignazio Contu, poi il Gr con Rizzo come direttore. E infine Guido Paglia, che era un fascistone, lo portò al Giornale di Montanelli redazione romana: scrittura militante ma senza strepiti, non ci provò nemmeno a scimmiottare Montanelli, «anche lui era monarchico» dice con fierezza.
Al Giornale diventa l’uomo di fiducia di Paolo Berlusconi, un altro ectoplasma italiano, che gli presenta Silvio, di cui nel fatidico 1994 diventa il primo portavoce, subito premiato con la candidatura al Parlamento europeo, dove è sempre rimasto, anche perché gli elettori lo bocciarono alle politiche, e a Roma gli preferirono Veltroni come sindaco. A Bruxelles non si è mai trasferito e lì vive in affitto in una casa di Valentino Valentini, che di Berlusconi è stato interprete e segretario. Torna a Roma per le feste e i fine settimana, senza assenteismi. I suoi orgogli sono: la rinunzia prima a una buonuscita di 500 mila euro e poi all’indennità supplementare di presidente di 1.300 euro al mese; e la strada che gli hanno dedicato a Gijón, un paesino delle Asturie dove da commissario europeo per l’industria nel 2014 convinse la Tenneco a riaprire una fabbrica con più di 200 operai. Le sue vanità sono la collezione di cittadinanze onorarie, in Europa, ma soprattutto in Ciociaria, comprese Trivigliano, dove fa volontariato in una comunità che aiuta i tossicodipendenti, e a Vietri sul Mare, dove fece il servizio militare nell’aeronautica. Infine, vanità delle vanità: «Sono stato a cena con Ronaldo».
È juventino perché la nonna materna, Maria, era piemontese. E la esibisce insieme all’avo socialista Enrico Tajani. Giura di dovere tutto alla moglie Brunella, romana, che insegnava Educazione fisica e gli ha dato due figli: Flaminia, 28 anni, psicologa; Filippo, 23 anni, laureato in Scienze motorie, che vorrebbe fare il manager sportivo. Dice di Berlusconi, al quale da del lei ricambiato con il tu: «Gli devo tutto». Sottovoce aggiunge: «Credo che anche lui mi debba tanto». E vuol dire che per lui ha ricucito, soprattutto con la Merkel che – eccone un’altra – di Tajani apprezza la naturale modestia, così poco berlusconiana, anche se non parla tedesco, ma francese, inglese e spagnolo. Ed è spagnolo il suo libro dei sogni, la storia di Teodosio che divenne imperatore di Roma pur essendo un ispanico, un provinciale, un burino, un ciociaro che nessuno prendeva sul serio. La forza di Teodosio? «Sapeva farsi sottovalutare».