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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Mario Moretti

Mario Moretti, nato a Porto San Giorgio (all’epoca in provincia di Ascoli Piceno, oggi di Fermo) il 16 gennaio 1946. Terrorista. Leader delle Brigate rosse dal 1976 al 1981 «Il padre è commerciante di bestiame, la madre maestra di musica. Diplomatosi perito industriale, all’inizio del 1968 è a Milano in cerca di lavoro. Ha in tasca due lettere di raccomandazione: una del rettore del Convitto di Fermo, Ottorino Prosperi, per un posto all’Università Cattolica, l’altra della marchesa Anna Casati Stampa di Soncino, per un impiego alla Sit-Siemens. Lo assumono in fabbrica. Qui diventa subito amico di Corrado Alunni, Giorgio Semeria e Paola Besuschio. Con loro entra a far parte del Collettivo politico metropolitano di Renato Curcio e di Margherita Cagol. Il 29 settembre 1969, in una comune di piazza Stuparich, si sposa con Amelia Cochetti, maestra d’asilo. Avranno un figlio, Marcello Massimo. La scelta della clandestinità arriva, per Moretti, tra l’estate e l’autunno del 1970, quando con il gruppetto dei compagni della Sit-Siemens e del collettivo dà vita a quello che sarà il nucleo storico delle Brigate rosse. È un teorico ed elabora i primi documenti brigatisti, ma è anche tra i primi a prendere le armi e a entrare in azione» (Sergio Zavoli). Il suo debutto fu la prima rapina in banca del gruppo, compiuta il 30 luglio 1971 a Pergine Valsugana. Bottino: nove milioni di lire. Il 3 marzo 1972 Moretti prese parte anche al primo sequestro, quello dell’ingegner Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens, rilasciato nell’arco di poche ore. Il 4 maggio successivo, sfuggito a una retata e fatto oggetto di un mandato di cattura, Moretti entrò in clandestinità. Negli anni successivi rafforzò progressivamente il suo ruolo, e nel 1976, dopo la morte di Mara Cagol e il nuovo arresto di Renato Curcio, giunse al vertice del comitato esecutivo delle Brigate rosse, riorganizzandole e imprimendovi una svolta cruenta. Fu Moretti, infatti, a guidare il primo attentato delle Br contro un obiettivo strategico, quello che l’8 giugno 1976, a Genova, costò la vita al magistrato Francesco Coco e ai due uomini della sua scorta. Seguì, nel 1977, una lunga serie di sequestri, ferimenti e omicidi mirati, che culminò poi, il 16 marzo 1978, nell’«attacco al cuore dello Stato»: l’agguato di via Fani, a Roma, cioè il sequestro del presidente della Dc Aldo Moro e l’uccisione dei cinque uomini della sua scorta. In tutta la vicenda, Moretti ebbe un ruolo centrale: secondo la ricostruzione più accreditata, infatti, fu lui quella mattina a guidare la Fiat 128 che bloccò le auto di Moro, e poi a trasportarlo nel luogo prescelto per la prigionia, a interrogarlo, a scrivere i comunicati brigatisti, a gestire i tentativi di trattativa, e infine, dopo 55 giorni, il 9 maggio, a uccidere lo statista. In seguito, sempre più criticato anche all’interno delle stesse Brigate rosse, Moretti perseverò – come esecutore o come mandante – in azioni di crescente ferocia (tra cui l’omicidio dell’operaio Guido Rossa, il 24 gennaio 1979, a Genova), fino a quando, dopo essere riuscito a sfuggire più volte (in circostanze tuttora oggetto di speculazioni), il 4 aprile 1981 fu finalmente arrestato a Milano, e si dichiarò subito «prigioniero politico». Processato e condannato complessivamente a sei ergastoli, tra il 1987 e il 1988 proclamò, insieme ad altri esponenti storici delle Br come Renato Curcio e Barbara Balzerani, la conclusione della lotta armata e la fine delle Brigate rosse, rifiutando però ogni dichiarazione di pentimento o dissociazione, e ciononostante chiedendo una «soluzione politica» per i terroristi ancora detenuti. Dal 1997 gode del regime di semilibertà, prestando lavoro all’esterno del carcere durante il giorno e rientrandovi la sera Un figlio dalla prima moglie, una figlia dalla seconda «La memoria di noi non è morta. Non è neanche conservata. È esorcizzata, allontanata, deformata. Non si finisce mai con il processo Moro, tutti sanno tutto e tutti continuano a elucubrare, a non vedere quel che è semplice. Tragico e semplice» (a Carla Mosca e Rossana Rossanda).