5 settembre 2018
Tags : Lidia Ravera
Biografia di Lidia Ravera
Lidia Ravera, nata a
Torino il 6 febbraio 1951. Scrittrice. Giornalista. Circa tre milioni e mezzo
di copie vendute, la maggior parte delle quali con il primo libro, Porci con le ali. Diario sessuo-politico di due adolescenti (Savelli, Roma 1976),
scritto a quattro mani col neuropsichiatra Marco Lombardo Radice (1949-1989) • Nata in una «famiglia della buona borghesia
torinese: mio padre era un ingegnere, mamma una donna intelligente». «Ho fatto
il liceo classico al Gioberti negli anni del ’68. Un giorno, insieme a Paolo
Hutter, Davide Panzieri, Chiara Garavini e altri, eravamo tredici in tutto,
organizzammo un corteo interno per far capire a un ispettore del ministero
quanto era sgradito. Mi cacciarono dalla scuola, ma quando rientrai ottenni la
media migliore all’esame di maturità e finii quindi sulle pagine della Stampa.
[…] A 18 anni sono scappata di qui. […] Nulla di personale contro Torino. Mi
sono ribellata a questa città come ci si ribella alla famiglia, un modo come un
altro di mettere dei confini» (a Vera Schiavazzi). «All’inizio degli anni ’70,
a Milano, fondai un giornalino che si chiamava “Il pane e le rose”. Mi occupavo
di musica pop, di droghe leggere… Feci un’inchiesta sul sesso nelle scuole, e
una preside di area Pci mi denunciò. Così venni notata da Panorama. Il
direttore Lamberto Sechi mi propose tre mesi di prova. Al momento di rinnovare
la collaborazione gli dissi che sarei andata a lavorare con Claudio Sabelli
Fioretti al settimanale Abc. Era più di sinistra. Abc però venne chiuso poco
dopo a causa di una copertina che titolava “Polizia assassina”. Licenziata e
con una situazione sentimentale spericolata, […] durante una riunione dei
Circoli Ottobre, legati a Lotta continua, annunciai la mia intenzione di farmi
una vacanzetta a Roma, e loro mi diedero un indirizzo: via Claudia 23. Era casa
di Marco Lombardo Radice. A Roma divenni condirettrice di Muzak, rivista
musicale diretta da Giaime Pintor. Era una redazione di simpatici fattoni. Porci con le ali avrei voluto scriverlo
con Giaime, ma lui beveva davvero troppo. Lo feci con Marco. Non lo avevamo
pensato come un romanzo. Era nato per essere un pamphlet politico, un’antologia
di pratiche sessuali amorose, utile per gli studenti medi di area Lotta
continua. All’inizio venne stampato in mille copie. […] Quel libro mi ha
cambiato la vita, nel bene e nel male» (a Vittorio Zincone). Al grande successo
e al grande scandalo di Porci con le ali,
inizialmente sottoposto anche a sequestro giudiziario per oscenità (così come
il film omonimo del 1977 diretto da Paolo Pietrangeli, che non ebbe però la
stessa fortuna), seguirono nel corso degli anni altri ventinove libri, nessuno
dei quali destò altrettanta attenzione: tra gli ultimi, Piangi pure, Gli scaduti
e Terzo tempo, tutti editi da Bompiani.
Lidia Ravera è inoltre autrice di una sessantina di sceneggiature e di un gran
numero di articoli per varie testate (dall’Unità a Io donna, da MicroMega al
Fatto Quotidiano). Dal marzo 2013 è assessore alla Cultura e alle politiche
giovanili della Regione Lazio, all’interno della giunta di centrosinistra
guidata da Nicola Zingaretti • «La
prozia di suo padre, Camilla, aveva fondato il Pci. Politicamente, lei si
descrive così: “iscritta alla Fgci, movimentista e poi extraparlamentare e poi
femminista e poi sinistra Ds e poi Aprile e poi sinistra fuori dai Ds e poi
girotondina e poi madre costituente del Piddì, disposta a inghiottire dubbi e
critiche per far vincere almeno uno straccio di democrazia”» (Federico Raponi).
Ferocemente antiberlusconiana (nel 2011 fu tra le promotrici del movimento «Se
non ora, quando?») e antirenziana della prima ora (nel novembre 2013, quando
Renzi era ancora sindaco di Firenze, esecrò la delibera istitutiva del
«cimitero dei non nati», destinato cioè alla sepoltura dei figli abortiti, da
lei definiti meri «grumi di materia») • Sposata con il regista e sceneggiatore Mimmo
Rafele, due figli, Nicola (a propria volta scrittore e sceneggiatore) e
Maddalena • «Mi ricordo
perfettamente di me stessa, avevo un giaccone blu da marinaio, i capelli lunghi
e sottili, occhi da sberle (belli, arroganti) e una voce possente. Gridavo nel
corteo: “Per i fascisti / non basta una sfilata: / prognosi, prognosi /
riservata”. Cordone, cordone, marciavamo abbarbicati. Sognando sangue. Mi
pento, mi vergogno, d’aver gridato. Come mi vergogno d’aver brindato alla morte
del commissario Calabresi. Non ero una sanguinaria. Ero superficiale. E
conformista. Mi vergogno della mia giovinezza conformista. Non ero cattiva, ero
oca. Pur sognandomi romanziera, a diciotto anni, diciannove, non facevo lo
sforzo di mettermi dal punto di vista degli altri».