5 settembre 2018
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Biografia di Fayez Mustafa Al Sarraj
Fayez Mustafa Al
Sarraj, nato a Tripoli il 20 febbraio 1960. 57 anni. Presidente del Consiglio
presidenziale della Libia (dal 30 marzo 2016) e primo ministro della Libia (dal
5 aprile 2016) • Scarsissime e nebulose
le informazioni sul primo cinquantennio della sua vita. Nato in un’importante
famiglia tripolina proprietaria di terreni e di negozi, suo padre Mustafa Al
Sarraj – definito «uno dei fondatori della Libia moderna dopo la sua
indipendenza dall’Italia» – fu parlamentare e ministro al tempo di re
Idris, il monarca filoccidentale che regnò sul paese dal 1951 fino al 1969,
quando fu deposto da Gheddafi. Quanto a Fayez Al Sarraj, risulta architetto o
ingegnere (a seconda delle fonti), ex ministro dell’Edilizia e dello Sviluppo
urbano sotto Gheddafi, uomo d’affari e proprietario di una società di
consulenza. In seguito alle rivolte del 2011, divenne dapprima membro della
Commissione per il dialogo nazionale, e poi parlamentare indipendente, rivestendo
anche il ruolo di ministro dell’Edilizia e dei Servizi pubblici nel brevissimo
governo Maitig. A proiettarlo al centro della ribalta nazionale e
internazionale fu l’accordo faticosamente raggiunto il 17 dicembre 2015 a
Skhirat (Marocco), con la fondamentale mediazione dell’Onu, tra i due
«parlamenti» libici, il Consiglio nazionale generale di Tripoli (islamista e
non riconosciuto) e la Camera dei rappresentanti di Tobruk: esso stabiliva l’istituzione
di un Consiglio presidenziale, quale vertice supremo dello Stato e dell’esercito,
di un Alto Consiglio di Stato, quale corpo legislativo «erede» del Consiglio
nazionale generale da affiancare alla Camera dei rappresentanti, e di un
Governo di accordo nazionale, quale unico esecutivo del Paese, prevedendo l’indizione
di nuove elezioni entro due anni. L’accordo fu prontamente approvato all’unanimità
dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, che riconobbe (cioè, di fatto, impose),
appunto, Fayez Al Sarraj a capo sia del Consiglio presidenziale (come presidente
facente funzioni) sia del Governo di accordo nazionale. Le contraddizioni alla
base di quella fragile intesa finirono però per deflagrare ancora prima che il
nuovo primo ministro si fosse insediato. Costituitosi dapprima a Tunisi, il
nuovo governo libico approdò a Tripoli su una nave militare il 30 marzo 2016,
tra le minacce incrociate del primo ministro (non riconosciuto) di Tripoli,
Khalifa Al Ghawil, e dell’uomo forte di Tobruk, il generale Khalifa Haftar
(ministro della Difesa del governo cirenaico e capo di stato maggiore dell’esercito),
oltre che dell’Isis: Al Sarraj e i suoi ministri furono quindi costretti a
rifugiarsi nella base navale militare di Abu Sittah, dove, quasi in stato d’assedio,
assunsero formalmente la guida del Paese. Se Al Ghawil dopo poco lasciò la
capitale, e l’assemblea di Tripoli riconobbe la legittimità del nuovo
esecutivo, il generale Haftar e con lui l’assemblea di Tobruk continuarono però
a considerarlo un fantoccio manovrato dalla comunità internazionale, e ad
attaccarlo senza esclusione di colpi. Oltre due anni dopo l’accordo di Skhirat,
l’Isis è stata arginata, ma rimangono, a ostacolare una soluzione della crisi
libica, gli interessi incrociati delle potenze internazionali (al fianco di Al
Sarraj anzitutto l’Italia, che, trattando anche con le tribù locali, a inizio
2017 è riuscita a concludere un importante accordo per ostacolare le rotte dell’immigrazione
clandestina; con Haftar, oltre a Russia ed Egitto, la Francia, che a fine
luglio ha provato a intestarsi la pace ospitando una stretta di mano tra il
generale e il presidente), le rinnovate velleità di Al Ghawil e, da ultimo, l’ingresso
in scena di Saif Al Islam Gheddafi, il secondogenito del dittatore, che si è
detto pronto a candidarsi alla guida del Paese alle elezioni che si dovrebbero
tenere entro il 2018. «Il generale Haftar, dopo aver liquidato come assurda la
candidatura di Al Islam ed aver ribadito l’incapacità di Al Sarraj di governare
adeguatamente il Paese, dichiara che la Libia non è pronta ad una vita democratica
e che il suo Esercito nazionale è pronto ad intervenire nel caso la
consultazione elettorale non metta fine al disordine che lacera il Paese. Da un
lato, dunque, Haftar si dichiara pronto ad accettare le elezioni, mentre, dall’altro,
sembra preparare le basi per un intervento militare in caso di mancata
vittoria. Oltre ai principali protagonisti della vita politica e alle numerose
milizie governate dai signori della guerra, è da considerare il ruolo delle
minoranze etniche, la più numerosa delle quali è costituita dalla comunità
Amazigh (berbera), e che, dopo gli anni della repressione di Gheddafi, sono
tornate a voler giocare un ruolo importante nella politica libica. Infine, è
necessaria una riflessione sul ruolo dei Paesi dell’Unione europea, principali
destinatari del flusso migratorio che, partendo dall’Africa subsahariana,
attraversa proprio la Libia. La pressione migratoria ha messo in seria
difficoltà l’Ue, favorendo la crescita di movimenti politici nazionalisti e
xenofobi. Il tentativo di un’azione congiunta, inoltre, non è stato sempre
facile, e ha messo in evidenza le differenze di interessi che i singoli Paesi
(in particolare Italia e Francia) hanno, sia dal punto di vista politico (al
fine di giocare un ruolo preminente nella politica Ue nel Mediterraneo), sia
dal punto di vista economico (la Libia è ricca di idrocarburi). La recente
missione italiana in Niger aggiunge un nuovo tassello ad un mosaico già di per
sé complesso» (Francesco Snoriguzzi) • Sposato, tre figlie.