5 settembre 2018
Tags : Alessandro Gassmann
Biografia di Alessandro Gassmann
Alessandro Gassmann
(nato A. Gassman), nato a Roma il 24 febbraio 1965 (58 anni). Attore. Regista • Terzo dei quattro figli di Vittorio Gassman
(1922-2000) – dopo Paola e Vittoria, e prima di Jacopo –, e l’unico
nato dalla relazione con l’attrice francese Juliette Mayniel. «Ho ripristinato
il vecchio cognome di famiglia. Mi sono aggiunto una “enne” alla fine: ora sul
passaporto sono Alessandro Gassmann. Non per recidere il legame con mio padre,
che è sempre stato fortissimo. Ma per recuperare la storia familiare. Noi siamo
ebrei. Io a metà, mio padre per intero. Nel ’34 la nonna, che era rimasta
vedova con due figli e intuiva la bufera che incombeva, tolse la "enne"
al cognome dei figli e cambiò il suo da Ambron ad Ambrosi» (ad Aldo Cazzullo).
Secondo la sorellastra Paola, però, «Alessandro fa un po’ di confusione: il
nostro cognome è mutato quando papà Vittorio andò a lavorare in America.
Trascrissero male il suo passaporto, facendo cadere una “n”. Ma Gassman è
quasi un nome d’arte. Io ci sono affezionata. Il nostro cognome in realtà non è
ebreo, ma tedesco. Nonno Enrico [Heinrich
Gassmann – ndr], il papà di mio padre Vittorio, infatti, era
cattolico. Sua moglie, Luisa Ambron, invece era per metà ebrea» • «Nell’infanzia quella famiglia mi sembrava la
normalità: un padre, due madri, una che vedevo raramente e una d’elezione che
mi metteva le maglie di lana, tre fratelli di madri diverse, un fratello
acquisito, Emanuele Salce [nato nel 1966
da Luciano Salce e Diletta D’Andrea, poi terza moglie di Vittorio Gassman
– ndr], con cui ho condiviso per anni un lettone. […] Oggi mi
rammarico di essere stato un adolescente pluribocciato, in preda agli ormoni e
agli eccessi aggressivi. Picchiavo, ero violento, mi ficcavo in tutte le risse.
A 16 anni per menar le mani facevo il buttafuori al Piper. Quando mio padre lo
venne a sapere, al grido di "fascista, fascista" mi levò il motorino
e mi mandò a fare pugilato. Ho preso molti cazzotti e mi sono definitivamente
calmato. Vuole sapere che futuro prevedeva per me all’epoca? O pappone o
attore. Ho sfiorato anche l’altro mestiere. A 17 anni in Grecia con un gruppo di
coetanei, tutti in sacco a pelo, mi feci mantenere per una settimana da una
trentenne che alloggiava all’Excelsior. Di notte buttavo il cibo dalla finestra
ai miei amici. Quando mio padre lo seppe si fece un sacco di risate» (a
Stefania Rossini). Debutto cinematografico in Di padre in figlio, diretto dal padre e presentato alla Mostra di
Venezia nel 1982. «Io feci il film controvoglia, alla fine papà dovette anche
accelerare le riprese facendomi truccare da venticinquenne. Poi ci fu un
episodio particolarmente spiacevole: papà volle ricostruire quella volta che,
quando avevo undici o dodici anni, durante una lezione di inglese mi dette il
primo e unico ceffone della sua vita. Ebbene, sul set me lo diede di nuovo, con
la stessa forza, tanto che io piansi allo stesso modo. Ma in quel caso era come
se stesse adottando una terapia d’urto, mi stava dicendo a modo suo: “Benvenuto
nel mondo del cinema”. Quando papà seppe delle mie intenzioni di iscrivermi
all’Università [alla facoltà di Agraria
– ndr], mi volle subito con sé a teatro. Aveva paura che non
concludessi nulla. Qualche settimana dopo debuttammo a Pistoia con Affabulazione da Pasolini: io dovevo
recitare nudo e con i capelli tinti di biondo, sembravo un incrocio tra il
ballerino Truciolo e David Bowie! Per fortuna, al secondo atto, al centro della
scena c’era lui, e il pubblico nemmeno si accorgeva più della mia presenza sul
palco. Ci ho messo del tempo, tuttavia, prima di capire che mi piaceva fare
l’attore. Accadde quando Pino Quartullo mise in scena prima a teatro e poi al
cinema la commedia Quando eravamo
repressi. Lì mi resi conto che riuscivo a far ridere, sdrammatizzando così
la mia fisicità. Sapere di far ridere mi ha fatto venire la voglia di
migliorare come attore drammatico» (a Enrico Magrelli). Nel 1997 la prima,
importante affermazione, con Il bagno
turco (Hamam), debutto di Ferzan Özpetek: «Un film che nessuno voleva fare.
Il regista era sconosciuto, Marco Risi che lo produceva dovette impegnarsi casa
sua, gli attori rifiutavano uno dopo l’altro di interpretare un omosessuale. Lo
feci io e fu un grande successo, che mi portò anche diversi premi». Seguirono
vari sceneggiati televisivi (Nuda
proprietà vendesi, Crociati, Piccolo mondo antico, Dalida), l’ultimo film insieme al padre
(La bomba, di Giulio Base), e persino
la pellicola d’azione franco-americana Transporter:
Extreme, al fianco di Jason Statham. Nel 2008, «quasi per caso, è arrivato
il film Caos calmo, tratto dal libro
di Sandro Veronesi. Non si aspettava molto, se non l’opportunità di lavorare
con Nanni Moretti. Il ruolo era quello scomodo di non protagonista, del secondo
dietro al gigante. E invece gli è cambiata la vita. Il grande pubblico […] si è
innamorato di lui. Gli ha riconosciuto il talento e, soprattutto, l’umanità.
Con novanta minuti di proiezione ha cancellato l’immagine del figlio d’arte
privilegiato e inevitabilmente antipatico» (Irene Maria Scalise). Fu il suo
maggiore successo, consacrato da David di Donatello, Nastro d’argento, Ciak
d’oro e Globo d’oro della stampa estera. Successivamente ha preso parte a
commedie di vario livello (Ex, Natale a Beverly Hills, Basilicata coast to coast, Tutta colpa di Freud, Il nome del figlio, Beata ignoranza) e a serie televisive (Pinocchio, Una grande
famiglia, I bastardi di Pizzofalcone),
cimentandosi anche come regista (Razzabastarda,
Strappati, Il premio). Rilevante anche il suo impegno teatrale, come attore,
regista e direttore (dello Stabile d’Abruzzo dal 2009 al 2011, dello Stabile
del Veneto dal 2010 al 2014). «Io mi sono fatto le ossa a teatro, dove ho fatto
diverse regie di spettacoli di cui ero anche interprete: quelle esperienze mi
sono servite molto, sono state un’ottima palestra. Sul set mi succede questo:
quando sono al monitor e imposto la scena, sono completamente un regista e non
attore; quando viene dato il ciak, divento completamente un attore» (a
Valentina Torlaschi) • «Sulla bellezza, non ho
mai avuto problemi. Mio padre era magnifico, ma ho scoperto a 14 anni di
cavarmela benino anch’io. Me lo fece capire una donna spaziale: Raquel Welch,
l’immagine femminile più eccitante che io abbia mai incontrato. Avevo
accompagnato mio padre a Lecce per un premio. Lei mi apparve improvvisamente in
un ascensore. Mi mancava il fiato, ma, dopo avermi guardato bene, mi sussurrò: "Sei
ancora più bello di tuo padre". E se ne uscì svanendo per sempre nel
corridoio». Per il calendario di Max del 2001 posò nudo sulle rocce messicane. «Ricordo che scattammo le foto in una spiaggia
frequentata anche da turisti. Ogni tanto qualche italiano mi riconosceva: “A
Gassman, ma che stai a fa’ attaccato a ’sta roccia? Attento ai ricci…”» (ad Arianna
Finos) • Iperattivo su Twitter, polemizza spesso con politici d’ogni
schieramento (si dichiara un deluso di sinistra), denunciando soprattutto la
sporcizia di Roma. Ambasciatore dell’Unhcr, si batte in favore dello ius soli • Nel 1998 il matrimonio con l’attrice Sabrina Knaflitz e la nascita del
loro primo figlio, Leo. Antica e profonda l’amicizia con Gianmarco Tognazzi
(«come un fratello»), con cui ha spesso recitato • «L’ombra paterna, molto ingombrante, non mi ha mai oscurato. Io penso
che mi abbia, anzi, tenuto fresco quando c’era troppo sole» (a Silvia Nucini).