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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Alan Greenspan 

Alan Greenspan , nato a New York il 6 marzo 1926 (92 anni). Economista. Ex presidente della Federal Reserve (1987-2006) • Famiglia ebraica originaria dell’Europa centro-orientale. «Papà Herbert, agente di cambio a Wall Street, ha acquistato un appartamento a Manhattan. Mamma Rose lo porta a giocare al Central Park, a pregare nella Sinagoga. Il bimbo è precocissimo, posseduto da una duplice passione: i numeri (sa compiere, a tre anni, addizioni-moltiplicazioni a memoria) e la musica, col babbo che gli fa dono di un clarinetto. Con la Grande Depressione, la tragedia familiare: il padre, alla rovina, finisce sul lastrico. Rose, costretta a trovare un impiego da sguattera, chiede il divorzio, portando con sé il piccolo presso dei parenti benestanti, i Goldsmith. Alan può studiare, ma deve guadagnarsi il companatico, […] con espedienti: mettendo assieme la “Detective Scout” che tiene puliti i giardinetti dei condomini, suonando nei localini di Broadway. Ha deciso di diventare musicista professionista, profittando dell’esonero dal servizio militare (gli scoprirono una macchia polmonare al momento di venire trasferito nelle Filippine). Fu un errore del radiologo, che mutò il destino di Alan Greenspan. Le ambizioni artistiche, il diploma alla Juilliard Music School, sono frustrate dal mancato decollo della band. I parenti si quotarono per fargli frequentare corsi di economia aziendale alla NYU ed alla Columbia, a patto che accettasse di occuparsi anche della contabilità di alcune aziende della comunità ebraica. Compiti assolti con raro impegno e diligenza. Il salto di qualità è rapido. Con l’amico William Townsend crea un centro di consulenze – fra i primi clienti, la US Steel (acciaio) e la banca JP Morgan –, elaborando le teorie dello sviluppo infinito, basate sulla crescita parallela dell’industria e della finanza, sul primato dell’America con i pilastri nel “dollaro forte” e sulla globalizzazione pilotata da Wall Street. Strettissimi i legami con Milton Friedman, caposcuola del liberismo e premio Nobel. Nel 1968, Alan “scopre” il fascino della politica, entrando nello staff di Richard Nixon, che divenuto presidente lo inserisce nel board della Fed. Repubblicano convinto, finirà col trovare in Ronald Reagan il migliore interprete delle sue strategie. Nel 1987, l’ex attore di Hollywood gli consegnerà la Fed. George Bush senior confermerà l’incarico, ed altrettanto faranno Bill Clinton e George Bush junior» (Giancarlo Galli). «Per ben tre volte è stato decisivo nel salvare l’economia globale – e quindi tutti noi – da un sicuro e drammatico disastro. La prima volta lo ha fatto nel 1998, quando vengono temporalmente a coincidere due crisi di straordinaria portata: il collasso finanziario della Russia di Boris Eltsin e il crac del Long Term Capital Management, che per la prima volta fa capire quanto possa essere pericolosa la finanza estrema sui derivati. Era il momento anche della crisi delle cosiddette tigri asiatiche, Giappone in testa, e il mondo agli albori della globalizzazione avrebbe potuto venire travolto dal concatenarsi degli eventi. Greenspan indusse Clinton ad aiutare l’ex impero sovietico in disfacimento, e chiuse il caso dell’hedge fund intervenendo sulle banche per coordinarne il salvataggio. […] Il secondo intervento decisivo è stato a cavallo della fine del secolo. Era la primavera del 2000 quando il boom della Borsa, che con l’affermarsi della cosiddetta new economy era diventato irrefrenabile, cominciò la sua parabola discendente. Fu lui a "bucare" la bolla prima che scoppiasse, e con vera maestria evitò che lo sboom si trasformasse in un altro 1929, […] quando si accorse che il livello speculativo a Wall Street e più ancora nelle altre Borse del mondo aveva raggiunto livelli insostenibili. Tutti smisero di guadagnare, molti ci lasciarono un po’ di penne, ma la tragedia finanziaria fu scongiurata. Infine il momento sicuramente più drammatico. È l’11 settembre del 2001. Alla tragedia umana e politica dell’attacco fondamentalista alle Torri Gemelle di New York rischiava di aggiungersi l’implosione dei mercati finanziari di tutto il mondo. Greenspan chiamò la Bce e la Banca del Giappone, che con la Fed decisero di mettere in poche ore sul mercato qualcosa come 600 miliardi di dollari, una liquidità che insieme alla riduzione di mezzo punto dei tassi d’interesse (praticata anche dalla Banca Svizzera) tagliò le gambe alla speculazione ribassista impedendo il tracollo» (Enrico Cisnetto). «Tra il 2001 e il 2006 la necessità di superare lo shock post-11 set­tembre ha spinto la Fed ad abbas­sare nuovamente i tassi di interes­se, scesi fino a un minimo dell’1%. La motivazione è nobile: sostene­re produzione e consumi. Gli inve­stimenti, però, si indirizzano ver­so un settore tradizionalmente considerato remunerativo, quello immobiliare. Il mix è esplosivo: il debito facile a tassi bassi spinge il consumo e l’acquisto di immobili, i cui prezzi aumentano. Le banche Usa finanziano l’acquisto di case anche a chi non avrebbe i requisiti (i clienti subprime). I mutui vengo­no cartolarizzati, cioè immessi sul mercato sotto forma di titoli di de­bito, che a loro volta sono utilizzati come sottostante di derivati (i fa­migerati “titoli tossici”). Al ritorno dei tassi sopra il 5%, nel 2007, il ca­stello di carta crolla: il costo del de­bito aumenta, la gente non rimbor­s­a i mutui e i titoli collegati diventa­no carta straccia. Le banche che hanno pignorato gli immobili li ri­mettono sul mercato facendone crollare i prezzi. È la crisi che cono­sciamo» (Gian Maria De Francesco). «L’abilità e la lungimiranza dell’ex “economista più potente del mondo” sono state pesantemente messe in discussione con la crisi finanziaria. Per tutti parlò il deputato democratico Henry Waxman: non era stata la sua adesione ideologica ai princìpi del laissez-faire a portare l’America sull’orlo del disastro? […] Nella sua tesi dottorale, sempre Greenspan aveva scritto che “non esiste una macchina del moto perpetuo in grado di generare una crescita continua dei prezzi delle case”. Ma, nel momento in cui George W. Bush con la sua “ownership society” cercò di agevolare in ogni modo la proprietà immobiliare, il presidente della Fed non ebbe difficoltà a unirsi al coro. Gli incentivi ebbero ragione della lucidità analitica» (Alberto Mingardi) • Fondamentale, per la sua formazione, la frequentazione della filosofa e scrittrice russo-statunitense Ayn Rand (1905-1982). «Creatrice di una filosofia spartana detta “oggettivismo”, basata su una sorta di egoismo illuminato, la Rand era in realtà un’ideologa del capitalismo duro e puro. Il successivo empirismo antikeynesiano di Greenspan, il suo fiuto per i saliscendi dei tassi, la sua visione monetarista del mondo, il suo odio per la stagflazione derivata dagli eccessi della spesa pubblica, insomma il suo patrimonio teorico, […] venivano in parte dal cenacolo degli “oggettivisti” riuniti attorno all’energico scettro matriarcale di Ayn Rand» (Enzo Bettiza). «Dopo il disastro economico planetario provocato nel 2008 dal crollo della Lehman Brothers, Greenspan confessò di aver sbagliato a sottrarre i mercati finanziari ai controlli della banca centrale: l’aveva fatto per fede nella loro capacità di autoregolamentazione, secondo la visione libertaria maturata proprio nel salotto di casa Rand» (Massimo Gaggi) • Due matrimoni: il primo contratto nel 1952 e annullato neppure un anno dopo; il secondo, ancora in corso, contratto nel 1997 con la giornalista Andrea Mitchell, di vent’anni più giovane • «Preferisco avere un vicepresidente comunista piuttosto che uno tenero con l’inflazione».