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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Terence Hill

Terence Hill (Mario Girotti), nato a Venezia il 29 marzo 1939 (79 anni). Attore. Regista. Sceneggiatore • Secondo dei tre figli del chimico italiano Girolamo Girotti e della tedesca Hildegard Thieme, a quattro anni si trasferì con la famiglia in Sassonia, dove riuscì a scampare ai bombardamenti (dichiarò poi di aver assistito alla distruzione di Dresda). Dopo la fine della Seconda guerra mondiale si stabilì a Roma: qui, oltre a continuare a studiare, prese a dedicarsi al nuoto, gareggiando per la società sportiva Lazio, la stessa squadra in cui militava, a livelli molto superiori, Carlo Pedersoli (il futuro Bud Spencer, 1929-2016), che già all’epoca ebbe più volte occasione d’incontrare. Fu proprio durante gli allenamenti che lo notò un assistente di Dino Risi, il quale lo esortò a partecipare ai provini per il nuovo film del regista, Vacanze col gangster (1951). Fu il suo debutto cinematografico, tutt’altro che entusiasmante: «Mi trovai male, perché non mi piaceva recitare, non mi piaceva fare l’attore, avevo sempre la febbre e quindi con grande sforzo portai a termine il mio lavoro» (a Fabio Melelli). Ciononostante, e senza trascurare gli studi, continuò a recitare, diretto ancora da Risi (Il viale della speranza, 1953) e poi da registi come Georg Wilhelm Pabst (La voce del silenzio, 1953), Mauro Bolognini (La vena d’oro, 1955), Citto Maselli (Gli sbandati, 1955), Gillo Pontecorvo (La grande strada azzurra, 1957), Carlo Ludovico Bragaglia (Lazzarella, 1957), Anton Giulio Majano (Il padrone delle ferriere, 1959), Raffaello Matarazzo (Cerasella, 1959), Steno (Un militare e mezzo, 1960) e Sergio Corbucci (Il giorno più corto, 1963). La svolta avvenne però quando fu scritturato da Luchino Visconti per la parte del conte Cavriaghi ne Il Gattopardo (1963): «Quell’esperienza […] mi ha fatto decidere di intraprendere definitivamente la carriera d’attore, perché sino ad allora non ero ancora convinto che quella fosse la mia strada». Fu allora che decise di abbandonare la facoltà di Lettere (al terzo anno) e di iscriversi all’Actors Studio, col primario obiettivo di vincere ansia e timidezza. «Io abbandonai l’Italia per tre anni, perché […] mi ero fossilizzato nel ruolo del giovane diciottenne. Quindi partii, andai in Germania e feci, credo, dodici o tredici film, e la cosa bella fu che partecipai ai primi western europei, i quali, nessuno lo sa, ma li realizzarono i tedeschi e non gli italiani. […] Quando tornai in Italia momentaneamente nel ’67, ormai il western italiano stava morendo. C’era, però, una troupe in Spagna con Bud Spencer e altri due attori, Frank Wolff e un altro. Questo film, ideato da Colizzi [il regista Giuseppe Colizzi (1925-1978) – ndr], che era uno studioso e grande scrittore di romanzi, si era ispirato a Esopo, e il titolo del film era Il gatto, il cane e la volpe, che poi diventò Dio perdona… io no!. Accadde che l’attore che doveva fare il gatto, Peter Martell, litigava sempre con la fidanzata ed una sera, durante una lite violenta, le tirò un calcio ma lei si scansò, così colpì il muro e si ruppe un piede. Il regista Colizzi arrivò di corsa a Roma per cercare un altro attore, mentre la troupe era ancora là. Io ero con il produttore Manolo Bolognini, […] e disse a Colizzi: "Guarda, io c’ho questo qui: se tu gli metti un cappello nero, visto così, ha gli occhi azzurri, somiglia a Franco Nero". E fu così che fui assunto: poi quel film […] ebbe un successo strepitoso, […] anche perché c’era già un pizzico di ironia e si stava formando casualmente questo feeling simpatico tra Bud Spencer e me. Poi cominciammo con le scazzottate, e quando facemmo I quattro dell’Ave Maria con Eli Wallach Colizzi andò a vederlo in giro per l’Italia e notò che quando c’erano le scene con noi due insieme la gente si divertiva di più: "Quando tu stai insieme a Bud", mi disse, "la gente prova più simpatia, ridono… insomma, non capisco ma vi metto insieme!"». Tra i due attori, che in occasione di Dio perdona… io no! avevano assunto gli pseudonimi di Bud Spencer (ispirato alla birra preferita da Pedersoli) e Terence Hill (proposto dalla produzione tra una ventina di altri nomi, e scelto da Girotti anche perché le iniziali sono le stesse della madre, sebbene invertite), si costituì allora un formidabile sodalizio, «il più longevo matrimonio artistico della storia del cinema italiano, probabilmente il più redditizio. Incassi favolosi nei cinema, audience intramontabili in tv, vendite estere senza paragoni per prodotti in lingua italiana. […] Chi ne celebrò il matrimonio? Si chiamava Enzo Barboni, […] e divenne in seguito famoso con lo pseudonimo di E.B. Clucher, col quale firmò la regia dei film di Trinità [Lo chiamavano Trinità…, del 1970, e … continuavano a chiamarlo Trinità, del 1971]. A Barboni e a Italo Zingarelli, ex pugile ed ex stuntman, ex produttore di film peplum, si deve la messa a punto di quella formula di successo che trasforma lo "spaghetti western" nel "fagioli western", i legumi che Trinità e Bambino scaraventano avidamente in bocca con il mestolo. Il West barocco di Sergio Leone si trasforma in uno spettacolo di farsa in movimento che ha parentele più con le comiche del muto che con John Ford. Non a caso ne sono protagonisti assoluti due ex atleti» (Mario Sesti). Il ciclo iniziato nel 1970 con Dio perdona… io no! di Colizzi si concluse nel 1994 con Botte di Natale, sedicesimo film della serie girato dallo stesso Terence Hill, il quale nel frattempo, oltre a essersi già cimentato nella regia (con il suo Don Camillo nel 1983, e poi con Lucky Luke nel 1991), aveva continuato a prendere parte anche ad altre pellicole: tra le più importanti, il western Il mio nome è Nessuno (1973), diretto da Tonino Valerii e prodotto da Sergio Leone, in cui aveva recitato al fianco di Henry Fonda, e il drammatico La bandera – Marcia o muori di Dick Richards (1977), con Gene Hackman, Catherine Deneuve e Max von Sydow. La sua carriera intraprese una nuova fase fortunata nel 2000, quando Terence Hill accettò di interpretare il prete-investigatore protagonista della serie televisiva Don Matteo, nel frattempo giunta grazie agli ottimi ascolti all’undicesima stagione e tuttora in produzione; dal 2011 al 2015 ha inoltre interpretato l’ispettore della guardia forestale di Un passo dal cielo, sempre per Rai Uno. Nel 2018, oltre vent’anni dopo la sua ultima apparizione cinematografica (in Potenza virtuale di Antonio Margheriti, datato 1997 e mai distribuito in Italia), è prevista l’uscita di Il mio nome è Thomas, diretto e interpretato da Hill e dedicato alla memoria di Bud Spencer, deceduto nel 2016 • Il primo film in cui comparvero sia Girotti sia Pedersoli fu Annibale (1959), in cui però i due non recitarono mai insieme; coevo ma non ascrivibile al ciclo principale fu invece Il Corsaro nero (1971), in cui il protagonista è Hill, mentre Spencer interpreta un personaggio minore, suo rivale • Tra i suoi avi paterni figura il garibaldino Alarico Silvestri (1874-1897), nativo di Amelia e caduto combattendo per l’indipendenza della Grecia • Sposato da oltre cinquant’anni con Lori Zwicklbauer, statunitense di origine tedesca; un figlio avuto dalla moglie, Jess, e uno adottivo, Ross, deceduto a sedici anni nel 1990 in un incidente stradale • «Nostalgia? Mai. Se penso a Trinità sorrido divertito, questo sì. Quel cinema comunque non si potrebbe più fare. Sul set c’erano almeno una dozzina di stuntman, oggi non esistono praticamente più. Né io né Bud, comunque, abbiamo mai usato la controfigura: venivamo da una grande preparazione atletica. Giravamo le scene di rissa fin quando finivano le panche in balsa e ci tiravamo quelle vere in legno. Suture e punti in testa a non finire. Ma il vero segreto, sforzo fisico a parte, era la lunghezza e il ritmo di quelle scene. Mentre giravamo, tutto coreografato, ci veniva dato il tempo con il metronomo: ogni battito una caduta, un balzo, un rimbalzo, un pugno. Per girare un intero scontro ci volevano dieci giorni, un minuto al giorno. Oggi prenderebbero a cazzotti noi: i costi sarebbero inarrivabili».