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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Dori Ghezzi

Dori Ghezzi, nata a Lentate sul Seveso (allora in provincia di Milano, oggi di Monza e Brianza) il 30 marzo 1946 (72 anni). Cantante. Presidente della Fondazione Fabrizio De André, costituita nel 2001 insieme a Fernanda Pivano in memoria del marito (1940-1999) • «Mio padre era un operaio specializzato, […] mia madre […] faceva la miniatrice, ritoccava le fotografie. Un’antesignana di Photoshop. […] Mio zio abitava con noi a Lentate e suonava la chitarra. E io inevitabilmente cantavo, finché un giorno mi iscrisse a un concorso canoro a Lentate. Padrino della manifestazione era Johnny Dorelli. […] Il vincitore avrebbe fatto di diritto un provino radiofonico. E io vinsi [cantando Io che non vivo (senza te) di Pino Donaggio – ndr]: era il 1966, e avevo solo 20 anni. Ero aperta a ogni possibilità, ma ero come in attesa: avrei voluto diventare un’estetista. […] Tramite un’amica conobbi l’autore Alberto Testa, che si propose come mio produttore per l’etichetta Durium, e subito andai a Roma al Festival delle Rose, arrivando seconda con la versione italiana del brano Vivere per vivere di Francis Lai, colonna sonora dell’omonimo film di Lelouch. A quell’edizione parteciparono artisti del calibro di Albano (che vinse), Lucio Dalla, Califano…» (a Dario Crippa). «Un giornale dell’epoca scrive di lei: “È una ragazza sveglia e gradevole, minuscola e biondissima (di origine castana) con l’unico difetto (riferito però al passato) di voler assomigliare a tutti i costi a Patty Pravo”. Per descrivere Dori si fa ricorso ad alcuni modelli di riferimento: prima Patty Pravo (anche se Dori sale alla ribalta e si afferma prima della collega), poi Brigitte Bardot. C’è chi addirittura le propone di girare un film sulla vita di B.B.» (Aldo Grasso). «Il suo repertorio, tipicamente di musica leggera, annovera brani come Casatschock (che ha buoni riscontri di vendite nel 1969), Quello là (firmato da Lauzi) e Occhi a mandorla, in coppia con Rossano. Nel 1973 forma un duo insieme a Wess [pseudonimo dello statunitense Wesley Johnson (1945-2009) – ndr], bassista di Rocky Roberts, con il quale incide fra l’altro Tu nella mia vita, Un corpo e un’anima (il maggior successo della coppia, vincitrice a Canzonissima nel 1974), Come stai, con chi sei (seconda al Festival di Sanremo 1976). Nel 1979 subisce un rapimento con Fabrizio De André – suo compagno e futuro marito. Due anni più tardi pubblica il più maturo Mamadodori, con testi di Cristiano Minellono ispirati a conversazioni fra lei e De André; nel 1986 esce Velluti e carte vetrate, forse il suo miglior album; nel 1996 collabora come corista all’ultimo disco del marito, Anime salve. Partecipa a diverse edizioni del Festival, classificandosi terza nel 1983 con Margherita non lo sa (da Piccole donne)» (Enrico Deregibus). Crocevia fondamentale della sua vita fu l’incontro con il cantautore Fabrizio De André, avvenuto quando lui era già sposato con Enrichetta «Puny» Rignon e padre di Cristiano. «Ci siamo visti la prima volta nel 1969 al Lido di Genova in occasione della consegna del Premio La Caravella d’Oro, che Fabrizio vinse per Tutti morimmo a stento e io per Casatschok. Insomma, due generi agli antipodi, ma fra noi c’era già molta curiosità reciproca. Poi, Capodanno 1973/74: quella sera lavoravo al Lido di Genova e con me c’era Cristiano Malgioglio. Finito il concerto, mentre salivo le scale per tornare alla macchina, trovai per terra 50 lire calpestate, e mi dissi “Com’è possibile, proprio a Genova?”. E così le presi e le tenni come un talismano. Fu proprio durante quella camminata che Malgioglio, indicandomi una casa, mi disse: “Guarda, Dori: è lì che abita il mio amico Fabrizio De André”. Dopo due mesi ci siamo rincontrati al bar di uno studio di registrazione dove stava incidendo il suo album Canzoni. Mi invitò nel suo studio e mi fece ascoltare Valzer per un amore. Ci scambiammo i numeri di telefono con le solite convenevoli promesse, e invece il giorno dopo mi chiamò davvero. E tutto cominciò. Scoprimmo che lui era più giocoso di quanto sembrasse, e io ero più riflessiva di quanto si potesse immaginare. Ci siamo trovati e non ci siamo più lasciati per 25 anni». Poco dopo l’inizio della loro relazione, decisero di trasferirsi in Sardegna, ad Agnata, località agreste nei pressi di Tempio Pausania. «Per me era uscire da certe insoddisfazioni permanenti e come tornare nella casa di campagna che con i miei abitavo l’estate nel cremasco. Fabrizio veniva fuori da un periodo di sofferenza. Aveva vissuto con un senso di distacco il suo ultimo disco, Storia di un impiegato. Sentiva di non essere stato capito e mi disse che quello sarebbe stato il suo addio alla vita di cantautore». Fu in Sardegna che, nel 1977, nacque la loro figlia Luisa Vittoria (detta Luvi). E fu là che, la sera del 27 agosto 1979, i due furono rapiti dall’Anonima sequestri, che li tenne in ostaggio all’addiaccio nel Supramonte per 117 giorni, per poi rilasciarli in seguito al pagamento di un ingentissimo riscatto (intorno ai 550 milioni di lire) da parte di Giuseppe De André, il facoltoso padre del cantante. «Fu terribile, ma rafforzò il nostro legame. Ci proteggevamo a vicenda, in quell’equilibrio che solo l’amore conosce: quando l’uno si abbatte, l’altro si fa forte. All’inizio fu bruttissimo perché i cappucci ci impedivano di guardarci, e per noi lo sguardo era conforto. Così chiedemmo ai carcerieri di trovare una soluzione alternativa. Ritrovare gli occhi dell’altro fu come ritrovare la libertà» (a Simonetta Fiori). Dopo la liberazione, «noi decidemmo che la vita doveva continuare. Non volevamo vivere in funzione del sequestro. Ci sembrò importante perdonare, perché il futuro ci apparisse più importante e migliore del passato» (ad Antonio Gnoli). Sposatasi con De André nel 1989 («Non è che ne sentissimo la necessità, tanto che ci siamo dimenticati di comprare le fedi»), nel 1990 si ritirò dalle scene a causa di un problema alle corde vocali. Da allora si dedicò interamente al marito e alla famiglia, e ha continuato a farlo anche dopo la morte del cantautore, prematuramente occorsa nel 1999, custodendone la memoria e il patrimonio artistico. Da ultimo, ha promosso la realizzazione del film biografico di Luca Facchini Fabrizio De André – Principe libero, grande successo sia nell’originaria versione cinematografica sia nell’adattamento televisivo realizzato per Rai Uno, e ha scritto, insieme a Giordano Meacci e a Serena Serafini (già sceneggiatori della pellicola), il libro Lui, io, noi (Einaudi, Torino 2018), sulla sua vita e sul suo rapporto con il marito • Prima di conoscere De André, ebbe «una storiella» con il cantante Mal; solo una buona amicizia, invece, quella con il calciatore Gianni Rivera. Negli anni, ha stabilito un ottimo rapporto con Cristiano De André, il figlio di primo letto del cantautore («Come un figlio. Anzi, rispetto a Luvi, lui è quasi più dipendente da me») • De André le dedicò «sicuramente Hotel Supramonte, scritta all’indomani del rapimento. Ma lui mi disse dall’inizio, chiaro e tondo: “Nelle mie canzoni io trasformo la gente, invece tu devi sempre restare quella che sei”. […] A dire il vero c’è una canzone che lui ammette di avermi dedicato. Ma non mi disse mai quale» (a Mario Luzzatto Fegiz). «Penso – dovrei dire “spero”! – sia Jamin-a, la compagna che ciascun marinaio spera d’incontrare in ogni porto dopo le spericolate avventure in mare. Sono tante storie in una storia, e in fondo anche la nostra è stata così».