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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Carlo Rubbia

Carlo Rubbia, nato a Gorizia il 31 marzo 1934 (84 anni). Fisico. Premio Nobel per la Fjisica nel 1984 (insieme all’olandese Simon van der Meer). Senatore a vita (dal 30 agosto 2013) • «Mia madre, Beatrice, era maestra elementare, di discendenza e cultura austroungarica. Il suo cognome, Lietzen, venne italianizzato in Liceni. Mio padre, Silvio, era ingegnere elettronico, si occupava di telefoni a Trieste. Gorizia era una frontiera, un luogo bellissimo pieno di colori e lingue e dialetti, un luogo complicato e aperto. Il mondo entrava in casa da una radio che mio padre aveva attaccato a un palo della luce. […] Mio padre era partigiano, mia madre profondamente antifascista. Mi hanno educato alla libertà e alla conoscenza. Ho sempre prediletto il domani rispetto all’oggi e mi è sempre piaciuta l’invenzione. Per un’invenzione ancora non diffusa avrei potuto morire. La penicillina, scoperta nel 1929, non fu disponibile se non dopo la guerra. Fortunatamente riuscii ugualmente a guarire dalla broncopolmonite» (a Dario Cresto-Dina). Alla fine della Seconda guerra mondiale, si trasferì con la famiglia dapprima a Venezia e poi a Udine, dove completò gli studi superiori. «Arrivò poi il momento di iscriversi all’università: affascinato fin da piccolo dalla tecnologia e dalla scienza, avrebbe voluto iscriversi a Fisica, mentre la sua famiglia lo voleva ingegnere; i genitori allora proposero un compromesso: avrebbe potuto iscriversi a Fisica solo se fosse stato ammesso alla Normale di Pisa. I posti in palio erano dieci, la prova d’ammissione molto difficile, e Rubbia si classificò undicesimo. Quando ormai era rassegnato a studiare ingegneria a Milano, uno dei primi dieci rifiutò il posto, e Rubbia guadagnò l’ammissione, seppur con tre mesi di ritardo. Furono anni piuttosto duri, conclusi però con una tesi sui raggi cosmici che gli permise di lavorare con Marcello Conversi, allievo di Fermi e in seguito collega anche al Cern. Una breve esperienza alla Columbia University, negli Stati Uniti, segnò l’avvio dei suoi studi sull’interazione debole, una forza che, all’interno del nucleo dell’atomo, è responsabile dei fenomeni di radioattività. Dal 1961 in poi, Rubbia perfezionò questi studi al Cern, insegnando contemporaneamente fisica a Harvard, dove pose le basi di nuovi esperimenti insieme a David Cline e Peter McIntyre. Nel 1976, con questi ultimi e Simon van der Meer, convinse l’allora direttore del Cern John Adams a modificare l’acceleratore Super Proton Synchrotron (Sps) in un collisionatore di protoni e antiprotoni. Questo segnò l’inizio degli esperimenti che porteranno al Nobel: all’inizio degli anni Ottanta, infatti, il team di ricerca scoprì finalmente i bosoni W+, W− e Z, mediatori dell’interazione debole, confermando anche la teoria dell’unificazione della forza elettromagnetica» (Alessia Poldi). Apprese di aver vinto il Nobel sul taxi con cui si stava dirigendo da Linate a Malpensa. «In macchina il tassista aveva la radio accesa, e a mezzogiorno venne data una notizia flash: un italiano aveva vinto il premio Nobel per la Fisica. E fecero il mio nome. Il tassista commentò: “Ma chi è questo Rubbia?”. “Guardi che sono io”, gli risposi. E lui si commosse talmente che non volle farmi pagare la corsa». «È al Cern che al suo ruolo di ricercatore Rubbia ha affiancato quello di manager della ricerca. Del Cern è infatti stato direttore generale dal 1989 al 1994. Mentre la sua carriera scientifica lo ha visto dividersi fra il Cern, l’università americana di Harvard e l’Università di Pavia, il suo ruolo di manager lo ha portato dal Cern all’Italia. Qui dal 1986 al 1994 è stato presidente del Laboratorio di luce di sincrotrone di Trieste. È stato presidente dell’Enea dal 1999 al 2005, anno di un’accesa polemica con il governo Berlusconi a difesa della ricerca in Italia. Come ricercatore e manager ha proseguito il suo impegno nel settore delle energie alternative, in particolare con un progetto sul solare termodinamico. È stato a capo della task force sulle energie rinnovabili del ministero dell’Ambiente del secondo governo Prodi, e nel 2008 è diventato consigliere speciale per l’energia presso la commissione Economica delle Nazioni unite per l’America Latina» (Enrica Battifoglia). Il 30 agosto 2013, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo nominò senatore a vita. Dopo qualche seduta a Palazzo Madama, ha dichiarato che quell’esperienza, sebbene interessante, lo fa sentire come «un alieno che viene dal passato» • Tra i numerosissimi riconoscimenti che gli sono stati tributati, anche la dedica di un asteroide, l’«8398 Rubbia» • Lontane ascendenze ebraiche: «All’inizio dell’Ottocento giunge a Gorizia Giuseppe Romanini, figlio del medico chirurgo israelita Samuele e dell’ebrea goriziana Teodora Caravaglio. Nato a San Vito al Tagliamento nel 1786 e cresciuto a Trieste nella “mercatura”, viene nella nostra città per passare alla fede cattolica. Come si usava (e si usa ancora), ciò avviene con la presenza di un padrino e di una madrina. […] Il padrino conte Pompeo Coronini – signore di Rubbia – impose al nuovo cattolico il nome di Pompeo Ernesto Rubbia. Questi era il trisnonno del famoso fisico goriziano» (Stefano Cosma) • «Uomo di fede, non ha mai fatto mistero delle sue opinioni. Noi fisici, ebbe a dichiarare una volta, “arriviamo a Dio percorrendo la strada della ragione e non quella dell’irrazionalità”. E la sua conoscenza delle intime strutture della materia lo ha convinto che “più la scienza cerca e più trova gli indizi di una unica creazione opera di una entità superiore”» (Franco Gabici). Più recentemente, però, intervistato da Dario Cresto-Dina, ha precisato: «Esiste la fede ed esiste la religione. Io ho una grandissima fede, ma non sono tecnicamente un credente. C’è qualcosa che sta sopra di noi, è un ordine delle cose. Chi vuole è libero di pensare che si tratti di Dio. Non c’è molto altro da dire» • Vedovo di Marisa Romè, due figli: Laura (patologa) e André (fisico), entrambi docenti universitari • «La ricerca è fatta di errori, di ripensamenti, di cambiamenti di rotta. Se devo fare un calcolo, direi che delle mie idee ha funzionato un dieci per cento, l’altro novanta invece no». «Sono nato in un tempo di tragedia in cui non potevi non essere ottimista. I miei mi raccomandavano: credi in te, guarda sempre avanti. Penso di averli ascoltati: guardo molto avanti ancora oggi, fino al limite del possibile. Sono sempre curioso. Cerco ancora dentro di me lo stupore ingenuo dell’infanzia. È nel bambino che vediamo la scintilla della curiosità, nel bambino che rompe il giocattolo perché vuole sapere com’è fatto. La curiosità, non la saggezza, ha trasformato l’uomo. […] È un enorme peccato che non si vada su Marte con i piedi e la bandiera. La Luna è un sasso, nulla. Marte invece ha tutto: il nord, il sud, l’equatore… Senza un motore a propulsione nucleare, però, non ce la possiamo fare. […] Eppoi, dimenticavo, ci sarebbe Europa, il quarto satellite di Giove, uno dei pianeti galileiani. Dove ci sono acqua, ghiaccio e ancora acqua sotto i ghiacci, un’altra Antartide. Ah, mi creda, sarebbe un posto fantastico da visitare… se solo ne avessimo il tempo. […] Non mi preoccupa la mia morte. Le cose sono e continueranno a essere, resterà ciò che abbiamo costruito, l’amore che abbiamo saputo offrire, l’amore che abbiamo meritato. Vado avanti come se niente fosse: imparerò quello che ancora riuscirò a imparare. Come si dice? The show must go on. Ballerò fino al giorno prima di sparire».