5 settembre 2018
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Biografia di Fabio Caressa
Fabio Caressa, nato a Roma il 18 aprile 1967 (51 anni). Giornalista. Telecronista. Conduttore televisivo. Di Sky. «La mia telecronaca è come la musica in un film. Ogni scena ha la sua musica. Se quando c’è aria di gol io riesco a fare in modo che tu a casa ti sposti sulla punta della poltrona, ho fatto bene il mio lavoro» (a Claudio Sabelli Fioretti) •Appassionato di calcio sin da bambino, come giocatore era però «una mezza pippa, nessuna scuola calcio. […] I miei mi hanno fatto fare basket. Mi dicevano “crescerai” ma ho finito presto, con la pallacanestro e con l’altezza. A Subbuteo invece andavo forte, con mio fratello e un altro amico facevamo il campionato del mondo delle squadre di club. Due giocavano, il terzo faceva il telecronista. Ho iniziato lì. Ho sempre voluto fare il giornalista. Ho iniziato con il gruppo Cioè, editoria per ragazzi. Mi inventavo le lettere a cui rispondere: non pagavano male, 70 mila lire al pezzo» (a Pietro Senaldi). «Sognavo di fare il cronista di guerra ed ero malato per il calcio. Mio padre vide uno spot e mi iscrisse al “Piccolo Gruppo” di Michele Plastino: un corso per maniaci di calcio. A 19 anni Plastino mi affidò Golmania, su Canale 66. Nel 1987 Piccinini mi chiamò al Tg di Teleroma56. Mi occupavo di cronaca, ma seguivo anche le partite. L’esordio fu un Lazio-Cesena. Ci chiedevano di fare le telecronache dal campo, senza l’accredito stampa, avendo in tasca solo un biglietto di curva» (a Vittorio Zincone). Dopo la laurea in Scienze politiche alla Luiss, si trasferì a Los Angeles, a seguire i corsi di «Public Speaking» della Ucla, per imparare «a conquistare il pubblico: devi riuscire a catturare il leader del gruppo. E poi c’è il contact eyes: devi saper guardare tutti negli occhi, dalle prime alle ultime file. La postura, un po’ di recitazione e come accattivarsi l’interlocutore invece sono insegnamenti più semplici per noi italiani: ce li abbiamo nel sangue». Nel 1991, dopo aver curato insieme a Sandro Piccinini e Massimo Marianella il film ufficiale dei mondiali Italia ’90 («Se non ricordo male, andammo a intervistare un giovane raccattapalle della Roma: Francesco Totti»), approdò a Tele+, dove fece gradualmente carriera come telecronista, fino a diventare, nel 2002, ideatore e conduttore della trasmissione +Gol Mondial, divenuta nel 2003, con l’avvento di Sky, Mondo Gol, e da lui condotta fino al 2010 insieme a Stefano De Grandis. Con Beppe Bergomi, suo compagno di cronache sin dal 1998/1999 («Ormai siamo marito e moglie»), commentò nel 2006 per Sky Sport tutte le partite dell’Italia al mondiale di Germania: fu proprio in quell’occasione che lo stile di Caressa s’impresse nell’immaginario collettivo, decretandone il successo. «“Chiudiamo le valige, si va a Berlino”, urlava Fabio Caressa […] ogni volta che la nazionale di calcio superava un turno ai mondiali in Germania. Oppure “Abbracciamoci forte e vogliamoci bene stasera”. O anche, il massimo: “Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo”, quattro volte, una per ogni mondiale vinto, citazione di Nando Martellini che lo urlò tre volte dopo la vittoria in Spagna» (Claudio Sabelli Fioretti). «Il mondiale vinto dagli azzurri mi ha cambiato la vita. L’ho capito quando gente sconosciuta, incontrandomi per strada, ha cominciato a salutarmi gridando “Cà-nnavaro!” [modo in cui Caressa era solito scandire il cognome del capitano azzurro – ndr]» (ad Antonio D’Orrico). Negli anni successivi, oltre a proseguire il suo sodalizio con Bergomi – con cui, oltre alle partite di Serie A e di Champions League, ha commentato i mondiali del 2010 e del 2014 – ha assunto anche ruoli dirigenziali all’interno della rete, fino a diventare dapprima direttore del canale Sky Sport 24 (2013-2016) e poi condirettore della testata Sky Sport con delega al programma Sky Calcio Club. Al calcio ha dedicato anche tre libri: Andiamo a Berlino(Dalai 2006), Gli angeli non vanno mai in fuorigioco. La favola del calcio raccontata a mio figlio(Mondadori 2012) e Scrivilo in cielo. Nel calcio, come nella vita, bisogna crederci(Mondadori 2014) •Altra sua grande passione è il poker «Texas Hold’em», i cui tornei ha seguito e commentato in più occasioni sia per Cielo sia per PokerItalia24, canale diretto da suo fratello Maurizio fino alla chiusura nel gennaio 2017. Anche al poker ha dedicato un libro, scritto a quattro mani con il fratello: Quella sporca ultima carta(Dalai 2009) •Per Sky ha curato anche un reportage sulla missione italiana in Afghanistan, Buongiorno Afghanistan(2010), e uno sul problema degli sbarchi a Lampedusa, Sos Lampedusa(2011) •Militante socialista in gioventù, poi radicale, quindi di centrosinistra •«Un po’ più romanista che laziale» •Sposato con la giornalista e conduttrice Benedetta Parodi («la più grande fortuna della mia vita»), tre figli: due femmine, Matilde ed Eleonora, e un maschio, Diego («Come Maradona, per me. Come Zorro, per mia moglie Benedetta. Così siamo contenti entrambi») •«Se siamo stati i primi a tessere l’elogio di Caressa e di una formidabile squadra di “voci tecniche”, con rammarico dobbiamo constatare come la situazione attuale sia quella di una deriva narcisistica, di un’involuzione, di una stasi autoreferenziale» (Aldo Grasso). «Fabio ha imposto all’Italia una qualità che prima non esisteva, ha trasformato quel ruolo di pura mediazione tra te e quello che vedi in qualcosa di molto più complesso, di più efficace, di più serio. […] Perché per arrivare all’emotività dello spettatore, per trasmettere attraverso lo schermo quello che si può vivere allo stadio serve molto di più di quanto si possa immaginare. Serve studiare più degli altri, sapere più degli altri, lavorare più degli altri. È una miscela invisibile tra professionalità televisiva, capacità narrative, linguaggio appropriato e non banale, conoscenza della tecnica, della tattica, della vita e della carriera dei giocatori. Il caressismo ambisce al perfezionismo» (Beppe Di Corrado) •«La telecronaca è fondamentalmente cronaca. I tre aspetti basilari sono: beccare i giocatori; conoscere bene il regolamento; guardare il monitor per avere corrispondenza con quello che gli spettatori vedono a casa» (a Renato Franco). «Cerco di sapere tutto dei giocatori, anche se poi, di quello che sai, utilizzi sì e no il 2 per cento. Però devi sapere tutto. Ho i fogli scritti – 20 per squadra – con le cose importanti evidenziate. […] E ho un mio archivio personale con tutte le schede dei giocatori, che aggiorno quotidianamente». «Sono esagerato, lo so. Ho perfino la mia dieta pre-trasmissione: sette ore di digiuno almeno, solo qualche tè e molti caffè. Quando sono molto teso faccio “om”, che serve anche ad abbassare il diaframma». «Io sono un medium, uno strumento. Il filo conduttore tra quello che succede in campo e ciò che arriva a casa. Ha tirato di destra e segnato? Va bene, l’han visto tutti. Io voglio far filtrare l’emozione con la mia voce e il mio modo di cadenzare. Ho fatto anche studi di metrica. Gli antichi poeti usavano la metrica per fare un racconto emozionale. Se lo facevano loro, allora posso farlo anche io. Hai presente “Arma virumque cano Troiae qui primus ab oris?”. Io alla fine del mondiale ho declamato: “Alza la coppa capitano, alza la coppa, alzala alta al cielo”. Più o meno la stessa cosa…».