5 settembre 2018
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Biografia di Massimo D’Alema
Massimo D’Alema, nato a Roma il 20 aprile 1949 (69 anni). Politico. Già presidente del Consiglio (1998-2000), vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri (2006-2008), presidente del Copasir (2010-2013). Attualmente, esponente di «Articolo 1 – Movimento democratico e progressista». Già segretario (1998) e presidente (1998-2007) dei Ds, segretario del Pds (1994-1998), segretario della Figc (1975-1980). Deputato dal 1987 al 2013 (Pci, Pds, Ds, Pd), con un intervallo in quanto europarlamentare tra il 2004 e il 2006 (Pse). Direttore dell’Unità dal 1988 al 1990. «Capotavola è dove mi siedo io» • «Abbiamo origini arabe. I miei antenati, che in origine si chiamavano Halema, si trasferirono dal Maghreb in Italia al tempo di Federico II ed entrarono nella guardia imperiale: Federico II era in guerra col Papa, e loro, come musulmani, approvavano caldamente» • «Comunista era la sua famiglia. Il padre Giuseppe fu una figura di spicco della Resistenza nel ravennate e poi nel ferrarese, e poi deputato rosso per cinque legislature. La madre, Fabiola, era soprannominata anche in casa “il generale”. […] All’età di dieci anni, Massimo chiese di essere ricevuto da Palmiro Togliatti in quanto membro dell’Associazione pionieri italiani. L’aneddoto narra che il piccoletto chiese al burbero dirigente una stanza dove riunirsi coi compagni. Pare che al termine del colloquio il Migliore rimase tanto stupito dalla determinazione e dalla disciplina del ragazzo da esclamare: “Ma questo non è un bambino, è un nano!”. La svolta della sua vita politica arriva nel 1975, quando a Pisa [dove aveva studiato Filosofia alla Normale, ritirandosi poco prima di discutere la tesi – ndr] incontra Enrico Berlinguer. In quell’anno viene nominato segretario della Fgci, carica che manterrà fino al 1980. La stagione di crescita e sofferenza della Fgci di quegli anni segna molto il giovane D’Alema, e già allora, come nota il politologo Andrea Romano in Compagni di scuola (Mondadori), emerge quella che diverrà una delle caratteristiche fondanti del personaggio, la “rappresentazione della politica come tattica della realtà e navigazione lungo tutte le piccole e grandi insenature della costa”. Entra per la prima volta in Parlamento nel 1987. […] Archiviato Occhetto con l’esordio vincente in politica di Silvio Berlusconi nel 1994, D’Alema diventa segretario del Pds, anche se lo stesso Occhetto si era speso per Veltroni, che godeva di un più ampio consenso popolare. […] La bicamerale arriva nel 1997. Presieduta dallo stesso D’Alema, la Commissione ha il compito di riformare la seconda parte della Costituzione, ma dopo meno di due anni il tavolo salta. A tirarsi indietro è Berlusconi, ma lo stesso D’Alema sconterà il discredito della sconfitta. Più ancora porterà il peso di aver concesso un’immeritata apertura di credito al nemico. Una certa sinistra non glielo perdonerà mai (Gherardo Colombo parlò di “bicamerale figlia del ricatto”). Una certa destra comincerà a guardarlo con occhi diversi. Nel 1998 il nostro sale a Palazzo Chigi, fino ad oggi unico postcomunista a farlo. Peccato che ci vada senza voti, ma con l’incarico dal capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro dopo la caduta del primo Prodi, che spezza i sogni del centrosinistra italiano. “Per noi fessi – scriveva Edmondo Berselli in Sinistrati (Mondadori) –, per noi ulivisti è più o meno una tragedia. Perché noi non abbiamo niente da spartire con D’Alema, che è un comunista realista, il quale probabilmente non crede più in niente tranne in ciò che al momento pensa lui”. Non per niente la caduta di Prodi, pur se avvenuta per mano di Fausto Bertinotti, è uno dei fatti che vengono imputati al famigerato “complottone” dei dalemiani. […] A Palazzo Chigi D’Alema si trova a gestire il bombardamento del Kosovo da parte della Nato e non fa una piega. In quegli anni con lui ci sono due spin doctor, Fabrizio Rondolino e Claudio Velardi, considerati le menti dell’operazione simpatia del premier che culmina nel risotto cucinato davanti alle telecamere di Vespa. La comunicazione politica italiana è rivoluzionata, e l’indignazione radical chic è servita. […] In quegli anni avventurosi Rondolino e Velardi si dedicano anche a pianificare il futuro del leader. In un memorandum riservato, pubblicato per la prima volta nel 1999 in appendice al saggio di Alessandra Sardoni Il fantasma del leader (Marsilio), i due spiegano come lavorano alla costruzione del personaggio per il ruolo che più gli si addice: quello di capo dello Stato. […] Le cose vanno diversamente. D’Alema si dimette nel 2000 in seguito alla sconfitta della sinistra alle Regionali, da lui stesso trasformate in un test politico, e il sogno del Quirinale svanirà una prima volta con l’elezione di Giorgio Napolitano nel 2006 e una seconda volta poche settimane fa [nell’aprile 2013 – ndr]» (Laura Borselli). Negli anni successivi, soprattutto in seguito al mancato sostegno di Renzi alla sua candidatura ad Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, divenne uno dei più accesi oppositori interni del fiorentino: fu infatti il primo del partito a schierarsi apertamente sul fronte del «no» al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, per poi festeggiare l’esito della consultazione e la conseguente caduta del presidente del Consiglio. Pochi mesi dopo, a fine febbraio 2017, insieme ad altri esponenti del Pd tra cui Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza ed Enrico Rossi, abbandonò il partito per costituirne un altro, «Articolo 1 – Movimento democratico e progressista». Dopo cinque anni di volontaria assenza dal Parlamento, in vista delle elezioni politiche del 2018 accettò di candidarsi (come sempre in Puglia) per il Senato tra le file della nuova formazione, senza però riuscire a essere eletto. Amareggiato dalla sconfitta, affermò: «È finita una stagione. Ora è il tempo di dedicarsi allo studio e alla formazione. È stata l’ultima battaglia in prima linea» • Cofondatore (nel 1998) e presidente della fondazione di cultura politica Italianieuropei, attiva «nel campo della politica nazionale e internazionale, della cultura, dell’amministrazione pubblica e dell’impresa». In ambito mediorientale, è da sempre schierato su posizioni filoarabe e filopalestinesi (celebre la foto che nell’agosto 2006, quando era ministro degli Esteri, lo ritrasse a braccetto con un esponente di primo piano di Hezbollah) • «Del “conte Max” si ricorda l’arroganza, la spocchia, la presunzione, l’antipatia per i giornalisti (“iene dattilografe”), il veliero Ikarus, le scarpe da un milione e mezzo di lire (perché “fatte a mano su misura”) e Palazzo Chigi trasformato nell’“unica merchant bank in cui non si parla inglese”, secondo la fulminante definizione di Guido Rossi, avvocato d’affari ed ex senatore indipendente del Pci. Ma al suo nome non è associata una riforma, una legge, un lieve segnale tangibile dell’azione politica e di governo, se non l’aver staccato Umberto Bossi da Silvio Berlusconi e aver creato la strana alleanza ulivista che nel 1996 elesse Romano Prodi, abbattendolo nel 1998» (Stefano Filippi) • «Mettiamo un po’ di ambientalismo, perché va di moda. Poi siamo un po’ di sinistra, ma come Tony Blair, che è sufficientemente lontano, diciamo… poi siamo anche un po’ eredi del cattolicesimo democratico. Poi ci mettiamo un po’ di giustizialismo, che va di moda… e abbiamo fatto un nuovo partito, lo chiamiamo in un modo che non dispiace a nessuno, perché “Verdi” è duro, “sinistra” suona male, democratici siamo tutti, ed è fatta. E chi può essere contro un prodotto così straordinariamente perfetto? C’è tutto. Auguri. Io però non ci credo» (D’Alema al congresso dei Verdi il 13 marzo 1999, a proposito del costituendo Partito democratico). «Il Pd è un amalgama fin qui mal riuscito» (D’Alema alla direzione del Pd del 19 dicembre 2008) • «D’Alema piace a destra perché, come la destra, disprezza la sinistra delle emozioni e dei tortellini, dei moralisti e dei giustizialisti. Ama D’Alema chi non ama Benigni e Nanni Moretti (tranne quello berlusconidipendente del Caimano), chi non legge Paul Ginsborg e Camilleri, chi non ascolta Vecchioni e Piovani» (Aldo Cazzullo). «I leader autentici sono sempre, in ogni Paese, e anche in Italia, pochissimi. E D’Alema è uno di loro» (Angelo Panebianco). «È competitivo su tutto, e con chiunque. Se prende un caffè al bar, deve spiegare al barista come si fa un buon caffè, e al suo commensale quanti cucchiaini di zucchero servono» (Peppino Caldarola). «Ci sono tre luoghi comuni: è intelligente, ha i baffi, ha la barca» (Roberto Benigni) • Tra i vari soprannomi assegnatigli nel corso del tempo, «la volpe del Tavoliere» (Luigi Pintor), «Togliattino» (Corrado Stajano), «il mercante fenicio» (Gianni Agnelli), «Baffino di ferro» (Giampaolo Pansa), «Sarcasmo da Rotterdam» e «lo scorpione» (Giuliano Ferrara) • Divorziato da Gioia Maestro (sua compagna degli anni Settanta, sposata dietro richiesta del partito per regolarizzare la loro convivenza), è sposato in seconde nozze con l’archivista Linda Giuva, da cui ha avuto due figli, Giulia e Francesco • Grande passione per la barca a vela («È un insegnamento per la vita: se non ti curvi, non vinci»). Romanista, è presidente onorario del Roma Club Montecitorio (carica «ereditata» da Giulio Andreotti) • «Io sono Massimo D’Alema: una carica importante che nessuno mi può togliere». «Se la pensate come me, siete inutili. Se la pensate diversamente, siete dannosi». «La politica è una passione, e da una passione non ci si può dimettere».