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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Graziano Delrio

Graziano Delrio, nato a Reggio Emilia il 27 aprile 1960 (58 anni). Politico. Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti (dal 2 aprile 2015). Deputato del Pd (dal 23 marzo 2018). Già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (2014-2015) e ministro per gli Affari regionali e le Autonomie (2013-2014). In precedenza, sindaco di Reggio Emilia (2004-2013) e presidente dell’Anci (2011-2013). Medico (specializzato in endocrinologia). «Tra me e Matteo [Renzi – ndr] c’è la stessa differenza che esiste tra la fisica newtoniana, funzionante ma prevedibile, e la fisica quantistica. Lui fa politica quantistica. Introduce un elemento di imprevedibilità legata all’individuo che è importantissimo, anche se ogni tanto ti manda al manicomio» • «I miei nonni sono stati seppelliti sulle note dell’Internazionale. Mio padre era muratore e del Pci. Io, come tutti, da ragazzino distribuivo l’Unità». «Lui da ragazzo è anarchico e agnostico. È l’incontro con due preti reggiani a cambiare la sua vita: monsignor Angelo Cocconcelli, partigiano e amico di don Giuseppe Dossetti, e il nipote, don Giuseppe Dossetti junior. È lì, nelle stanze della parrocchia reggiana di San Pellegrino, tra questi sacerdoti vicini agli ultimi e ai tossicodipendenti, che Delrio incontra il Vangelo» (Andrea Carugati). «In parrocchia, Delrio ha dato i primi calci al pallone, diventando un promettente mediano. Fece anche con successo un provino col Milan. Ma, un po’ perché era interista e un po’ per gli studi, si è accontentato di giocare nel Montecavolo, romantico nome di una squadra locale. […] Delrio si è laureato in Medicina e per anni ha carezzato l’idea di diventare un nome dell’endocrinologia, perfezionandosi a Tel Aviv e in Inghilterra e occupando un posto di ricercatore nell’università di Modena e Reggio. La politica lo ha afferrato con la seconda Repubblica, alle soglie dei quarant’anni. Comunista non era e democristiano non voleva essere. A stuzzicarlo è stato prima il Ppi, modesto succedaneo della Dc voluto da Mino Martinazzoli, poi la Margherita. Così […] divenne consigliere comunale, poi regionale, mentre gettava alle ortiche le velleità accademiche. Entrato nelle grazie di Pierluigi Castagnetti, il principale politico margheritino dei luoghi, tentò il colpo gobbo: diventare il primo sindaco non comunista di Reggio Emilia, che nel dopoguerra era sempre stata guidata dai rossi. Gli ex comunisti, nonostante l’alleanza Ds-Margherita, si opposero a lungo alla candidatura, cedendo solo in extremis. Eletto nel 2004 con buon margine, Graziano proclamò che avrebbe preso a modello Giorgio La Pira, sindaco dossettiano di Firenze mezzo secolo prima. […] Vinta la sfida con gli ex Pci e rieletto nel 2009 per un mandato bis, ne lanciò una seconda nel 2011 per diventare presidente dell’Anci, cioè primo sindaco d’Italia» (Giancarlo Perna). «Siamo nel 2011, anno in cui si elegge il nuovo presidente dell’Anci. Il candidato ufficiale del Pd, quello voluto dal segretario Bersani e dall’apparato del partito, è Michele Emiliano, primo cittadino di Bari. Matteo Renzi e Graziano Delrio, sindaci di Firenze e di Reggio Emilia, entrambi ex popolari cresciuti in territorio rosso, decidono di dare l’assalto alla trincea degli ex Ds. Vincono di misura. E da quel momento diventano un asse» (Vittorio Zincone). «È stato il primo a farlo. Il primo a dire, da una posizione di forza, “mi stacco dal passato e ci provo con il futuro”. Era l’estate del 2012: Graziano Delrio era sindaco di Reggio Emilia, presidente dell’Anci (l’Associazione dei Comuni italiani), e a pochi mesi dalle primarie nel Pd scelse di cambiare verso, contro Bersani, e di appoggiare Renzi. Fu l’unico dei big del partito a farlo. Poi tutto è successo rapidamente. Il governo con Enrico Letta (ministro degli Affari regionali). Il passaggio di mano a Renzi […] (sottosegretario alla presidenza del Consiglio). Il rapporto con Giorgio Napolitano (il quale ha così tanta stima di Delrio che lo avrebbe ben visto, da tempi non sospetti, come suo erede al Quirinale). E, ovviamente, il filo con tutti i vecchi del Pd (in primis Romano Prodi)» (Claudio Cerasa). Come ministro degli Affari regionali del governo Letta, promosse «una riforma delle Province prima molto celebrata e poi sparita dalla lista dei successi da attribuire al renzismo perché crea 20 mila esuberi da ricollocare» (Stefano Feltri). Una volta divenuto sottosegretario di Renzi, «Delrio doveva essere il Gianni Letta di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, ma il ruolo è stato occupato da un tandem di toscani. Uno pensa alle nomine, l’altra fa le leggi. Uno, il Lotti, inteso come Luca, sottosegretario, il “fratello minore” di Renzi (Delrio è il “maggiore”), gestisce il potere. L’altra [Antonella Manzione – ndr] deve trasformare i tweet di Renzi in realtà, e del Letta originale ha ereditato l’invisibilità» (Marco Damilano). «Il sottosegretario continua a fare il suo lavoro, e ad andare per la sua strada. Ma il caso Lupi cambia tutto un’altra volta. Il premier si rende conto che, tra le poche persone di cui si fida davvero, non c’è un altro nome in grado di prendere in mano una patata bollente come il ministero delle Infrastrutture. Parlando con Mattarella al Quirinale, […] Renzi spiega che quel ministero va “rivoltato come un calzino”. C’è da smontare e ricostruire un “intero pezzo di Stato”, far saltare molte teste, e serve una persona che abbia “competenza e coraggio”. Il capo dello Stato condivide: serve Delrio» (Carugati). «Probabilmente, ma su questo non è mai trapelato nulla, Delrio ha assecondato il trasloco anche perché cominciava a vivere con una certa “stanchezza” la sua permanenza a Palazzo Chigi e la non perfetta simmetria col suo premier» (Fabio Martini). Confermato al medesimo dicastero anche nel governo Gentiloni, il 27 marzo 2018, neodeputato del Pd, è stato eletto per acclamazione capogruppo del partito alla Camera, contro il volere dello stesso Renzi, dal quale si è progressivamente allontanato. «Un paio d’anni fa stava per nascere una corrente che vedeva riuniti i renziani più dialoganti, tra i quali Guerini, Matteo Richetti, Angelo Rughetti e appunto Delrio. Non piacque a Renzi, e neppure al cosiddetto “giglio magico”. […] A caldo, dopo l’elezione a capogruppo, la prima dichiarazione è stata sull’opposizione responsabile che spetta ai Dem. In pratica, se il Quirinale chiama, il Pd deve rispondere» (Giovanna Casadio) • «Sul telefonino di Delrio, quando chiama Renzi, compare il nome “Mosè” e sul telefonino di Renzi, quando chiama Delrio, appare “Ietro”, che di Mosè fu suocero, e discreto consigliere politico. La coppia funziona tanto è diseguale. […] Brillante, scoppiettante Renzi. Pacato, riservato Delrio. Alla cronaca c’è questa sua battuta, in risposta alla domanda “Lei è renziano?”: “No, sono Graziano”. Un irriverente sito di Reggio Emilia lo chiamava “Graziano mio Dio”, per dire quanto sia timorato» (Garibaldi). «Ha finora attraversato tutta la parabola di Matteo Renzi da protagonista, riuscendo nell’impresa quasi impossibile di condividerne senza riserve ogni passaggio e al tempo stesso di tenersi distante da arroganze, cinismi, gigli magici. Un singolare impasto di fedeltà e di indipendenza, di adesione incondizionata e di gelosa libertà di giudizio. Nella galassia renziana Delrio è qualcosa che si avvicina all’eresia massima: il riconoscimento di un carisma che non è diretta emanazione del Capo ma è interpretato in modo personale e originale» (Damilano) • Sposatosi a 22 anni con Anna Maria Grassi («Una scelta di passione, non di ragione: aspettavamo un bambino»), insieme hanno poi avuto nove figli (cinque maschi e quattro femmine). «Nato il nono, abbiamo detto basta. Avevamo sempre potuto contare sull’aiuto dei nonni, che però, nell’arco di pochissimo tempo, sono mancati tutti. Senza di loro sarebbe diventato impossibile gestire un altro neonato». «L’attività più frequente degli ultimi trent’anni della mia vita è stata leggere le fiabe di Italo Calvino ai miei figli. Ogni sera una diversa. Ho avuto gruppi di clienti differenziati nel tempo. I più grandi a un certo punto mi hanno invitato a “non rompere i maroni”» • «La fede non può essere ridotta a questione privata, ma nemmeno può dare risposte ultimative a problemi variabili. Mi spiego meglio: Galileo disse che non si poteva legare la giustezza della fede al concetto che era il Sole a girare intorno alla Terra, perché, se lui avesse avuto ragione, sarebbe caduto un fondamento della fede. Ecco, la mediazione sta tutta qui: la fede non è un fatto privato, ma ciò non esime nessuno, nemmeno i cattolici, dall’essere laici quando si affrontano i problemi della politica. […] Essere medico, ma soprattutto la mia esperienza da ricercatore, mi sono stati enormemente utili: l’analisi, il metodo di ricerca e la sintesi sono step fondamentali che mi hanno portato ad avere un atteggiamento molto razionale. In più, fare il medico ti aiuta ad essere sensibile nei confronti del dolore dei pazienti. Essere cinico, infatti, probabilmente ti aiuta a vivere meglio, ma ritengo sia un grave difetto, sia per un medico sia per un sindaco» (a Giampaolo Corradini).