5 settembre 2018
Tags : Teresa Ciabatti
Biografia di Teresa Ciabatti
Teresa Ciabatti, nata a Orbetello (Grosseto) il 5 maggio 1972 (46 anni). Scrittrice. Sceneggiatrice. Seconda classificata al Premio Strega 2017 con il romanzo autobiografico La più amata (Mondadori 2017) • «Papà chirurgo, madre anestesista. Vita di provincia. Anni Ottanta. Giorni felici in cui il mio universo è la Maremma: sono io la più ricca, la più bella. […] Come poi la madonna sia precipitata, caracollata, stramazzata a terra, è un’altra storia. I giorni dei sedici anni, il trasferimento a Roma, quartiere Parioli, addio Maremma. I giorni dei sedici anni in cui la verità mi piomba addosso. Inclemente, barbara, nemica. […] Qui, nei giorni dei sedici anni, io mi chiamo Teresa Ciabatti, e sono povera. Qui, nelle aule del liceo Mameli, tra figli di politici, dirigenti d’azienda e principi, io sono nessuno. Non esisto». «Teresa “la principessa” arriva ai Parioli a 16 anni. […] “Ad Orbetello pensavo di essere arrivata al più alto gradino della scala sociale e qui invece ero la paesana presa per il culo, lo zimbello della scuola, emarginata. Co ‘sto cognome… Ciabatti. Capirai!”. […] “Avevo carattere. Non la bellezza, ero grassa. Quelle altre invece, tutte fichissime, alte, bionde”. […] “Cercavo un’identità. Ho finto anche di essere morta; con la complicità di una mia amica ascoltavo al telefono le reazioni dei compagni di classe. L’80 per cento scoppiò a piangere, i nobilastri invece rimasero freddissimi, nessuna lacrima. Insomma, assistetti al mio funerale”. Teresa nella sua Roma in quegli anni era “un’arrampicatrice sociale. Il mio sogno era sposare un principe. La mia ambizione? Arrivare. Ma l’unico momento in cui raccattavo amicizie era d’estate: la nostra casa con la piscina a Santo Stefano. Perché nessuno l’aveva così, e dicevano ‘Ma chi cazzo è questa?’”. […] “Prima Giurisprudenza alla Sapienza. Il primo giorno m’è preso un colpo. La folla. Poi mi iscrivo a Lettere, seguo le lezioni di Asor Rosa, dopo un quarto d’ora mi alzo e me ne vado pensando ‘io non capirò mai niente’. Poi passo a indirizzo Spettacolo, quella cacata lì, imparavo tutto a memoria, tutti 30 ma tutte stronzate”. La nuova meta di Teresa diventa il mondo degli intellettuali: “Ci eravamo trasferiti qui in questa casa dietro il Pantheon. Frequentavo scrittori, giornalisti e passavo per una cretina totale perché ero davvero un’ignorante, una capra. La pariolina deficiente che faceva shopping, secondo loro”. La passione per la scrittura? “Pura voglia di competizione. Quelli erano andati tutti al Visconti e quindi iniziai a leggere, una bulimica dei libri. Mi appassiono e scopro Dickens, Grandi speranze, la bambina Estella di cui si innamora il protagonista. È bellissima e le insegnano ad odiare gli uomini, così diventa una belva. Avrei voluto essere come lei, è diventata il mio archetipo letterario”. Più tardi Teresa si formerà su Gioventù cannibale, Ammaniti, per poi andare a ritroso, Moravia, Pasolini: “Una ricerca a casaccio. Mia madre m’ha sempre rotto le palle con Calvino e quindi lo odiavo, e i russi e i francesi li ho letti verso i 25 anni. Proust a 30”. Quindi Teresa perché scrive? “Perché sono sempre stata una grande bugiarda. M’inventavo mondi per riempire quello che non tornava nella mia vita, e per me questa è stata la salvezza. Potevo avere un rapporto più sano col resto. Insomma, un’esistenza parallela”» (Leonardo Jattarelli). «Mi sono messa a scrivere in maniera irresponsabile. Non ero pronta. […] Scrissi Adelmo, torna da me in totale incoscienza. Sul Corriere della Sera, Paolo Di Stefano lo stroncò ferocemente. Fu spietato. Non usò alcun riguardo. E mi salvò. Senza quegli schiaffi, avrei continuato a scrivere cazzatine. Invece, mi misi finalmente a studiare: Dickens, Joyce Carol Oates, Calvino, Elsa Morante, Natalia Ginzburg. […] La più amata è un romanzo nato da un tormento. Mio padre era un medico, un massone, un fascista, membro della P2 di Licio Gelli, di cui era amico. Un giorno, nella nostra villa all’Argentario, lo rapirono. Ci dissero: “Balordi del posto”. Ci credetti, senza farmi alcuna domanda, fino a quando mio padre e mia madre non morirono. Poi, diventò un’ossessione. Dovevo sapere cosa era successo. Chi era mio padre. Se aveva ucciso. Chi aveva ucciso. Perché. Smisi di parlare con mio fratello. Allontanai amici. Non pensavo ad altro. L’unica cosa che m’interessava era la verità» (a Nicola Mirenzi). «La più amata, in fondo, è un finto memoir, perché c’è una scelta e una manipolazione narrativa del senso degli accadimenti: c’è molto, in termini di invenzione e narrazione. […] Ho cominciato cercando di capire chi è stato mio padre, e questa è diventata la mia ossessione nella vita. Il mio presente sembrava legato a quelle risposte, e di sicuro scrivendo il libro mi sono liberata. A un certo punto la risposta su mio padre non m’interessava più, perché la domanda era diventata "Chi è Teresa Ciabatti?". E la risposta alla fine arriva: è nessuno, una donna qualunque, senza nessun privilegio». «Non si tratta di un’autobiografia in senso classico, in cui il narratore, quando inizia il suo racconto, è diverso dal personaggio protagonista (il sé stesso bambino o giovane), il quale poi si sviluppa, cresce, e alla fine del percorso diventa e coincide con chi scrive, adulto o vecchio. Non è così. […] Non c’è sviluppo, non c’è evoluzione, come non esiste distanza. La narratrice e la protagonista coincidono fin dal principio» (Simone Giusti). Il romanzo, pubblicato da Mondadori nel febbraio 2017 e divenuto immediatamente un caso editoriale, venne candidato al Premio Strega, e per mesi fu considerato il quasi sicuro vincitore: la sera della finale si attestò invece secondo, con 119 voti, dietro Le otto montagne di Paolo Cognetti (Einaudi), destinatario di 208 voti. «Non posso dire di averla presa bene. Ma non ho sofferto: avevo immaginato quel momento di premiazione talmente tante volte che in qualche modo era come se lo avessi già vissuto davvero. A disturbarmi sono state le polemiche, le critiche personali. A un certo punto mi hanno detto che circolava addirittura una petizione, una raccolta di firme per far ritirare il mio libro dalla candidatura allo Strega. E poi lettere di insulti personali. Qualcuno mi ha bollata come viziata, capricciosa. Qualcun altro, invece, ha pensato che il mio libro non potesse vincere perché la donna che emerge dal romanzo non è un modello edificante. È questo che mi fa più tristezza: il fatto che ci sia un establishment letterario ancora legato a un vuoto moralismo. Io penso che il dovere della letteratura oggi sia un altro: penso che ormai non abbia più né forza né sostanza un racconto del male dal quale l’autore prende le distanze. Per essere vero, il male va raccontato da dentro. Questo è ciò che ho cerato di fare con La più amata. Assumendomi la responsabilità di essere me stessa: politicamente scorretta, ma vera» (ad Antonio Carnevale) • Prima de La più amata, «ho firmato delle sceneggiature orrende e pubblicato romanzi che non hanno venduto niente. La critica o mi ha distrutta o mi ha ignorata». Tra i romanzi precedenti, oltre ad Adelmo torna da me (Einaudi 2002), Il mio paradiso è deserto (Rizzoli 2013) e Tuttissanti (Il Saggiatore 2013); tra le sceneggiature, quelle per Tre metri sopra il cielo di Luca Lucini (2004) e Ho voglia di te di Luis Prieto (2007), ispirate agli omonimi libri di Federico Moccia, e L’estate del mio primo bacio di Carlo Virzì (2006), ispirata ad Adelmo torna da me. Teresa Ciabatti inoltre collabora da tempo con alcuni giornali e riviste, tra cui il Corriere della Sera, Io donna, Diario e Nuovi Argomenti • Sposata (con uno sceneggiatore conosciuto alla Scuola Holden di Alessandro Baricco), una figlia. «Ho voluto tantissimo questa bambina e me l’ero immaginata in un mondo rosa, quasi una proiezione di quello che ero stata io. Le avevo preparato una magnifica casa delle bambole che lei non ha mai neanche sfiorato, perché mia figlia è dark, completamente diversa da come la immaginavo. La maternità per me è iniziata quando ho preso coscienza che questo essere umano non ero io, e nemmeno la mia bambina ideale» • «Si crede che la letteratura (soprattutto femminile) debba dare risposte. E anche sagge. Io risposte non ne ho da dare. Io faccio solo domande che restano senza risposte. Ci può essere una scrittrice cretina?» (ad Antonio D’Orrico).