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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi (Vittorio Umberto Antonio Maria S.), nato a Ferrara l’ 8 maggio 1952 (66 anni). Critico e storico dell’arte. Scrittore. Politico. Deputato di Forza Italia (dal 19 marzo 2018); già deputato dal 1992 al 2006 (Partito liberale italiano, Forza Italia). Europarlamentare dal 1999 al 2001 (Ppe). Già sottosegretario ai Beni e alle Attività culturali (2001-2002). Già assessore ai Beni culturali della Regione Siciliana (2017-2018) e assessore alla Cultura del Comune di Milano (2006-2008). Già sindaco di Salemi (2008-2012) e di San Severino Marche (1992-1993). «Sono un mito vivente» • Primo dei due figli dei farmacisti Giuseppe «Nino» Sgarbi (1921-2018) e Caterina «Rina» Cavallini (1926-2015). «Voleva andare a scuola a cinque anni, ma la maestra non lo voleva. “Se gli faccio fare la prima”, mi disse, “questo qui mi tormenta tutti gli altri”. Allora l’ho iscritto in seconda. Però in seconda era piccolino rispetto agli altri e mi tornava sempre a casa con gli occhiali rotti o un pugno sul naso. Lo picchiavano soprattutto i fratelli Manzoli. Io gli dicevo: “Non vorrai mica che ti venga a difendere io, vero? Comincia a difenderti da solo. Fatti valere coi fratelli Manzoli”. Un giorno mi tornò a casa con la faccia distrutta e i denti che gli ballavano. “Me lo hai detto tu, che dovevo difendermi dai fratelli Manzoli”. I compagni per prenderlo in giro lo chiamavano “ucialìn”. Perché era miope» (sua madre). «Già allora non era facile gestirlo. Quando mia moglie era in attesa di Elisabetta, decidemmo di mandarlo in un collegio. L’idea fu di dargli un’educazione solida ma anche segnata da regole. Di fatto, l’esperimentò fallì. Anche nel collegio dei salesiani riuscì a portare scompiglio» (suo padre). «Il mio antagonismo fiorì nel 1962, quando fui messo in collegio dai salesiani, a Este. Due anni di galera. Alla fine mi cacciarono. Per aver buttato l’insegnante di ginnastica giù dalle scale di una chiesa trasformata in palestra. E per essere stato scoperto a leggere di nascosto Pavese, D’Annunzio e Proust, ma soprattutto Senilità di Italo Svevo. Tutti gli autori erano all’Indice, tranne Collodi e De Amicis. Il direttore, don Silvino Pericolosi, voleva che leggessi I dolori del giovane Werther, ignorando che anche Goethe figurava nell’Index librorum prohibitorum. Da noi l’Ottocento è durato fino agli anni ’60. In fondo, non era male. Esisteva un’autorità, per cui aveva senso ribellarsi». Laureatosi in Filosofia a Bologna con specializzazione in Storia dell’arte – «ultimo allievo» di Francesco Arcangeli (1915-1974), successore in cattedra di Roberto Longhi (1890-1970) –, fu assunto nel 1977 come ispettore dalla Soprintendenza per i Beni artistici e storici del Veneto. La popolarità nazionale giunse nel 1989, quando, ospite del Maurizio Costanzo Show, si contraddistinse subito tanto per capacità affabulatorie quanto per impeto polemico: è passato agli annali della televisione lo «stronza» con cui, il 23 marzo di quell’anno, appellò una poetessa dilettante che, vistisi stroncare i suoi versi, gli aveva appena dato dell’asino. «“Con tre interventi da Costanzo raggiunsi la popolarità assoluta”. La sua invettiva contro Federico Zeri (“Lo voglio vedere morto”) resterà a lungo negli archivi televisivi. “Il mio ruolo era di stabilire contrasti, creare sconcerto. Un po’ come quando al casinò ti riesce di sbancare il banco. Volevano farmi parlare di una cosa e io li spiazzavo parlando d’altro. Benché avessi vinto il premio Estense, contro Bocca, Pampaloni e Villari, ero isolato, il riconoscimento diffuso era di là da venire. In quel contesto fu proprio Costanzo a invitarmi in tv per raccontare l’anomalia della mia critica d’arte”» (Michele Anselmi). Era solo l’inizio di una lunga serie di intemperanze catodiche, che sarebbe continuata poco dopo con l’acqua gettata in faccia a Roberto D’Agostino (ricambiata con una sberla), all’Istruttoria di Giuliano Ferrara e con il diverbio con Mike Bongiorno (cui riuscì a far perdere le staffe) a Telemike, fino alle sfuriate con Alessandra Mussolini e alle più recenti sequele di «capra!» dispensate dapprima agli inviati delle Iene e poi a chiunque gliene sembri degno. Nel frattempo, parallelamente alla carriera televisiva, decollata a furor di ascolti con la trasmissione Sgarbi quotidiani (tredici minuti tra arte e politica ogni giorno su Canale 5 a un milione di lire l’uno, dal 1992 al 1999), aveva avviato anche il cursus politico, iniziato con l’elezione a deputato nel 1992 tra le file del Pli e proseguito negli anni successivi nell’orbita di Forza Italia o comunque del centrodestra, tra alterne vicende (clamorose cacciate dal governo Berlusconi e dal Comune di Milano guidato da «suor Letizia» Moratti, ma anche grandi riscontri a livello d’immagine e di visibilità internazionale per i comuni di San Severino Marche e di Salemi durante le sue sindacature). Da ultimo, nel 2017 ha fondato insieme a Giulio Tremonti il movimento politico «Rinascimento», mirante a «catalizzare la dinamica della bellezza trasformandola in una missione politica», anzitutto attraverso la fusione dei ministeri del Tesoro e dei Beni culturali «per creare una centrale di investimento sul patrimonio italiano». In vista delle elezioni politiche del 2018 ha però stretto un patto federativo con Forza Italia, grazie al quale è stato rieletto deputato. «Il potere politico e tecnico per me sono il mezzo per evitare lo scempio. Anche Federico Zeri avrebbe volentieri fatto il ministro per impedire gli orrori» • Autore di innumerevoli pubblicazioni, da alcuni anni è impegnato a disegnare una sorta di «storia e geografia dell’arte italiana» attraverso la serie «Il Tesoro d’Italia», pubblicata dapprima da Bompiani e ora presso La Nave di Teseo: gli ultimi due volumi, il quarto e il quinto, sono Dall’ombra alla luce. Da Caravaggio a Tiepolo e Dal mito alla favola bella. Da Canaletto a Boldini. «A nulla tengo più che alla mia scrittura, che è di un virtuosismo dannunziano» • «Dopo le lezioni di Bruno Cavallini, mio zio letterato, e di Francesco Arcangeli, il primo e più appassionato allievo di Roberto Longhi, l’impulso a collezionare arte mi venne con la frequentazione di Mario Lanfranchi, collezionista-maestro perfetto. Fu grazie a lui che potei rompere il dogma universitario, quello cioè che mi faceva guardare le opere d’arte come beni spiritualmente universali ma indisponibili materialmente. Fino a quell’incontro, le opere mi erano sembrate idee, pensieri, non cose. […] Dal 1983, quando acquistai uno straordinario San Domenico di Niccolò dell’Arca, decisi che non avrei più cercato ciò che era possibile trovare, o di cui si poteva presumere l’esistenza, ma soltanto ciò che per sua natura era introvabile» (ad Antonio Carnevale). Nel corso degli anni, ha costituito una straordinaria collezione privata di oltre quattromila opere, per lo più acquistate per suo conto alle aste dalla madre, «che del figlio fu per quasi mezzo secolo segretaria, agente, vestale e archivista» (Camillo Langone) • Il padre Giuseppe esordì come scrittore a 93 anni con Lungo l’argine del tempo. Memorie di una farmacista (Skira 2014), riscuotendo subito un grande successo, replicato dai tre titoli successivi. La sorella Elisabetta è una nota editrice, storica direttrice editoriale della Bompiani e fondatrice nel 2015 de La Nave di Teseo • Tre figli accertati da tre donne diverse, ma «posso avere una quarantina di figli». «Non credo nella paternità. Penso che un uomo debba stare con un figlio in proporzione al tempo che ci mette a farlo: non più di un giorno al mese». Da una ventina d’anni è sentimentalmente legato a Sabrina Colle, con la quale ha però dichiarato di non avere da anni rapporti sessuali, che consuma esclusivamente con altre donne. «Vado oltre il nono comandamento. Non voglio la donna d’altri: desidero solo quella che non conosco» (a Stefano Lorenzetto). «Vittorio ha preso da mio padre, affabulatore nato e gran seduttore. Aveva un trasporto verso le donne quasi istintivo. Un giorno accarezzò le mani persino a due giovani suore che s’erano presentate al mulino a chiedere un’offerta per i poveri» (suo padre) • «Sgarbi è il Robin Hood della comunicazione, colui che regala alla provincia negletta la notorietà rubata alle capitali e ai mass media. […] Sgarbi, prestando a ogni artefice e a ogni borgo l’attenzione che mai nessuno ha prestato loro, è il santo patrono dell’Italia minore» (Langone). «Di Sgarbi esiste già un film, Sgarbistan, girato da Maria Elisabetta Martelli; un dizionario, Lo Sgarbino, 1.412 pagine, 40 mila parole; due termini sono entrati nel dizionario della Treccani, “sgarbiano” e “sgarbista”; pure una bambola porta il suo nome (Sgorbie)» (Carmelo Caruso) • «Per temperamento sono mite, cordiale, affettuoso. Ma di fronte a comportamenti sgradevoli o irritanti non sto a guardare se chi ho davanti è grande o piccolo». «Le parolacce, da Joyce, a Céline, a Pasolini, a Carmelo Bene, sono patrimonio della letteratura contemporanea». «Non mi pento d’aver trasformato in spirito, con un processo alchemico, il denaro percepito in televisione, cioè nel luogo più volgare che esista. Il valore di un’opera d’arte è meramente convenzionale. Il paradosso è che quando avevo i soldi non c’erano le opere; oggi che ho le opere, non ci sono i soldi. Per cui l’unica soluzione è comprare le opere quando ci sono. Anche se non hai i soldi». «Più che parlamentare, avrei preferito diventare cardinale. La mia stravaganza suprema è l’aspirazione alla santità. Ho anche già fatto due miracoli da vivo, però mi dicono che non valgono per la causa di beatificazione». «Sono come un attore porno. Nell’arte cerco sempre la passione, voglio godere: stanare opere misteriose è una straordinaria fonte di piacere».