5 settembre 2018
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Biografia di Alan Bennett
Alan Bennett, nato a Leeds (Yorkshire Occidentale, Inghilterra) il 9 maggio 1934 (84 anni). Drammaturgo. Sceneggiatore. Scrittore. Attore • «Mio padre, pur essendo un macellaio, e mia madre, una casalinga, portavano sempre me e mio fratello alla biblioteca pubblica e tornavamo a casa carichi di libri. Ho letto parecchio da ragazzo, ed è merito dei miei. Non desideravano vedermi diventare macellaio». Crebbe con il proposito di diventare sacerdote, ma durante il servizio militare, svolto in parte frequentando un corso di russo a Cambridge («C’era la Guerra fredda, qualcuno mi consigliò di arruolarmi nel corso di russo e non me ne sono mai pentito: oltre ad avere appreso una bella lingua, mi mandarono a studiare a Cambridge anziché a combattere in Corea, come capitò a tanti miei commilitoni»), finì per cambiare idea. «Eravamo ufficiali cadetti e alcuni di noi studiavano il russo. L’esame per ufficiali era facile, ma io non ci riuscii e fui retrocesso al ruolo di soldato semplice. Ero molto diligente e per me fu una delusione tremenda, la prima volta in cui fui respinto. Mi destabilizzò molto, il mio atteggiamento nei confronti del mondo cambiò decisamente e diventai più radicale, persi ogni soggezione all’autorità» (a Leonardo Clausi). «“A Oxford […] sono arrivato senza che i miei spendessero un soldo: prima ho fatto le scuole pubbliche, poi vinto una borsa di studio per l’università. […] Gli snob non mancavano. Dipendeva dal college in cui capitavi. Nel mio, Exeter, metà degli studenti provenivano da scuole statali come me. Ma riconoscevo i rampolli ricchi dall’accento”. A Oxford, Bennett studiò e per un po’ insegnò Storia medievale. “Una scelta casuale, non è che mi affascinasse particolarmente. Ma l’insegnante di Storia medievale era il migliore e perciò scelsi la sua materia”. […] La carriera accademica di Bennett si interrompe quando sale sul palcoscenico universitario, in pratica per non discenderne più. […] “Per diventare attori bisogna volerlo fortissimamente e io non lo volevo neanche un po’. Volevo scrivere, piuttosto. […] Era l’unica cosa che mi rendeva felice”» (Enrico Franceschini). «Alan Bennett s’impose all’attenzione del pubblico inglese nel 1961, all’età di ventisette anni, come uno dei quattro interpreti di Beyond the Fringe, che debuttò al Festival di Edimburgo e che fu poi replicata con successo nel West End londinese e a New York. Questo tipo assolutamente oxfordiano, occhialuto, piuttosto serio, che sembrava destinato a una carriera di docente presso l’università di Oxford, decise invece di dedicarsi al teatro. Scritto e interpretato insieme a Jonathan Miller, Dudley Moore e Peter Cook, Beyond the Fringe cambiò profondamente il genere della rivista inglese, che fin dalle sue origini nel XIX secolo si era limitata alla satira di costume. Sul palcoscenico di Beyond the Fringe quattro giovani intellettuali traggono invece il loro materiale da campi diversissimi e prendono a oggetto di satira inquietudini esistenziali, come la morte e la religione, o controverse questioni politiche, quali la bomba nucleare e il disarmo» (Margaret Rose). Nel 1968, il grande successo della rappresentazione della sua prima commedia, Forty Years On, segnò l’inizio della sua lunga e fortunata attività di autore, presto declinata, oltre che nelle vesti di drammaturgo teatrale, anche in quelle di sceneggiatore televisivo e cinematografico e di narratore. «Nella sua sterminata produzione di racconti lunghi, di “novelle”, di testi teatrali, di copioni televisivi di cui fanno parte le Talking Heads, […] i monologhi pungenti e malinconicamente divertenti passati in televisione con grande successo, la puntata massima Alan Bennett l’ha probabilmente raggiunta con La sovrana lettrice, uno “scherzo”, in senso musicale, sulla passione per i libri e i rischi della cultura. Capita infatti che la regina, recentemente innamoratasi dei libri, chieda al primo ministro francese, durante una cena ufficiale, se gli piaccia Jean Genet, con lo scompiglio e le minirivoluzioni che ne seguono… Una esilarante radiografia della società britannica di oggi è La cerimonia del massaggio, che vede riuniti, a un funerale, i clienti di un abile e attraente massaggiatore. Tra risate e compassione umana è La signora nel van, dove si racconta di una vecchia dama che ha chiesto ospitalità a Bennett perché il suo van potesse stare per qualche ora sul suo vialetto di casa, dove invece rimarrà per quindici anni: una storia prontamente diventata un film con la grande Maggie Smith. E poi la splendida sceneggiatura di La pazzia di re Giorgio, e la commedia giovanilistica The History Boys, su una squadra di studentelli che tentano di farsi ammettere a Oxford. Scampoli intelligenti e graffianti di uno scrittore britannico come la Union Jack. […] Alan Bennett […] scrive mosso da un paradossale senso della critica sociale che traduce, per nostra fortuna, in ironia e divertimento, con un tocco di malinconia e di partecipazione che rende il tutto, anche il sarcasmo, umano, affettuoso» (Irene Bignardi). Da ultimo, è stata annunciata per l’estate 2018 la messa in scena, al Bridge Theatre di Londra, di una sua nuova commedia, Allelujah!, ambientata in un gerontocomio a rischio chiusura per i tagli ai finanziamenti della sanità nazionale • «La cifra comune a tutto il suo lavoro è una vena satirica, che ne fa un esempio straordinario, quasi emblematico, di humour inglese (“as British as Alan Bennet”, inglese come Alan Bennett, è una frase diventata quasi un cliché). Ed è proprio con gli stereotipi che l’autore gioca nei suoi testi, mettendo in scena, dissacrandoli, tutti gli elementi che caratterizzano la piccola-media borghesia inglese. Timidezza, solitudine, il grigiore delle città del Nord della Gran Bretagna, l’alienazione delle famiglie, il perbenismo e l’ipocrisia: sono tutti temi che ricorrono nella sua produzione, composta da 19 lavori per la televisione, quattro serie televisive e tre film per il grande schermo, oltre a numerose opere teatrali, romanzi brevi e racconti, scritti autobiografici e giornalistici» (Giovanna Mancini). «Bennett sembra scrivere spinto da un desiderio insaziabile di esplorare le idiosincrasie dell’individuo, occupandosi di situazioni specifiche piuttosto che di più ampie questioni politiche e sociali, le quali rimangono comunque sullo sfondo. La sua attenzione si accentra su gente comune (generalmente nel suo nativo Nord) e su celebri personaggi sia del passato, quali re Giorgio III e Kafka, sia dei tempi più recenti, quali le spie di Cambridge Anthony Blunt e Guy Burgess. Come Amleto, è ossessionato dall’enigma dell’essere e dell’apparire ed eccelle proprio grazie alla sua superba abilità nel rappresentare i giochi illusori attraverso i quali inganniamo noi stessi e gli altri. Il risultato finale è spesso tragicomico, dato che ridiamo di questi inganni ma nel contempo siamo commossi dalla difficoltà dei personaggi nel rapportarsi a sé e agli altri. […] Dopo aver assistito a una rappresentazione di Bennett non si ha mai l’impressione che egli abbia voluto impartire un messaggio morale o didattico, ma si ha semplicemente la sensazione di capire meglio il personaggio e di identificarsi con la sua difficile situazione» (Margaret Rose) • Omosessuale dichiarato tardivamente e senza fervori ideologici («Non volevo essere etichettato come gay», «Non sono un crociato, uno che va sulle barricate»), vive da anni con Rupert Thomas, direttore della rivista di arredamento World of Interiors, a Primrose Hills, «quartiere londinese in cui tutti si conoscono, gli sconosciuti salutano con un "good morning" e i ragazzini aiutano le vecchiette ad attraversare la strada. Ha l’atmosfera di un villaggio, non di una capitale, e ci sto bene per questo» • Laburista, detesta da sempre Margaret Thatcher («La detesto oggi che è morta quanto ieri che era viva, e ne detesto la postuma santificazione, in pieno svolgimento») e considera fondamentale il ruolo della scuola pubblica («Sono stato istruito a spese dello Stato, sia a scuola che all’università. Lo Stato ha salvato la vita a mio padre e una volta anche a me. […] Senza lo Stato non sarei qui oggi»). «Senza essere stato particolarmente di sinistra, sono lieto di non aver mai fatto quel triste safari da sinistra a destra che in genere è conseguenza dell’età, un viaggio che sembra attirare in particolare gli scrittori. […] Se per me non è stato così, è in parte dovuto alle circostanze: dagli anni Ottanta in poi è successo così poco in Inghilterra di apprezzabile e degno di appoggio, a mio giudizio. Per diventare radicale è bastato star fermo». Ha rifiutato sia il titolo si comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico sia quello di cavaliere • «Prima di cominciare a scrivere avevo un’idea molto pomposa dell’autore teatrale. Pensavo che fosse un demiurgo, un creatore… Poi mi sono accorto che le cose non stanno così. Sì, è vero, tu dai vita a un personaggio, poi però è lui a tenere le redini della vicenda, a spiegarti il percorso che sta facendo, il problema che sta cercando di risolvere. Ed è sempre lui, da ultimo, a offrirti un brandello di verità» (a Franco Marcoaldi).