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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Andrés Iniesta

Andrés Iniesta (A. Iniesta Luján), nato a Fuentealbilla (Castiglia-La Mancia, Spagna) l’11 maggio 1984 (34 anni). Calciatore. Centrocampista. Capitano del Barcellona e membro della Nazionale spagnola. Con 37 titoli conquistati (32 con il Barcellona e 5 con la nazionale, incluse le selezioni giovanili), è il calciatore spagnolo più titolato di sempre: con il Barcellona ha conquistato 9 campionati spagnoli, 7 Supercoppe spagnole, 6 Coppe del Re, 4 Coppe dei campioni, 3 Supercoppe Uefa e 3 Coppe del mondo per club Fifa; con la Nazionale spagnola, oltre a due titoli nelle giovanili (Campionato europeo Under-17, nel 2001, e Under-19, nel 2002), un Campionato mondiale (2010) e due Campionati europei (2008, 2012). Personalmente è stato, tra l’altro, nominato miglior giocatore Uefa d’Europa (2011/2012), miglior giocatore del Campionato europeo (2012), miglior centrocampista del campionato spagnolo (2009, 2011, 2012, 2013, 2014); candidato al Pallone d’oro ininterrottamente dal 2009 al 2016, si è attestato una volta secondo (2010), un’altra terzo (2012) e due volte quarto (2009, 2011) • «È lontana Barcellona da Fuentealbilla, paesino di duemila abitanti, in cui il piccolo Andrés gioca a futsal ma sogna il calcio a 11. I genitori, papà muratore, mamma casalinga, […] accettano di iscriverlo a 8 anni alla scuola calcio del. […] A 12 anni arriva alla Masia, la cantera del Barcellona, con l’idea di imitare il suo idolo, Michael Laudrup. È piccolo, timido e pallido perché una rara malattia della pelle gli impedisce di scurire la carnagione. […] Piange ogni notte per le prime due settimane, ma resiste. Rimane in ritiro da solo quando gli altri bambini, praticamente tutti catalani, tornano a casa per il weekend. Amici come Xavi, che ha quattro anni più di lui, cui Guardiola un giorno dice: “Tu prenderai presto il mio posto, ma questo ci manda a casa tutti e due”» (Alessandro Mastroluca). «Dopo aver giocato per due stagioni nel Barcellona B, esordisce a diciotto anni con la prima squadra in Champions League contro il Club Brugge. Nel 2004/2005, con l’arrivo in panchina di Frank Rijkaard, il centrocampista diventa titolare inamovibile e in breve tempo uno dei giocatori più forti nel panorama mondiale. Nella stagione 2008/2009, quella del “triplete” (Liga, Champions League e Coppa del Re), risulta decisivo nella semifinale di ritorno di Champions League, quando a Stamford Bridge con il Chelsea realizza all’ultimo minuto di recupero il gol decisivo per il passaggio in finale. I catalani trionfano 2-0 e si laureano campioni d’Europa, Iniesta realizza l’assist per il gol del vantaggio di Samuel Eto’o. A fine partita Wayne Rooney definisce Iniesta "Il miglior giocatore al mondo", mentre al termine del campionato viene eletto calciatore spagnolo dell’anno. Nel 2011 gioca da titolare la finale di Champions League a Wembley contro il Manchester United, vinta poi dagli spagnoli per 3-1. Nello stesso anno, nella partita di ritorno di Supercoppa contro il Real Madrid, sblocca il risultato con un preciso pallonetto: la partita finirà 3-2 per i blaugrana, e questo consente di vincere la coppa (decimo titolo). […] Con la Nazionale, […] debutta nella formazione maggiore il 5 maggio 2006 nella sua città, Albacete, in occasione dell’amichevole con la Russia. Va al Mondiale in Germania, ma gioca solo una partita. Diventa presto il faro delle Furie Rosse, con cui vince l’Europeo 2008 da titolare e il Mondiale 2010 decidendo nei supplementari la finale con l’Olanda. Nel 2012 completa lo storico triplete, vincendo pure l’Europeo 2012 e venendo eletto dalla Uefa "miglior giocatore del torneo"» (Francesco Rosati di Monteprandone Delfico). «Nella stagione 2014/2015 il Barcellona torna a vincere tutto: Luis Enrique ripete la stagione d’esordio di Guardiola conquistando al primo tentativo il triplete. […] Xavi saluta i compagni e va a concludere la carriera in Medio Oriente, Iniesta è sempre più il leader di una squadra che si conferma vincente: nel 2015/2016 il Barcellona conquista il suo 24esimo titolo nazionale superando sul filo di lana (91 punti contro 90) il Real Madrid, conquista la sua terza Coppa del Mondo per club (3-0 in finale al River Plate) e la 28esima Coppa del Re. […] Il 2016/2017 è un anno interlocutorio, la squadra non rende secondo le attese e Iniesta forse comincia ad accusare l’età. […] Arrivano comunque le vittorie in Supercoppa contro il Siviglia e in Coppa del Re contro l’Alavés. L’ultima stagione di Don Andrés in blaugrana, infine, è quella in corso: è qui che prevale l’orgoglio del grande campione, che vuole andarsene da vincitore e che riesce a tornare ai grandissimi livelli raggiunti in passato. A beneficiarne è la squadra intera, che mantiene un passo spedito per tutta la stagione sotto la guida del nuovo tecnico Valverde e che sbaglia soltanto una partita, il ritorno dei quarti di finale contro la Roma che sancisce una precoce eliminazione dalla Champions League. Nonostante questo passo falso, Iniesta e compagni non si perdono d’animo, e conquistano la Coppa del Re con uno spettacolare 5-0 rifilato al Siviglia in cui va a segno anche Iniesta, che successivamente trascina la squadra all’ennesima vittoria in campionato» (Simone Cola). Il 27 aprile 2018 ha annunciato l’addio al Barcellona a fine stagione («È il momento, non posso più dare tutto»), ma non al calcio («Ho sempre detto che non avrei mai giocato contro il Barça, quindi fuori dall’Europa ogni posto va bene»). Pochi giorni dopo, il 6 maggio, il suo ultimo «Clásico», Barcellona-Real Madrid. «Niente pasillo tradizionale per Iniesta, niente ingresso d’onore in campo, in quello che sarà un match durissimo, divertente, con gol e spettacolo. Barcellona e Real non si giocano nulla (ed è una rarità: la squadra di Valverde ha dominato la Liga), ma in campo lo spettacolo è assicurato, la tensione è palpabile. Tutti gli occhi sono su di lui, su Iniesta, su Don Andrés. […] Esce dal campo al minuto 58, Iniesta, ed è teso, concentrato. […] Cammina per il campo il campo a piedi scalzi, […] tutto il pubblico del Camp Nou si alza in piedi» (Luca Capriotti). «Di lui incantavano la padronanza assoluta dello spazio e del tempo, pensare un secondo prima degli altri. E vedere tutto dove gli altri vedevano solo la rissa. Lo chiamavano anche l’Illusionista, ma era la bellezza di aver domato con la ragione e la grazia il più irrazionale dei giochi. Ha giocato, vissuto, ed è uscito di scena così. Il migliore. Lo stupido Pallone d’oro non gliel’hanno mai dato, e questo è il suo trentaduesimo trofeo. La perfezione» (Maurizio Crippa). L’8 maggio 2018 è stato annunciato il suo ingaggio nel Vissel Kobe, squadra della massima serie giapponese, con un contratto triennale da 75 milioni di euro • Cattolico, è sposato e ha tre figli (un maschio e due femmine); un altro figlio nacque morto nel marzo 2014 («L’ho visto. Era un feto, ma l’ho visto. […] È stata un’esperienza dura, ma lo sento molto vicino, fa parte di noi»). «Essere padre è più difficile che giocare contro il Real Madrid. Il Clásico dura 90 minuti, ma i figli sono per tutta la vita e non sai mai se stai facendo le cose nel modo migliore. Sul calcio hai le idee più chiare. […] A casa non ti smarchi» • «“Prima di colpire il pallone ho dovuto attendere che scendesse un po’. Se non avessi aspettato non avrei segnato. In quella frazione di secondo, la gravità ha fatto il suo dovere, e io il mio. Grazie, Newton”. Il commento di Andrés Iniesta al gol decisivo della finale Mondiale 2010 in Sudafrica […] è la sintesi estrema della sua intelligenza non solo calcistica. Lì si concentrano infatti la sua consapevolezza molecolare della “fisica” del calcio; la sua matrice di giocatore artista-scienziato, tra impulso creativo e controllo razionale; la sua ineguagliabile cognizione del timing di una giocata, sempre tesa – anche nell’apparente virtuosismo personale – a integrarsi nella rete di rapporti della squadra» (Sandro Modeo). «Di giocatori come lui ce ne sono pochi. La classe che solo i grandi hanno, unita alla testa pensante da uomo vero. […] Alzi la mano chi ha mai visto un gesto fuori posto, uno scandalo di qualsiasi tipo legato a Iniesta. Lui che dopo il gol decisivo nella finale dei Mondiali del 2010 con la sua Spagna ha sfoggiato una maglia per ricordare Dani Jarque, scomparso l’anno prima. Piccolo particolare: Jarque era il leader dell’Espanyol, l’altra squadra di Barcellona. Nella sua carriera ha vinto tanto, tantissimo. Col Barça e con la Nazionale. Gli sono stati attribuiti tanti soprannomi: illusionista, cervello, cavaliere pallido, anti-galáctico, per le sue caratteristiche fisiche e tecniche. Ma in pochi sanno che dopo il Mondiale ha lottato e vinto contro la depressione. Che con la sua azienda che produce vino ha salvato dal fallimento l’Albacete, squadra dove ha mosso i primi passi. Del resto, non è mai stato un calciatore come gli altri, in campo e fuori» (Matteo Basile) • «Spesso mi definiscono un eroe, ma non hanno capito niente. Eroe è chi emigra coi figli in un altro Paese per cercare fortuna o chi cura le persone salvando la loro vita. Io sono solo un maledetto calciatore».