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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Vincino

Vincino (Vincenzo Gallo), nato a Palermo il 30 maggio 1946 (72 anni). Disegnatore. Giornalista. «Ha partecipato a quasi tutte le principali esperienze satiriche italiane (da Zut a Tango, passando per Linus, Cuore e Il Clandestino). Del Male fu direttore per quattro anni. Ricordate le false prime pagine dei quotidiani? “Ugo Tognazzi è il capo delle Br”, oppure “Annullati i mondiali”. E le copertine? La morte del papa Giovanni Paolo I presentata come cover di un giallo e la faccia di Andreotti a forma di sedere? Be’, la firma ce la metteva lui» (Vittorio Zincone). «Vorrei aprire una bella scuola di satira sull’islamismo in Arabia Saudita» (ad Alessandro Milan) • «“Mio padre era il direttore dei Cantieri Navali di Palermo. Era nato nel savonese, a Cairo Montenotte. […] Era uomo di grande moralità e sobrietà. […] Da piccolo ho avuto un posto privilegiato per capire come e perché si muovevano le cose”. […] Primi disegni? “Da bambino. Come tutti avevo l’istinto di acchiappare fogli, disegnare e colorare qualsiasi cosa. […] Ho continuato. I primi disegni, li pubblicai su L’Ora”» (Malcom Pagani). Da ragazzo, «per un periodo frequentai l’Opus Dei. Avevo una relazione con una ragazza e lo raccontai al confessore. Lui disse che dovevo troncarla. Preferii troncare con l’Opus Dei. […] Ero e sono anarchico. Quando capii che un po’ di organizzazione ci vuole, passai a Lotta continua. […] A Gela […] la mattina alle cinque ero alle fabbriche: a dare volantini. Albe tragiche, a volte gialle, a volte viola, a volte rosse, dipendeva dalla lavorazione di quel giorno del Petrolchimico. Dopo le fabbriche si andava fuori delle scuole e poi all’ufficio di collocamento, che era la parte più divertente. Ogni volta c’erano duecento persone per due posti, che venivano dati ai soliti due raccomandati. E allora andavamo a occupare il municipio. E lì mi buttavo sotto le camionette della polizia. Alla fine mi arrestarono. […] Mi sono fatto un mese e mezzo dentro» (a Claudio Sabelli Fioretti). Il suo primo incarico per L’Ora fu «seguire il processo per la strage mafiosa di viale Lazio, avvenuta a Palermo alla fine del 1969. Intuì che la sua missione non consisteva solo nel disegnare i volti degli imputati, ma anche nel rendere il clima dell’aula, le tensioni, i sentimenti dei parenti dei soggetti coinvolti. Così mise a punto la capacità di sintetizzare le pulsioni che attraversano il mondo con un intreccio di linee e colori» (Paolo Fossati). «Vincino in quegli anni vestiva l’eskimo in redazione. Divenne famoso in città quando l’indimenticato pretore Vincenzo Salmeri decise che gli hot pants, cioè i pantaloncini che lasciavano ben poco all’immaginazione quanto alle rotondità posteriori delle ragazze, erano contrari al buon costume. Ne fece le spese una signorina danese, tale Lise Wittrock, di 28 anni, che passeggiava in hot pants per i budelli della Vucciria. Salmeri la incriminò per oltraggio al pudore, e Vincino cominciò così una spumeggiante e fortunata serie di vignette» (Salvatore Merlo). Nel 1972, la laurea in Architettura. «Ho lavorato come architetto per soli tre mesi, sotto il militare, ristrutturando la casa del comandante ma anche lavorando a un fortino sul Sabotino: da Palermo mi avevano sbattuto a Gorizia» (a Marco Ferrazzoli). «Convocato da Lotta continua, raggiunsi Roma nel 1973. […] Amo follemente Palermo. È la mia città, non l’avrei mai lasciata, ma quando iniziai a disegnare i fax non esistevano. Proporre i miei lavori ai quotidiani romani significava vederli in pagina tre giorni dopo. Dovetti trasferirmi a Roma. […] I primi due mesi, ospite di un amico di mio padre, dirigente dell’Iri, li passai a studiare nottetempo L’Asino di Podrecca e Galantara, una storica rivista di satira politica nata alla fine dell’800. Erano disegnatori che raccontavano il mondo e la loro epoca. Fino a quando l’Associazione stampa parlamentare furibonda non mi ritirò i permessi, provai a raccontare l’Italia attraverso le trame del Parlamento. Vedevo ogni cosa con i miei occhi e ogni cosa riproducevo. I capannelli dei lobbisti che commissionavano le interrogazioni parlamentari, gli accendini venduti di contrabbando, i piccoli traffici quotidiani. A un certo punto qualcuno disse basta, e il gioco finì». «Con Pino Zac nel 1978 ha fatto nascere Il Male. “La bravura di Pino Zac nel mettere insieme il gruppo del Male è stata fondamentale: Vauro, Angese, Mannelli, Perini, Jacopo Fo… […] Dopo Il Male c’è stato Tango, poi Zut e Cuore”. Nessuno è durato granché, come mai? “I giornali di satira, secondo me, non possono durare a lungo. Se funzionano, è perché individuano il sentimento di quel preciso periodo storico; poi, quando il periodo finisce e il sentimento cambia, è difficilissimo riconvertirsi. Ad esempio, la scommessa de Il Male, uscito proprio quando rapivano Moro, era interpretare la voglia di uscire dagli anni di piombo. Cuore riuscì a cogliere la crisi della politica, ma fallì subito dopo perché non capì la fase Berlusconi-Prodi”» (Giulia Stok). «Il Male ebbe l’apoteosi con il titolo a nove colonne su un’edizione contraffatta di Repubblica: Lo Stato si è estinto. “Eugenio Scalfari telefonò in redazione”, ricorda oggi Vincino che fu nominato direttore dopo i primi tre numeri in edicola, “presi io la telefonata. Pure le pareti, figurarsi le finestre – spalancate – erano a bocca aperta nel rimbombo della telefonata dell’illustre contraffatto: vi denuncio, vi denuncio…”. Vi denunciò? “No, ma si sfogò con quella telefonata così tonante che ancora oggi sento squillare quel telefono finito chissà dove. […] Giovani del ’68, noi, appena usciti dal ’77 e reclutati sull’onda di un’epoca pazzesca. Noi, più che parte di un giornale, eravamo una compagnia di teatro. Ce ne stavamo tutti intorno al tavolo a raccogliere le idee di tutti. Non c’erano gerarchie e ruoli, e fu grazie a un grafico – stampare una Repubblica, più veritiera che falsa – che si ebbe l’impennata delle vendite. E poi, certo, il rapimento Moro che accade in contemporanea con il quarto numero, ci porta al balzo, da diecimila copie a quarantamila immediatamente…”» (Pietrangelo Buttafuoco). «Noi pubblicammo anche la famosa foto di Moro imprigionato che tiene il giornale sul petto. Sottotesto: “Scusatemi, abitualmente vesto Marzotto”. Era una vignetta che avevo fatto per Lotta Continua, ma la rifiutarono». «Con Sergio [Saviane – ndr] e Pino Zac fondammo il Male. Poi nell’87 progettiamo Zut, settimanale incandescente. […] Prima che finisca l’anno mi silurano da direttore. Un fotografo ci aveva portato delle foto di Eugenio Scalfari con una donna. “Sergio, chi è questa?”. “Non sai che Scalfari ha due di tutto? Mogli, famiglie…”. All’epoca io facevo il sosia di Bettino Craxi, con la pelata di lattice. Cicciolina si prestò come amante, e pubblicammo le foto affiancate di Scalfari e Craxi, ognuno con la rispettiva. Un doppio scoop in cui tutti erano veri, tranne me. L’editore di Zut era Ettore Rosboch, fratellastro di Carlo Caracciolo, socio di Scalfari, che s’incazzò a morte perché la storia era vera. Avevamo anche un cambio pubblicità con Repubblica. Un disastro. Rosboch era una brava persona, ma senza la tempra dell’editore di satira. Rotolò la mia testa» (Maurizio Caverzan). Nell’ottobre 2011, insieme a Vauro, rifondò Il Male (chiuso nel 1982): cessò le pubblicazioni nel 2013. «Ti definisci vignettista “di facili costumi”, una prostituta. “Ho lavorato al Sabato, sto al Foglio. Mi chiamavano dalla destra e dalla sinistra e non sapevano come etichettarmi”. Hai disegnato per il Corriere della sera e Vanity Fair: un ex di Lotta continua nell’establishment? “Al Corriere mi chiamarono nell’87: ‘Ha nulla in contrario a collaborare con noi?’. Ero basito, mi guardavo intorno con la cornetta in mano… Adoravo lavorare per il Corriere. Nel 2014 hanno sospeso. Vanity Fair invece va avanti”» (Maurizio Caverzan) • Sposato con Giovanna Caronia, due figlie: Costanza e Caterina • Si definisce anarchico e radicale, «però una volta ho votato liberale al Senato: c’era mio padre che si presentava. Ma alla Camera ho votato Lotta continua» • «Il direttore che mi ha censurato di meno, anzi, non mi ha censurato mai, è stato Giuliano Ferrara». «Penso che chi fa satira ha innanzitutto un dovere: non piangersi addosso. Con l’intelligenza si passa attraverso qualsiasi censura». «L’autore di satira che lavora solo come un combattente contro il nemico fa un disastro, secondo me. È un peccato. Deve riuscire ad avere un suo controllo. Ci sono molti errori in cui può cadere un autore di satira. Uno è questo qua: quello di non mettere al vaglio della satira le sue idee. Di non fare satira sulle sue idee, di fare solo satira contro il nemico. Un altro è quella di diventare moralista. E ce ne sono molti altri…». «Studio i miei personaggi, le situazioni, le facce, ma soprattutto le emozioni. E poi le butto giù con un tratto rapido, immediato, saltando la matita e lavorando direttamente a penna» (a Marco Ferrazzoli). «Si deve sempre disegnare dal vivo, non leggendo le notizie sul giornale. Solo così si scopre come sono i personaggi nella loro umanità, con i loro complessi, i loro problemi». «Un autore di satira funziona quando il suo racconto è in contemporanea con la società, la racconta bene sotto ogni suo aspetto: dal giovane disoccupato all’uomo politico; dal disgraziato che ruba alle donne che vengono massacrate. Nella mia visione, davanti c’è un mondo non ancora raccontato, ed è quello che ogni giorno mi affascina e mi colpisce. Io ancora oggi ho una grandissima voglia di disegnare per raccontare».