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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Martha Argerich

Martha Argerich, nata a Buenos Aires il 5 giugno 1941 (77 anni). Pianista. «Conta rari pianisti al suo livello, come Alfred Brendel e Maurizio Pollini: unica donna nel ristretto olimpo dei campioni. Il suo pianismo esorbita dalla "sola" bravura. Possiede qualcosa che non si studia e che ha a che fare col carisma di miti scomparsi: Rubinstein, Horowitz, Richter e Arturo Benedetti Michelangeli» (Leonetta Bentivoglio) • Famiglia di ascendenze catalane per parte paterna e russo-ebraiche per parte materna • All’età di due anni e otto mesi, a Buenos Aires, «ero alla scuola materna, […] un istituto molto speciale, dove dopo pranzo ci si doveva riposare. C’era una maestra che suonava il pianoforte ed eseguiva delle brevi canzoni. Io ero la più piccola di tutti gli studenti, e mi piaceva ascoltarla. Ricordo anche due bambini più grandi di me che, ad ogni mia azione o tentativo di gioco, mi dicevano che non potevo farla perché ero troppo piccola, mentre io proprio perché mi dicevano così la facevo. Successe lo stesso per il pianoforte: mi dissero che io non potevo suonarlo; allora andai al pianoforte e lo suonai con un dito riproducendo la stessa canzone della maestra, poiché avevo già un buon orecchio. Così è iniziato tutto. La maestra telefonò ai miei raccontando ciò che avevo fatto, e quindi mi fecero studiare pianoforte» (a Marco Ranaldi). «Ernestina Corma de Kussrow fu la mia prima insegnante di piano. Era specializzata nei bambini, aveva un metodo d’insegnare senza leggere la musica. Io mi annoiavo… Mia madre allora mi mandò da John Montes: lui mi ha insegnato a leggere le note». «Ho dato il primo concerto a quattro anni e ho continuato, ma detestavo esibirmi. […] Da bambina ero capace di cose orrende per far saltare le serate, tipo mettermi carta bagnata nelle scarpe per provocare la febbre». A cinque anni fu affidata a Vincenzo Scaramuzza (1885-1968), pianista nato a Crotone, diplomatosi in conservatorio a Napoli e trasferitosi quindi in Argentina. «Mi ricordo molto bene di lui, sono rimasta a fare lezione fino ai 10 anni. Era un personaggio decisamente molto severo. […] A ogni lezione che facevo dovevo essere accompagnata da mia madre, ed io dovevo stringergli la mano in un certo modo prima della lezione, e alla fine me la stringeva a sua volta. Quando la lezione non andava bene, non mi stringeva la mano. Mi dava del lei. […] Mia madre doveva essere presente perché doveva scrivere tutto ciò che mi diceva. Lo faceva perché ero una bimba, e lui non faceva lezione ai bambini». «Lui aveva un temperamento molto forte, faceva delle cose terribili, mia madre a volte piangeva. Una volta a me disse: “Quando sei una cretina, non devi venire a lezione”. Io non piangevo, non ho mai pianto davanti a lui. Non piangevo davanti a nessuno. Avevo tanta rabbia dentro… Sentivo che mi saliva dentro, e penso che suonavo così veloce perché così sfogavo la rabbia. […] Lui era geniale, era molto interessante». «I primi ruggiti nel 1949. Teatro Astral di Buenos Aires. […] Sul palco, una ragazzina di appena otto anni sta per debuttare con il Concerto n. 1 in do maggiore di Ludwig van Beethoven. Martha è minuta, intimidita. […] Corre al pianoforte. Ecco la musica. Un successo clamoroso» (Mario Leone). A undici anni, nuovo trionfo al prestigioso Teatro Colón di Buenos Aires. «A tredici anni Martha può sbarcare in Europa. […] Tutta la famiglia si trasferisce a Vienna, dove l’adolescente incontra Friedrich Gulda. L’eclettico pianista viennese odia l’insegnamento perché “i ragazzi sono ossessionati dalla tecnica e non dalla musica”. Martha Argerich fa eccezione. Folgorato dal talento, la prende sotto la sua protezione. Tra i due nasce una complicità fortissima. […] Il loro rapporto sarà quotidiano per un anno e mezzo, finché lo stesso Gulda la invita ad andare via: “Con un maestro non si può restare per più di due anni”. D’altra parte, Martha aveva inizialmente assecondato l’indicazione del maestro, fermamente convinto che lei dovesse suonare la musica jazz, ma con il tempo aveva capito che quello non era il suo alveo, riprendendo il repertorio classico. “Trovava orribile che io avessi lasciato la musica jazz – ricorderà la pianista molti anni dopo –, ma ormai era troppo tardi”. È il 1957, e Martha s’iscrive a due concorsi: il Ferruccio Busoni di Bolzano e il Concorso pianistico di Ginevra. […] Martha sbancherà letteralmente il Busoni e appena dieci giorni dopo anche il concorso di Ginevra. Questa consacrazione farà moltiplicare il numero di concerti, le interviste e la notorietà. Lo stesso anno registra la Toccata op. 11 di Prokofiev e la Sesta rapsodia ungherese di Liszt, effettuate dal vivo proprio a Bolzano e a Ginevra e tuttora esecuzioni insuperate per perfezione tecnica, plasticità e veemenza. Nel 1960 registra per la radio della Germania del nord la Sonata K 576 di Mozart. Un tributo al maestro Gulda, che l’aveva introdotta al genio salisburghese» (Leone). «“Presi a vivere come una quarantenne: viaggiavo da una città ignota all’altra, non avevo amici, ero timidissima. Nello studio ero caotica. Una bella pittura senza cornice. Giocavo d’azzardo. Studiando non suonavo mai un concerto dall’inizio alla fine. Lo imparavo a pezzi e lo eseguivo per la prima volta tutto insieme solo davanti al pubblico. Dormivo di giorno e studiavo di notte. Il Terzo concerto di Prokofiev l’ho imparato così, in modo quasi subliminale”. Nel ’60 un arresto, un equilibrio che si spezza. Martha va a vivere a New York e smette di suonare per tre anni: “Tutto ciò che facevo durante il giorno era guardare la televisione”. Riprende con l’aiuto del pianista polacco Stefan Askenase e di sua moglie: “Li andavo a trovare molto spesso, e più che suonare parlavamo. Grazie a loro ho ritrovato la fiducia”. A 24 anni vince lo Chopin di Varsavia, un trionfo. […] Nel ’67 la sua incisione del Terzo concerto di Prokofiev con la direzione di Claudio Abbado è un successo da hit-parade. Eppure, con la carriera alle stelle, affiorano altri periodi di silenzio. Altre sospensioni, paure, sofferenze. Viene aggredita da un grosso male, un’affezione cancerosa, e sparisce per un po’, andando a operarsi negli Stati Uniti. Poi però risorge con più energia di prima. E ogni volta meno jet-set, maggiore discrezione e ancora più determinazione nel negarsi ai ricatti del divismo. Ormai da tempo la Argerich non suona più come solista. […] Vuole esibirsi con gli altri, fare musica da camera e concerti con orchestra, sempre con partner con i quali è in sintonia anche personale. […] Racconta che suonare da sola la faceva sentire una reclusa, “forse perché da piccola mi esercitavo per ore, in solitudine, senza giocare con gli altri bambini. I miei dicevano che il mio unico compagno di giochi doveva essere il pianoforte. Oggi stare insieme a musicisti che ammiro, e sono anche persone che mi piacciono, mi dà un conforto speciale”. […] Il presente e il futuro sono i “suoi” ragazzi, i giovani pianisti che promuove nelle rassegne che fonda e dirige (oltre a quella di Lugano ne guida una in Giappone, a Beppu, e prima ancora ne organizzò una a Buenos Aires). Li accoglie spesso nella sua casa di Bruxelles, in Rue Bosquet, detta "Rue des Pianistes" per la presenza di Martha e dei suoi amici: “Vengono per farsi conoscere e aiutare. Arrivano, mi pregano di ascoltarli, io lo faccio. A volte mi sentono suonare e sono loro a darmi consigli. Non insegno, perché non potrei imporre niente a nessuno. Ho ancora troppe cose da imparare”» (Bentivoglio) • All’inizio degli anni Sessanta frequentò per un breve periodo le lezioni di Arturo Benedetti Michelangeli (1920-1995). «Volevo studiare con lui e lo seguii per un anno e mezzo, prima ad Arezzo poi a Moncalieri, ma le lezioni ricevute furono solo quattro. Forse poi aveva ragione lui, quando diceva che mi aveva tanto aiutato insegnandomi la musica del silenzio, ma io mi sono sempre considerata allieva di Gulda» • Suo intimo amico sin dall’infanzia è Daniel Barenboim, conosciuto «sotto un pianoforte! Io avevo 8 anni, lui 7. Le nostre madri ci avevano portato in una casa di Buenos Aires punto di incontro per i musicisti che passavano di lì. Nonostante l’età eravamo già pianisti, entrambi esordienti proprio in quell’anno, il 1949. Ma quel pomeriggio, approfittando della confusione, ci siamo nascosti sotto il piano e ci siamo messi a giocare. Eravamo bambini prodigio, ma anche bambini normali» • «È famosa per le sue fughe: un incubo per i programmatori di concerti. Ma non si sente in colpa: “Non ho mai obbligato nessuno a invitarmi. Non ho mai disdetto un impegno per la semplice ragione che non firmo contratti. Non mi sento costretta a suonare se non me la sento”. Cancellò per la prima volta a diciassette anni: “Leggevo Delitto e castigo e volevo sentirmi trasgressiva. Avrei dovuto suonare a Empoli, ma scrissi che rinunciavo per una ferita alla mano. Poi mi spaventai della bugia, e per non essere scoperta mi feci un taglio a un dito con un coltello, mettendomi fuori gioco per un po’”» (Bentivoglio) • Tre figlie, una da ogni ex marito: la prima dal compositore e direttore d’orchestra taiwanese Robert Chen, la seconda dal direttore d’orchestra svizzero Charles Dutoit, la terza dal pianista e direttore d’orchestra statunitense Stephen Kovacevich. «Il pianoforte è un amante esigente, ti vuole solo per sé. Ho provato a tradirlo, mi sono sposata tre volte, ho avuto tre figlie. Ma alla fine l’amore totale è lui. A cui sacrifichi gli affetti, anche i più cari. Non so se sono stata una buona madre. Potrei tentare di migliorarmi come nonna» • «Cosa rende unico il modo di suonare della Argerich? L’estrema facilità con cui la tecnica si manifesta, sempre legata a un fatto musicale e mai a un esercizio ginnico, la costante capacità comunicativa. […] Non stupisce solo per la perfezione tecnica o per il tocco generatore di un’infinita tavolozza timbrica. Martha è un condensato di magnetismo, genialità, civetteria. Il senso poetico in lei raggiunge vette mai toccate (o toccate da un certo Vladimir Horowitz), per non parlare della zingaresca istintività che le permette di non dare nulla per scontato. Ogni volta è una scoperta nuova e ogni esecuzione è una prima assoluta» (Leone) • «Amo suonare il pianoforte. Ma non mi piace essere una pianista. Davvero non voglio esserlo, anche se è la sola cosa che più o meno so fare». «Sognavo di diventare un medico. Non sopporto l’idea di essere la sacerdotessa di un’arte, né i troppi viaggi». «A chi esibisce sicurezze preferisco le persone che dubitano. Stesso discorso per l’interpretazione. Mi piace quando qualcosa sfugge al controllo. Uno squarcio imprevisto, visioni inaspettate e preziose». «Nonostante mi proponga di suonare di meno, alla fine suono sempre di più. Non so quanto tempo avrò ancora davanti, mi chiedo spesso cosa vorrei fare davvero prima di andarmene. Ma per scoprirlo dovrei fermarmi…».