5 settembre 2018
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Biografia di Pippo Baudo
Pippo Baudo (Giuseppe Raimondo Vittorio B.), nato a Militello in Val di Catania (Catania) il 7 giugno 1936 (82 anni). Conduttore televisivo. Paroliere. Compositore. «Onnipresente e soprattutto competente, ha attraversato tutte le “ere” televisive del Belpaese dal ’60 a oggi: canale unico, bianco e nero, secondo programma, colore, terza rete (Rai 3), tv private, digitale. […] È stato presentatore (“Signore e signori, buonasera. Ecco a voi…”), conduttore, attore al cinema (una ventina di musicarelli), comico e spalla al varietà (con Pandolfi e la Steni al Sistina per Scanzonatissimo), cantante, pianista, intrattenitore, autore di canzoni entrate in hit parade (Donna Rosa per Nino Ferrer, Una domenica così per Morandi, Johnny Bassotto per Lino Toffolo, La tartaruga per Bruno Lauzi), testimonial pubblicitario, e chi più ne ha più ne metta» (Francesco Troncarelli). «La televisione è la mia vita» • Figlio di un avvocato penalista e di una casalinga. «Sono nato in campagna e ho vissuto la mia adolescenza in campagna. I miei erano figli di famiglie povere numerosissime, e così hanno deciso che io dovevo essere figlio unico». Il primo amore fu il teatro: «Sono salito sul palcoscenico quando avevo 6 anni, facevo il figlio di santa Rita da Cascia. A 12 anni facevo il tapeur, suonavo il pianoforte fra il primo e il secondo atto» (a Claudio Sabelli Fioretti). Nel luglio 1943, ai tempi dello sbarco degli Alleati in Sicilia, «fuggimmo da Catania a piedi, verso la casa di campagna. Zia Rosa aveva dimenticato la ricotta, e tornò indietro. La via era chiusa dai cavalli di frisia. Ma lei parlò ai tedeschi in siciliano stretto. La fecero passare; tornò con la ricotta. La canzone Donna Rosa l’ho composta in suo onore. La sera uscivamo sull’aia a vedere il cielo illuminato a giorno dai razzi, il duello tra la contraerea e i bombardieri» (ad Aldo Cazzullo). «La radio fu il mio corso di dizione; altrimenti non avrei fatto questo mestiere. Mi esercitavo da solo, da autodidatta: la “e” chiusa, la “e” aperta… Fondai una compagnia teatrale a Catania. Fummo i primi in Italia a mettere in scena Aspettando Godot». «Era il 1958: mio padre, avvocato Giovanni, dopo ripetute pressioni familiari, cedette e comprò un televisore. Mia madre, Enzia, confezionò un cappottino e lo pose sopra al televisore come se fosse un tabernacolo perché non prendesse freddo. La prima grande serata, alla presenza di tutti i parenti e tutti i condomini, fu il Festival di Sanremo. Vinse, sbaragliando il campo, Domenico Modugno con la strepitosa Nel blu dipinto di blu. Io sognavo ad occhi aperti e pensavo: “Un giorno dentro quella scatoletta, per quel Festival lì, ci sarò anche io”». «Mia madre mi immaginava medico, mio padre sperava che diventassi un avvocato. Però il mondo dello spettacolo mi ha sempre affascinato, e non ho mai dubitato su quale strada dovessi imboccare». «“Mio padre […] voleva che continuassi la sua opera. Così avevo stabilito con lui un accordo: io mi laureo con il massimo dei voti in Giurisprudenza, poi però mi consenti di tentare la strada dello spettacolo”. […] Tutto è iniziato con un biglietto di terza classe per Roma. Pippo Baudo aveva 22 anni. […] Quel giorno, in stazione, i suoi genitori piangevano, “ma io ero convinto che sarei tornato presto: a Roma non conoscevo nessuno. Sono andato davanti ai cancelli della Rai da mendicante”. Il primo provino, una settimana dopo. Alla domanda “‘Per quale categoria?’, ho risposto: ‘Tutte. Presentatore, cantante, pianista e imitatore’”» (Chiara Maffioletti). «Mi provinò Antonello Falqui, che mi fece simulare di essere a Sanremo e di presentare Mina. Una premonizione. Mi dichiararono abile e mi consegnarono un foglio che mi certificava “di buona presenza, ottima dizione, adatto a spettacoli minori”. Il primo impegno fu Primo piano, sul Programma nazionale, dove presentai Johnny Dorelli. Pensi che nei rulli di coda non avevano messo neppure il mio nome. Lo feci notare e rimediarono con una pecetta con il mio nome sovrapposto. Alla fine mi confermarono per altre sei puntate» (ad Andrea Di Quarto). Tra i primi programmi da lui condotti, «una rubrica: Guida degli emigranti. M’inviarono a visitare i nostri connazionali all’estero: Libia, Tunisia, Belgio, Svizzera. Mi calavo con loro nei pozzi dei minatori. Facevano una vita da bestie. La rubrica ebbe così tanto successo che il direttore del telegiornale, Emilio Rossi, mi offrì di diventare giornalista. Ci pensai un po’, poi rifiutai. Volevo fare il varietà. Ebbi il merito d’inventare Settevoci, e fu la svolta». «Era una mia idea, registrammo le prime sei puntate, ma a un dirigente non piacquero, e le bobine del programma finirono in un magazzino. A quel punto io mi raccomandai con il magazziniere che, se ci fosse stato un buco di programmazione, avrebbero potuto ricorrere alla puntata pilota. Capitò, in effetti, che una copia doppiata del telefilm Rin Tin Tin non arrivò per tempo, e al suo posto trasmisero il mio programma [era il 6 febbraio 1966 – ndr]. Ebbe un successo enorme. In pratica io devo la mia carriera a un cane…». Nel 1968 vide avverarsi il suo sogno di dieci anni prima: la conduzione del Festival di Sanremo. «Arrivai forse nel momento più brutto. Ero reduce dal grande successo di Settevoci. L’anno prima era morto Luigi Tenco, c’era un clima da tragedia. La Rai pensò di affidare agli organizzatori, Gianni Ravera ed Ezio Radaelli, una edizione del Festival completamente rinnovata, cominciando dal presentatore. E così mi trovai catapultato nel Salone delle Feste del Casinò di Sanremo. Un dirigente della Rai mi disse: “Stasera si gioca tutta la carriera!”, aiutandomi a essere tranquillo! Per la prima volta era una edizione internazionale. Furono chiamati i più grandi interpreti d’Oltralpe e d’Oltreoceano, che cantavano le stesse canzoni dei nostri big nazionali. Arrivarono Louis Armstrong, Eartha Kitt, Dionne Warwick, Roberto Carlos e tanti altri. Fui il protagonista di un episodio unico nel suo genere, quando Ravera mi lanciò sul palcoscenico per sfilare la tromba dalla bocca di Louis Armstrong, il quale, dopo aver cantato il motivetto Mi va di cantare, non sapendo di essere in concorso al Festival, voleva continuare a fare la sua jam session. Lo spinsi dietro le quinte con le buone maniere, con il sorriso e sventolando un fazzoletto bianco. Dopo quel Festival, per dodici anni, sono tornato a Sanremo, realizzando un record, modestamente, difficilmente superabile». «Quella volta che un poveretto voleva buttarsi giù dalla galleria del teatro: che cosa dovevo fare? L’ho fermato. E quella volta che gli operai protestavano davanti all’Ariston contro la chiusura di una fabbrica: che cosa dovevo fare? Tra una canzone e l’altra, li ho fatti salire in palcoscenico. Quella volta che Mario Appignani, detto Cavallo Pazzo, irruppe sul palco per dire che il Festival era truccato: che dovevo fare? L’ho affrontato». «Pippo passa dalla conduzione del primo Festival di Sanremo nel 1968 […] al grande varietà di Canzonissima, passando per il gioco a premi Spaccaquindici, fino alla consacrazione con Domenica in. […] Habitué della prima serata, Pippo Baudo prende il timone del consolidato varietà del sabato sera Fantastico, creato da Enzo Trapani nel 1979, cambiandone radicalmente la fisionomia e scegliendo la diretta, con risultati di ascolto altissimi. […] Fantastico segnerà però una pagina scura nella brillante carriera di Baudo, in particolare nell’edizione del 1987, segnata dalle polemiche per gli interventi di Beppe Grillo e lo sketch del trio Lopez, Solenghi e Marchesini su Khomeini, ma soprattutto dall’exploit del conduttore contro l’allora presidente della Rai Enrico Manca, che aveva accusato Baudo di fare programmi nazionalpopolari: “Il presidente Manca rilascia spesso interviste, anche troppe. Vorrà dire che d’ora in poi mi sforzerò di fare solo programmi regionali e impopolari”. Allo strappo con la Rai seguirà il passaggio a Mediaset con un contratto stellare da direttore artistico e il varietà Festival creato ad hoc per lui, ma, contrariamente alle aspettative, Baudo non troverà un clima di collaborazione nelle reti di Berlusconi, a eccezione degli amici di vecchia data Mike Bongiorno e Raimondo Vianello. […] Di lì a poco Baudo deciderà a sorpresa di rompere il contratto, pagando una penale altissima e rimanendo così temporaneamente disoccupato: “Nel 1988 restai perciò senza lavoro. Il mio amico Ciriaco De Mita, che allora guidava sia governo sia Dc, mi rassicurò: vedrai, andrà tutto bene. Ma Biagio Agnes era irremovibile, voleva dare l’esempio a chi lasciava la Rai. Seguirono mesi di silenzio, terribili”» (Leda Balzarotti e Barbara Miccolupi). «Mi ritirai in eremitaggio nella mia casa di Morlupo. Passavo la giornata accanto a un telefono verde che non suonava mai. Il primo novembre Agnes andò al cimitero al paese natale, Serino. Fu affrontato da una vecchietta: “Avite a fa’ turna’ a Pippo Baudo”. “Se no?”. “Se no, morite”. Agnes chiamò il mattino del 2 novembre: “Adesso mi dici chi conosci a Serino!”. Fatto sta che mi riprese. All’1% di quel che mi avrebbe pagato Berlusconi; ma mi riprese». «Una volta tornato a “casa”, Baudo può dar sfogo alle sue capacità nella veste di direttore artistico di Rai Uno, godendosi la riuscita della trasmissione Luna Park e tornando al timone di Domenica in e Fantastico, anche se a caratterizzare gli anni di questa rentrée sarà la conduzione di ben cinque Festival di Sanremo consecutivi. […] Dopo una seconda parentesi in sordina alle reti Mediaset, Baudo tornerà nuovamente in Rai nel ’99, chiamato da Rai Tre a condurre il quiz Giorno dopo giorno, che ripercorre i grandi eventi del ’900: è l’occasione per un nuovo ruggito, e il programma decolla in prima serata e passa alla prima rete Rai con il nuovo titolo Novecento. Per Baudo è una prova di umiltà e la conferma della propria bravura, ripagata anche dal ritorno alla guida del Festival di Sanremo per altre tre edizioni. In Rai condurrà poi il programma Il viaggio, ma si troverà ancora coinvolto in polemiche con i vertici dell’azienda, tra cui l’allora direttore Fabrizio Del Noce e Bruno Vespa, suo partner alla conduzione di Centocinquanta, il programma dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia. A ripagarlo ci sarà sempre l’affetto del pubblico» (Balzarotti e Miccolupi). Ultima conduzione, l’edizione 2016/2017 di Domenica in • «Ho sempre amato scovare nuovi talenti, semplicemente perché cercavo il nuovo. Ricordo con affetto di aver lanciato il talento versatile di Loretta Goggi, quella testa un po’ matta di Heather Parisi e poi la bellissima Lorella Cuccarini. Va detto, però, che ho scoperto anche tanti uomini. Ad esempio, Beppe Grillo. Che cosa ho combinato, eh?». «Fiorello ce l’ho sulla coscienza. Gli feci un provino e lo trovai debordante. Veniva dai villaggi turistici, era abituato a sproloquiare. Dissi al regista Gino Landi che era meglio aspettare che maturasse. Ho sbagliato. Andò a fare Karaoke su Italia 1 ed esplose. È un vero showman. Di lui mi spiace proprio non potere dire: “L’ho inventato io”» • «Fui democristiano, ma sempre di pensiero. Mio padre conobbe Sturzo, fu collega di Scelba, e la mia democristianità è stata sempre espressa liberamente. Al centro, con lo sguardo rivolto a sinistra. […] Mai voluto candidarmi. Quattro volte me lo hanno chiesto. E a Prodi, che mi aveva proposto di provare a immaginare un mio ruolo da presidente della Regione Siciliana, dissi: mi volete morto?» (ad Antonello Caporale) • Due matrimoni alle spalle: il primo con Angela Lippi, da cui nel 1970 ebbe la figlia Tiziana, il secondo con il soprano Katia Ricciarelli. Nel 1996 ha riconosciuto come proprio figlio Alessandro Formosa, nato nel 1962 dalla sua relazione con una donna sposata • «Dire che è un personaggio “popolare” è dire poco. Oltre a “baudismo”, sui giornali si trova anche “pippobaudo”, scritto tutto attaccato e minuscolo. Dunque, si è fatto sostantivo, aggettivo, ufficio, funzione, finzione» (Filippo Ceccarelli) • «Io mi ritengo un soprammobile. Faccio parte dell’arredo familiare italiano».