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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Donald Trump

Donald Trump (Donald John T.), nato a New York il 14 giugno 1946 (72 anni). Politico. 45° presidente degli Stati Uniti d’America (dal 20 gennaio 2017). Imprenditore. Proprietario della Trump Organization (da lui guidata fino al 2017). Secondo l’ultima classifica di Forbes (aggiornata al 6 marzo 2018), detentore di un patrimonio netto di 3,1 miliardi di dollari, che ne fa la 260a persona più ricca degli Stati Uniti e la 766a più ricca del mondo; ancora secondo Forbes, terza persona più potente del mondo nel 2018, dopo il presidente cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin. «Mi piace pensare in grande» • «Barbiere era il nonno tedesco di Donald, quel Friedrich Trump (nato Drumpf) che coi soldi guadagnati a New York spuntando capelli riuscì ad aprire piano piano una serie di alberghi e ristoranti sulle spiagge del Pacifico e nello Yukon, al tempo della corsa all’oro del Klondike. Cameriera era invece la madre dell’attuale presidente, Mary MacLeod (1912-2000), emigrata dalla Scozia. […] Sposò Fred (1905-1999), uno dei figli di Friedrich, diventato milionario grazie alla speculazione immobiliare. […] Donald nasce nel Queens. […] Qui, nella bambagia, cresce un po’ troppo viziato. E per questa ragione, ritirato dalla scuola a 13 anni a causa del cattivo comportamento, viene spedito dal padre all’accademia militare» (Massimiliano Jattoni Dall’Asén). «All’età di tredici anni i genitori lo iscrivono alla New York Military Academy, e il giovane Trump continua a studiare in ambienti militari fino al 1964, anno del diploma, prima di entrare alla Fordham University e successivamente alla Wharton School of Finance in Pennsylvania, dove si laurea in Economia nel 1968. La formazione militare non gli impedisce di evitare la guerra del Vietnam, per la quale in quegli anni tutti i giovani della sua età erano chiamati alle armi: Trump sfrutta per quattro volte il rinvio per motivi di studio, e, quando non può più farvi ricorso, accusa un difetto fisico ai talloni per venire definitivamente riformato. A questo punto Trump, terminati gli studi, inizia a lavorare per l’azienda di famiglia, allora battezzata Elizabeth Trump & Son, dal nome della nonna di Donald, che già nei primi anni del secolo aveva dimostrato un talento imprenditoriale in ambito immobiliare, e con il figlio Fred (padre di Trump) aveva fondato la compagnia nel 1923. Nel 1973, quando il rampollo ormai in ascesa condivide col padre la gestione della società, una causa civile mette nei guai la compagnia di famiglia: secondo un’associazione di difesa dei diritti civili, infatti, la prassi degli agenti immobiliari dei Trump era di non affittare case a inquilini neri, favorendo invece le domande dei bianchi e violando così la legge sul “fair housing”. La causa si conclude con un impegno da parte della compagnia a formare i suoi dipendenti secondo le leggi statunitensi che impongono la non discriminazione in campo immobiliare. Nel 1974 è Donald, allora ventottenne, ad assumere il controllo della società (che nel 1980 verrà ribattezzata una volta per tutte Trump Organization), e, con il padre occupato con i quartieri più popolari di Queens e Brooklyn, si dedica a espandere le sue proprietà immobiliari a Manhattan, cuore finanziario di New York. Il suo primo grande successo è la ristrutturazione di un vecchio hotel, il Commodore, che nel 1980 viene ribattezzato Grand Hyatt e si dimostra un grande successo. […] Il suo successo, anche a livello di culto della personalità, è sancito nel 1982 con l’apertura di un monumentale edificio sulla Fifth Avenue, la Trump Tower, cinquantotto piani di lusso (l’ultimo dei quali riservato all’ufficio dello stesso Trump) che sono il segnale visibile della notorietà raggiunta dall’imprenditore. L’altra sua mossa fortunata, risalente agli stessi anni, è quella che riguarda l’apertura di diversi casinò a suo nome, in particolare nella città di Atlantic City, New Jersey, sorta di Las Vegas della Costa orientale. Trump diventa il simbolo dell’America degli yuppies. […] Il libro del 1987 The Art of the Deal, in cui offre i suoi consigli per il successo, diventa un bestseller e ne conferma lo status di massima personalità tra i nuovi ricchi statunitensi. Se gli anni Ottanta sono il decennio dell’ascesa e della celebrità, i Novanta presentano anche i primi problemi, nella forma di un calo nei ricavati del suo impero immobiliare e in una serie piuttosto lunga di bancarotte (sei, per la precisione), che portano Trump a chiedere prestiti notevoli per evitare il collasso della compagnia, che nel frattempo ha acquistato resort turistici, campi da golf, una compagnia aerea e un’università privata. […] Gli anni Duemila vedono Trump toccare un nuovo picco di popolarità quando, a partire dal 2004, il magnate diventa protagonista del reality show della Nbc The Apprentice, programma che vede un gruppo di concorrenti impegnati in una serie di prove imprenditoriali per ottenere un posto di lavoro presso la Trump Organization. La frase-tormentone di Trump, pronunciata quando uno dei concorrenti viene eliminato per aver dimostrato scarso talento, è “You’re fired!”, “Sei licenziato”. […] Negli anni Ottanta si dichiara sostenitore dei repubblicani di Ronald Reagan, […] per poi stringere rapporti d’amicizia personale con Bill Clinton e infine schierarsi apertamente contro Barack Obama, di cui mette in dubbio addirittura l’effettiva nascita nel territorio degli Stati Uniti. È però il 16 giugno 2015 che comincia la “terza vita” di Donald Trump, che, dopo i suoi precedenti exploit come magnate dell’edilizia e celebrità televisiva, decide di annunciare ufficialmente, dalla sua Trump Tower, l’intenzione di candidarsi per la carica più ambita del Paese, quella di presidente degli Stati Uniti, lanciando per la prima volta lo slogan che porterà avanti per tutta la sua campagna “Make America great again!”, “Rendiamo di nuovo grande l’America”. I commenti dei media variano tra l’incredulità e lo scherno palese, ma nei mesi successivi Trump elimina dalla scena uno dopo l’altro tutti gli sfidanti che avrebbero potuto rubargli la nomination come candidato del Partito repubblicano: il senatore del Texas Ted Cruz, il governatore dell’Ohio John Kasich, e l’ex governatore della Florida, nonché figlio e fratello di ex presidenti statunitensi, Jeb Bush. Lo stesso Grand Old Party […] sembra imbarazzato dall’ascesa senza precedenti di questo outsider, che nei suoi comizi trascina le folle parlando di divieto di immigrazione per i musulmani negli Stati Uniti, isolazionismo politico ed economico, sostegno al possesso di armi per i comuni cittadini, supporto al presidente russo Putin, contrasto all’avanzata cinese, maggiore potere alle forze dell’ordine, stop all’arrivo dei rifugiati e addirittura la proposta di costruire un muro che divida il Paese dal Messico per evitare l’immigrazione irregolare. […] A maggio 2016, dopo una serie di vittorie alle primarie del partito, Trump guadagna 1.238 delegati, quanto basta per garantirgli la nomination ufficiale. […] Negli stessi giorni […] gli avversari del Partito democratico offrono la nomination ufficiale a Hillary Clinton. […] Trump la ribattezza “crooked Hillary”, “Hillary la disonesta”, soprattutto a causa dello scandalo che ha coinvolto Clinton in un’investigazione dell’Fbi riguardo all’uso di account non protetti per lo scambio di e-mail riservate nel periodo in cui era stata segretario di Stato. Trump subisce un ultimo duro colpo alla sua campagna da parte del Washington Post, che a ottobre 2016 pubblica una registrazione audio risalente al 2005 in cui si sente il candidato alla presidenza pronunciare frasi, poi definite “chiacchiere da spogliatoio”, in cui si vanta del successo dei suoi approcci sessuali a causa della sua celebrità. […] L’8 novembre gli Stati Uniti vanno al voto, e […] nella notte comincia una marcia inarrestabile verso una vittoria schiacciante, inattesa, che non dà a Clinton nemmeno l’onore di una battaglia all’ultimo voto. L’ultimo conteggio lo dà vincitore, e quindi presidente eletto, con 290 delegati contro i 218 di Clinton» (Guglielmo Latini). Sin dall’inizio la sua presidenza è stata sempre al centro del dibattito, tra scandali sessuali, accuse di collusione con Putin e relative minacce di impeachment, una lunga serie di licenziamenti eccellenti (tra i più eclatanti, quelli del direttore dell’Fbi James Comey, nel maggio 2017, e del segretario di Stato Rex Tillerson, nel marzo 2018), guerre commerciali con la Cina e l’Europa all’insegna del protezionismo e prese di posizione controverse in ambito internazionale (su tutte, il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale d’Israele e la denuncia dell’accordo con l’Iran, ma anche il disimpegno rispetto all’accordo di Parigi contro il surriscaldamento globale). Tra i migliori risultati finora conseguiti, la vigorosa ripresa dell’economia statunitense, con livelli di occupazione altissimi, e la storica riconciliazione con la Corea del Nord, giunta apparentemente all’improvviso al termine di una lunga e tesissima prova di forza fra Trump e Kim Jong-un. «Che il presidente sia oppresso dalle sue difficoltà interne è chiaro. Eppure tutto ciò potrebbe essere mitigato, se non negato, da alcune grandi vittorie in trasferta. […] I leader europei – in particolare la cancelliera tedesca Angela Merkel – credevano di avere diritto gratuitamente all’ombrello di sicurezza americano. Poi Trump ha lasciato intendere che l’impegno americano nei confronti della Nato potrebbe, dopo tutto, non essere incondizionato. Il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, pensava di poter provare testate nucleari e missili a lungo raggio a suo piacimento. Trump lo ha minacciato di “fuoco e furia”, mentre allo stesso tempo si appoggiava alla Cina per imporre sanzioni economiche a Pyongyang. Ed ecco, “Little Rocket Man” ha attraversato la zona smilitarizzata, facendo i primi passi verso la pace nella penisola coreana. […] L’Iran credeva di poter firmare il suo accordo nucleare con Obama e ottenere la revoca delle sanzioni, pur continuando la sua flagrante e sanguinosa ingerenza in Iraq, Libano, Siria e Yemen. Entra Trump e rianima le tradizionali alleanze americane con Israele e i sauditi. […] L’anno scorso il mondo sembrava andare alla maniera di Xi Jinping. Al brindisi di Davos era “l’uomo più potente del mondo” sulla copertina dell’Economist. Ma l’uomo più potente del mondo non era Xi. Era lui, “The Donald”. E il modo migliore per dimostrarlo era minacciare la Cina con una guerra commerciale» (Niall Ferguson) • «“Donald è stato bravissimo a trasformarsi in un marchio ambulante, e ha iniziato molto presto a farlo”, ha detto D’Antonio [il giornalista Michael D’Antonio, autore di una biografia di Trump – ndr]. […] Oltre agli hotel e ai casinò, il marchio Trump comprende anche bistecche, […] un gioco da tavolo, una rivista e una compagnia aerea che non esistono più, e la linea di camicie e cravatte “Donald J. Trump Signature Collection”. Trump ha messo il suo nome su un’acqua naturale, bevande energetiche israeliane, un’acqua di colonia, un vino della Virginia, vodka e mobili, “in pratica qualsiasi cosa possa essere venduta come un prodotto di alta qualità, ad alto costo e di alta classe”, scrive D’Antonio» (Ana Swanson) • Cinque figli da tre mogli: Donald Jr. (1977), Ivanka (1981) ed Eric (1984) dal matrimonio con la modella cecoslovacca Ivana Zelníčková (1977-1992), Tiffany (1993) da quello con l’attrice Marla Maples (1993-1999) e Barron (2006) dalla modella slovena Melanija Knavs, sposata nel 2005 e sua attuale consorte, nonostante continue voci di crisi tra i due. Particolarmente stretto il rapporto con la figlia Ivanka, che ha ufficialmente nominato suo consigliere (come pure il marito di Ivanka, l’imprenditore Jared Kushner). «In realtà lei […] è figlia, è moglie, è madre, è punto di riferimento, in famiglia, fuori dalla famiglia, ovunque. Ivanka […] è per Trump la donna perfetta, il modello perfetto. […] Trump ha detto: “Se non fosse mia figlia, vorrei uscire con lei”» (Paola Peduzzi) • Grande passione per la Diet Coke, che consuma regolarmente, e per Twitter («Qualcuno ha detto che sono l’Ernest Hemingway dei 140 caratteri») • «Gioco con le fantasie delle persone. La chiamo “iperbole reale”. Una forma innocente di esagerazione e un modo molto efficace di farsi promozione». «È sempre una buona cosa essere sottovalutato». «Io sono il marchio più sexy del mondo».