5 settembre 2018
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Biografia di Ayman Al Zawahiri
Ayman Al Zawahiri, nato a Maadi (Il Cairo) il 19 giugno 1951 (67 anni). Terrorista. Cofondatore di Al Qaeda e suo attuale leader (dal 16 giugno 2011). Medico. «Se Osama è il volto pubblico che ha firmato l’attacco all’America, Zawahiri è la persona che ha costruito la forza militare di Al Qaida. Osama aveva i soldi e molti seguaci, ma non era organizzato. È stato questo il compito di Zawahiri, il quale ha anche smussato certe ingenuità del pensiero e dell’azione politica di Bin Laden» (Christian Rocca) • «Erede di due delle più importanti famiglie egiziane. Dalla parte del padre si contano dottori, ingegneri, professori universitari, farmacisti, un ambasciatore, un giudice, un parlamentare. Ma il nome Zawahiri è associato alla religione. Uno zio di suo padre è stato il Grande Imam di Al Azhar, la millenaria università del Cairo che è il principale centro di studi islamici del Medio Oriente. L’Imam di Al Azhar gode di uno status simile a quello di un Papa della cristianità. La madre di Zawahiri, invece, si chiama Umayma Azzam, e appartiene a una famiglia ancora più ricca e nota. Il nonno materno, infatti, era presidente dell’Università del Cairo e fondatore della King Saud University di Riad. È stato anche ambasciatore egiziano in Pakistan, Yemen e Arabia Saudita. Nella famiglia c’è anche un Segretario generale della Lega Araba, e in generale ogni Parlamento egiziano ha avuto qualche Azzam, sia al governo sia all’opposizione» (Rocca). La madre «era una che negli anni ’60 passeggiava per il Cairo senza velo» (Francesco Battistini) • «Al Zawahiri comincia la sua militanza giovanissimo, tra il 1966 e il 1967, anni segnati rispettivamente dall’esecuzione di Sayyid Qutb, il leader egiziano dei Fratelli musulmani, e dalla sconfitta araba nella Guerra dei sei giorni. Tra i contemporanei, Qutb resterà sempre il punto di riferimento principale di Al Zawahiri. La sua impiccagione segna l’inizio di una deriva violenta del movimento islamista. I tormenti cui Qutb fu sottoposto nei lunghi anni di prigionia (gli stessi in cui compose le sue opere fondamentali) hanno impressionato profondamente le cerchie islamiste del tempo, e hanno lasciato un segno indelebile sul giovane Al Zawahiri. Alla fine degli anni Settanta, dopo la firma del trattato israelo-egiziano voluto da Sadat, Al Zawahiri entra col suo piccolo seguito nel Jihad, un gruppo militante di ispirazione elitaria e avanguardista guidato da Abd Al Salam Faraj, teorico di grande importanza per la nuova generazione degli islamisti. Nel 1980 la piccola ma influente avanguardia di Faraj si unisce con il Gruppo islamico di Karam Zohdi, un movimento islamista che conta su un largo seguito popolare. Questa progressiva fusione dei gruppi militanti è alla base dell’assassinio di Sadat (1981), cui segue l’arresto e la detenzione di un vasto numero di dirigenti islamisti. Tra loro c’è anche Al Zawahiri, che si è laureato da poco in Medicina e lavora come chirurgo in un ospedale del Cairo. Egli non solo non è direttamente coinvolto nell’attentato, ma, venutone a conoscenza poco prima, si dichiara contrario alla sua opportunità, perché considera il movimento islamista ancora impreparato a prendere il potere. Resterà in carcere fino al 1984, rivivendo sulla propria pelle le umiliazioni della tortura già patite dal suo padre spirituale. Ma è proprio nel periodo della prigionia che egli si imporrà come il leader dell’islamismo radicale egiziano. Uscito dal carcere, Al Zawahiri si trova a dover riorganizzare da cima a fondo il Jihad islamico. L’Egitto è ormai terra bruciata. Quindi, nel 1985, dopo un breve soggiorno in Arabia Saudita, egli parte per Peshawar, dove era già stato in missione umanitaria prima della prigionia. Sul fronte afgano opera Abd Allah Azzam, il leader del jihad antisovietico; ma, piuttosto che ad allearsi con lui, Al Zawahiri sembra molto più interessato a guadagnarsi il sostegno di un giovane sceicco miliardario, Osama Bin Laden, il quale ha raggiunto l’Afghanistan nel 1980 ed è diventato una vera celebrità in Arabia Saudita. L’incontro è decisivo. Influenzato dalla personalità di Al Zawahiri, e dalla sua idea che il jihad vada esteso ai regimi empi di Egitto e Arabia Saudita (idea cui Azzam è del tutto contrario), Bin Laden rompe definitivamente con l’organizzazione di Azzam e si unisce al Jihad islamico guidato dal nuovo leader egiziano. Nel 1989 Azzam viene assassinato e Bin Laden dà vita ad Al Qaidat Al Malumat – l’embrione di Al Qaeda, un "database" di combattenti, prevalentemente arabi, da reclutare e integrare successivamente all’interno di un comando più organizzato. Con il ritiro sovietico dall’Afghanistan e l’invasione irachena del Kuwait comincia a emergere una temporanea divergenza tra i due leader jihadisti. Entrambi si trasferiscono in Sudan, a Khartum. Sono anni decisivi per la formazione della rete terroristica internazionale: per i reduci del fronte afgano, nuovi fronti del jihad si aprono in Egitto, Algeria, Bosnia e Cecenia, mentre la comunità islamica di Londra (il "Londonistan") diventa un’importante centrale di informazione per i militanti. Al Zawahiri si concentra sempre di più sulla rifondazione del Jihad islamico egiziano, convinto che il vero nemico sia quello "vicino" (al aduw al qarib), e in particolare il regime di Mubarak (il "Faraone"). Bin Laden, invece, è ormai sicuro che la priorità sia quella di combattere al aduw al baid, quel "nemico lontano" (gli Stati Uniti) che ha occupato a tempo indeterminato i luoghi santi dell’islam (l’installazione delle basi americane in Arabia Saudita è una ragione fondamentale di questo cambiamento strategico, e determina la rottura definitiva tra Bin Laden e il governo saudita). Per rianimare il Jihad islamico, Al Zawahiri compie una lunga serie di viaggi in giro per il mondo in cerca di finanziamenti (Europa, America Latina, Balcani e Caucaso) e progetta una lunga catena di attentati in territorio egiziano, compreso l’assassinio del presidente, ma tutte le operazioni si risolvono in un fallimento. L’unico successo è l’attacco suicida contro l’Ambasciata egiziana a Islamabad (1995), ma l’anno seguente il leader jihadista è costretto ad abbandonare il Sudan e far ritorno in Afghanistan, a Jalalabad, dove i talebani hanno assunto il controllo del territorio e Bin Laden ha cominciato a costruire i primi campi di addestramento di Al Qaeda. Tra il 1997 e il 1998 la strategia dei due leader torna a convergere: insieme a Bin Laden e altri gruppi islamisti, Al Zawahiri, come capo del Jihad islamico egiziano, dà vita al "Fronte islamico mondiale per il jihad contro gli ebrei e i crociati". Il 26 febbraio 1998, il Fronte emette la nota dichiarazione di guerra – la fatwa che segna l’inizio della guerra santa contro il "nemico lontano": dovere di ogni musulmano, ovunque si trovi, è quello di "uccidere gli americani e i loro alleati, civili o militari che siano" e "saccheggiare i loro beni", finché i luoghi santi dell’islam non verranno liberati. Il doppio attentato contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania (agosto 1998) inaugura questa nuova strategia del terrore, che dovrà culminare nell’attacco del "martedì benedetto, 23 Jumada Al Thani 1422" (11 settembre 2001)» (Pietro Montanari). «Quattordici giorni dopo l’attacco al World Trade Center e al Pentagono, l’Fbi emette un ordine di arresto e lo inserisce su esplicita richiesta di Bush nella lista dei maggiori ricercati internazionali. Ma Al Zawahiri, così come Bin Laden, è introvabile. Nel dicembre 2001 pubblica il libro Cavalieri sotto la bandiera del Profeta, la summa dell’ideologia qaedista-jihadista che diventa l’inseparabile vademecum di ogni terrorista islamico. […] Il 13 gennaio 2006 un […] attacco aereo su Damadola, un villaggio pakistano nei pressi della frontiera afghana dove è data per certa la sua presenza, si conclude con un massacro di donne e bambini. Il dottore passa alla controffensiva mediatica: […] interventi televisivi per lanciare appelli alla jihad, preannunciare nuovi attacchi o rivendicarli, come quello alla metropolitana di Londra. […] Incita i musulmani a combattere Israele, Stati Uniti, Occidente e ad aiutare in tutti i modi l’islam militante, esentando dalla jihad solo chi non ha abbastanza fondi da lasciare a mogli e figli» (Guglielmo Sasinini). «Il 2010 e il 2011 sono anni decisivi. La deflagrazione delle primavere arabe e la morte di Bin Laden [abbattuto in un’operazione statunitense il 2 maggio 2011 – ndr] consegnano ad Al Zawahiri un gruppo sull’orlo del collasso, senza santuari sicuri e con gravi problemi logistici. Facendo di necessità virtù, il “Dottore” accelera il processo di delocalizzazione del gruppo e cavalcando l’instabilità crescente in tutto il Grande Medio Oriente trasforma Al Qaeda in un network di sostegno ideologico e strategico in grado di aiutare qualunque gruppo terroristico che condivida con esso la causa. […] Il “Dottore” infatti, dal suo nascondiglio presumibilmente a ridosso della frontiera tra Pakistan e Afghanistan, si limita oramai a imporre le linee guida ideologiche e strategiche sul lungo termine che le filiali devono assumere, ma non entra assolutamente nel merito delle questioni tattiche più particolari e sul breve periodo. Queste rimangono una scelta dei vari emiri dei rami locali. Da leader di Al Qaeda ha dovuto inoltre affrontare la “fitna” creatasi all’interno della galassia jihadista che ha visto il suo gruppo scontrarsi con un competitor nato proprio dalle ceneri di una delle prime filiali create. Lo Stato islamico infatti nacque dal progetto, poi naufragato, di Al Qaeda in Iraq – o Al Qaeda nella Terra dei Due Fiumi. […] Se Al Zawahiri è stato in grado di riuscire a fronteggiare le sfide enormi poste al suo gruppo, […] è stato grazie alla sua incredibile duttilità e alla velocità con la quale è riuscito a trovare la chiave di lettura utile a comprendere i mutamenti in corso d’opera. Cavalcare le primavere arabe, per poi rigettarle, colloquiare con clan e tribù per favorire il processo d’infiltrazione dei suoi fedelissimi, scendere a compromessi con frange islamiste più moderate di Al Qaeda, anticipare le mosse dei competitor del gruppo – Stato islamico e le sue diramazioni – per togliergli margine di manovra creando filiali di tamponamento ad hoc. Al Zawahiri sembra che abbia anche trovato il modo di ovviare alla sua presunta mancanza d’ascendente coinvolgendo sempre di più il figlio di Osama Bin Laden, nonché marito di una delle sue figlie, Hamza Bin Laden. Il probabile erede al trono di Al Qaeda, […] con i suoi sermoni infuocati e diretti, completa alla perfezione l’arte oratoria di Al Zawahiri, più ideologica, pacata e riflessiva» (Valerio Mazzoni). «Al Qaeda raccoglie i frutti. Lo Stato islamico li stacca dagli alberi, prematuri. Per il califfo la pazienza di Al Zawahiri è indecisione, inconcludenza, codardia. Troppo frettoloso quel califfo, pensa invece Al Zawahiri. Ha in mente un’altra strategia. Coltivata negli anni e maturata dopo le primavere arabe, quando molti davano Al Qaeda per morta. Per l’attuale numero uno di Al Qaeda quelle primavere confermavano una sua convinzione: il jihad è solo uno strumento, l’obiettivo è il califfato. Affrettarne i tempi è dannoso. Senza il sostegno delle masse, senza la certezza della sua longevità, l’instaurazione di uno Stato islamico è controproducente. […] Il califfo, al contrario, brucia le tappe» (Giuliano Battiston) • «A sostegno delle sue argomentazioni, Al Zawahiri mobilita tutta la tradizione sunnita, citando autori e scuole diversissime tra loro; si richiama anche alla tradizione sciita e integra, dove serva, persino il lessico nazionalista, marxista e terzomondista» (Montanari) • Almeno quattro mogli e sette figli (sei dei quali avuti dalla prima moglie, rimasta uccisa insieme a due di essi in un bombardamento statunitense nel 2001) • «Ayman non è uno capace di compromessi. Vede tutto bianco o tutto nero. Questo è il suo problema. Io non so perché è diventato così radicale. Era uno timidissimo. Silenzioso. Pregava e studiava» (sua sorella Heba Mohamed Al Zawahiri).