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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Sebastian Vettel

Sebastian Vettel, nato a Heppenheim (Assia, Germania) il 3 luglio 1987 (31 anni). Pilota automobilistico. Della Ferrari (dal 20 novembre 2014). Quattro volte campione del mondo di Formula 1 (2010, 2011, 2012, 2013), con la scuderia Red Bull Racing. Oltre 200 Gran premi disputati, oltre 100 podi e oltre 50 piazzamenti in pole position conquistati. Secondo l’ultima classifica di Forbes (aggiornata al 5 giugno 2018), con 42,3 milioni di dollari di introiti, 18° atleta più pagato del mondo (2° tra i piloti automobilistici, dietro Lewis Hamilton, 12° con 51 milioni di dollari di introiti). «Ho sempre sognato quella tuta rossa. Fin da quando ero bambino» • Terzo dei quattro figli di un carpentiere e di una casalinga. «I suoi eroi di gioventù erano "i tre Michael": Michael Schumacher, Michael Jackson e Michael Jordan. Avrebbe voluto essere un cantante, ma ha ben presto scoperto di non avere una voce adatta. Tra i banchi, un somaro: per sua stessa ammissione, Sebastian era "terribile" a scuola. […] Guidava già un piccolo kart – a tre anni e mezzo – nel cortile di casa, ma, siccome lo spazio era ristretto, suo padre bagnava il cortile in certi punti, così lui poteva girare derapando. […] Iniziò a correre nel 1995 a Kerpen, nel kartodromo di Schumacher e con lo stesso maestro: Gerhard Noack» (Michele Merlino). «Papà Norbert […] aveva la passione dei motori e da dilettante partecipava a gare in salita. Quando il piccolo Seb cominciò a correre sui kart, però, Norbert dovette vendere l’auto con cui gareggiava. Ma, poiché i soldi non bastavano per coprire le spese, anche il nonno Werner sacrificò alla causa del nipotino il suo amatissimo allevamento di piccioni viaggiatori. In quegli anni tutta la famiglia Vettel si spostava ogni fine settimana a bordo di un camper sulle piste dove Sebastian correva» (Marco Degl’Innocenti). «A otto anni iniziò la sua avventura con i kart ottenendo vari successi, e passando nel 2003 al campionato tedesco di Formula Bmw, che l’anno successivo, a 17 anni appena compiuti, vinse, ottenendo 388 dei 400 punti massimi realizzabili. Nel giro di due anni divenne protagonista del campionato europeo di F3, rimanendo sempre nell’orbita della Bmw. La casa tedesca nel 2006 rilevò la scuderia Sauber tentando con grandi ambizioni il salto in F1, e Sebastian Vettel era nel novero dei giovani piloti che si alternavano come terza guida del team dietro ai titolari Jacques Villeneuve e Nick Heidfeld. Al Gp del Canada dell’anno successivo, Robert Kubica – altro giovane in ascesa che aveva scalzato Villeneuve – ebbe un grave incidente che lo costrinse a saltare la gara successiva ad Indianapolis. “Seb” ebbe così la grande occasione di debuttare da titolare: fra lo stupore generale fu settimo in prova e chiuse ottavo in gara nonostante un paio di escursioni sull’erba. Il tedesco segnò il primo dei suoi record: a 19 anni, 11 mesi e 14 giorni era il più giovane pilota della storia ad aver segnato punti in classifica del campionato mondiale. […] Quella gara fu la chiave della sua carriera. A fine luglio la scuderia Toro Rosso – satellite della anglo-austriaca Red Bull, fondata sulle ceneri della vecchia Jaguar dal “magnate delle bevande energetiche” Dietrich Mateschitz – licenziò l’americano Scott Speed ed offrì il volante al giovane Sebastian. La Bmw commise il capitale errore di lasciarlo partire, […] e Vettel entrò definitivamente nell’orbita Red Bull. Dopo alcune gare di ambientamento, Seb si inventò una strepitosa prestazione nel Gp del Giappone, nel corso del quale fu anche in testa, ma che si concluse con un errore di inesperienza che lo vide tamponare la McLaren di Lewis Hamilton quando era terzo. Nella gara successiva, in Cina, chiuse al quarto posto e si guadagnò la conferma per la stagione 2008. La piccola Toro Rosso, che altri non era che la storica Minardi rivitalizzata dai capitali Red Bull, affrontò la nuova stagione forse non consapevole di quale incredibile talento avesse a disposizione. Le prestazioni di Seb seguirono un crescendo impressionante: Vettel “macinò” il compagno di squadra Sébastien Bourdais. […] Il capolavoro fu al Gp d’Italia a Monza. Durante le prove, complice una pioggia battente, Vettel staccò una incredibile pole position che lasciò sbigottito tutto il circus. […] La domenica, in gara, […] Sebastian partì primo sotto la pioggia e, fra la sorpresa generale, contro ogni pronostico nonostante il progressivo asciugarsi dell’asfalto, mantenne facilmente la sua piccola “ex Minardi” davanti a McLaren, Bmw, Ferrari e Renault, dominando la corsa e diventando a 21 anni, 2 mesi e 11 giorni il più giovane pilota nella storia della F1 ad avere vinto un Gran premio. […] Ormai era evidente, Sebastian Vettel era un pilota fuori dal comune e il passaggio alla casa-madre Red Bull un passo obbligato. Il resto è storia conosciuta: nel 2009 Seb lottò fino alla fine con Jenson Button e la sorprendente Brawn Gp, ma il vantaggio dell’avversario accumulato nella prima parte della stagione grazie alle soluzioni tecniche innovative della scuderia nata dalle ceneri della Honda si rivelò incolmabile. Il 2010 fu invece l’anno della consacrazione: dopo una stagione difficile segnata da grandi trionfi e grandi errori e da una durissima lotta con il compagno di squadra Mark Webber e con Fernando Alonso, Vettel si laureò campione del mondo all’ultima corsa, il Gp di Abu Dhabi, grazie ad una incredibile vittoria e alla giornata nerissima in cui incappò la Ferrari dello spagnolo che aveva il titolo in pugno. A 23 anni e quattro mesi fu, naturalmente, il più giovane campione del mondo che la storia della F1 ricordi. E poi, come in un lampo, i titoli 2011, 2012 e 2013, che lo hanno definitivamente lanciato nell’Olimpo dei più grandi di ogni tempo» (Massimo Piciotti). «Dopo i quattro mondiali più o meno facili, il 2014 segna una battuta d’arresto significativa per Vettel: l’avvento delle nuove regole tecniche colpisce la Red Bull, il cui motorista è costretto a recuperare lo svantaggio, e Vettel, con una vettura di secondo piano, viene eclissato dal neocompagno di team Ricciardo. La stagione di Vettel è un mezzo disastro: non conquista nessuna pole e vittoria, […] ma quello che è peggio è che Ricciardo vince tre gare partendo dietro a Sebastian. Ben presto Ricciardo è al centro dell’attenzione, e Vettel coglie l’occasione per defilarsi da un team a cui non sembra più indispensabile: appena è chiaro che Alonso lascerà la Ferrari, il tedesco firma per il team di Maranello. Vettel si inserisce in grande stile alla Ferrari, diventando subito uomo-squadra. Il 2015 è un successo, compatibilmente con la supremazia Mercedes: vince grazie ai pasticci della casa tedesca in Malesia, quindi in Ungheria e […] a Singapore. Nel corso di tutta la stagione è quasi sempre il primo dietro alle Mercedes, salvo imprevisti. Dopo la luna di miele del 2015, il brusco risveglio del 2016: la Ferrari torna praticamente quella del 2014 e non è mai in grado di giocarsi la vittoria, nemmeno nei casi in cui l’onnipotente Mercedes commette errori. […] Il 2017 lo vede di nuovo protagonista per il titolo: vince tre delle prime sei gare ed arriva in Canada da leader del campionato. Dopo, praticamente, va tutto storto: Verstappen gli trancia un’ala al via ed Hamilton vince facilmente; a Baku sbarella e prende a ruotate Lewis; in Austria insegue invano tutta la gara Bottas; a Silverstone è dietro ad Hamilton per tutta la gara, ma nel finale fora e finisce settimo. Rialza la testa in Ungheria (doppietta Ferrari), riprendendo fiato nel mondiale piloti; contiene in Belgio ed a Monza, dove perde però la testa del campionato. Commette un altro errore, fatale, a Singapore. Parte in seconda sul bagnato e, insidiato da Verstappen, lo chiude: dall’interno sta sopraggiungendo Raikkonen, ed è carambola a tre: 25-0 per Hamilton, che era apparso in grave difficoltà (partiva quinto). Il titolo (28 punti di svantaggio), sembra già andato, ma la pietra tombale la mettono Sepang (guasto in Q1) e Suzuka (guasto in gara). A questo punto il mondiale per Hamilton (59 punti di vantaggio e 4 gare da disputare) è una formalità» (Merlino). È ancora aperto a ogni possibilità il campionato mondiale del 2018, il cui esordio sembrò particolarmente promettente. «Un inizio di campionato alla Michael Schumacher: due gare, due circuiti completamente diversi, due vittorie. […] Sebastian ha trionfato in Australia e in Bahrein. La statistica è più che favorevole: da 35 anni, chiunque abbia vinto le prime due gare è poi diventato campione del mondo. L’ultimo a riuscirci è stato Nico Rosberg nel 2016, prima di lui lo stesso Vettel ai tempi della Red Bull e Button (2009). Schumacher addirittura quattro volte (tre con la Ferrari e una con la Benetton)» (Stefano Mancini) • «Per qualche ragione, […] Sebastian è una stella ma non una superstar, è un vincente ma non una leggenda, è un ottimo pilota ma non un campione. […] Parte della diffidenza che regna attorno al ragazzo proveniente dal Land dell’Assia sta nel fatto che la Formula 1 è uno sport tanto di uomini quanto di macchine. E, […] quando Vettel ha vinto, lo ha sempre fatto solo con macchine straordinarie, mancando invece di farlo quando le vetture erano un po’ meno che eccellenti» (Emanuele Venturoli) • Molto scaramantico. Ogni anno assegna un nome all’automobile con cui corre: «L’usanza è cominciata nel 2008 con la Toro Rosso: Julie è il nome attribuito da Vettel alla STR3. Nel 2009 il passaggio alla Red Bull: il debutto è con Kate, che dopo un incidente diventa Kate’s Dirty Sister. Seguiranno Luscious Liz e Randy Mandy (2010), Kinkie Kylie, Abbey, Hungry Heidi e Suzie. Con il trasferimento in Ferrari, ecco una serie di nomi italiani/internazionali: Eva, Margherita, Gina e, infine, Loria» (Mancini). A un certo punto prese anche il vizio di cambiare casco a ogni gara, per poi tenerselo: «Credo di aver usato circa 110 caschi diversi. […] Talmente tanti che non saprei: dovrei guardare a casa. […] Occupano tanto spazio: la maggior parte sono appesi» (a Carlo Vanzini). Altre manie: «Se mi attraversa la strada un gatto nero, mi blocco. E in pista entro ed esco dall’abitacolo sempre dal lato sinistro. […] Prima di ogni Gp infilo nella scarpa una medaglietta di San Cristoforo, patrono degli automobilisti. […] Nel taschino della tuta metto sempre un maialino, una moneta da un centesimo, una da un penny e una da un dollaro trovata facendo running prima della gara di Indianapolis» • Estremamente riservato. «Non sono un fan dei social network. […] Non sono fatti per me: non sento il bisogno di dire a tutti quello che sto facendo» • Legato da sempre alla sua ex compagna di liceo Hanna Prater, con cui ha avuto due figlie: Emilie (2014) e Matilda (2015). «L’amore di Hanna e la mia fede religiosa non mi fanno sbandare» • Ottimi rapporti con Kimi Räikkönen («È probabilmente il migliore compagno di squadra che abbia mai avuto: è una persona diretta»); molto freddi e spesso tesi, invece, quelli con Lewis Hamilton («Siamo diversi: io magari non vivrei alla sua maniera. Ma non lo critico: ognuno è libero di comportarsi come desidera. Per come guida merita solo rispetto») • «Michael Schumacher è l’eroe che mi ha trasmesso la passione per la Formula 1. […] Avevo 7 anni, correvo una gara di kart a Kerpen nel suo circuito. Schumi parlava ai bambini, dava consigli, sventolava la bandiera a scacchi a fine corsa. Sul palco premiò il vincitore. Fu la prima volta che gli strinsi la mano. Può immaginare la gioia, avevo toccato il mio idolo. Mi disse: “Bravo, ti sei divertito?”. Riuscii a rispondere di sì con voce tremante. Poi ci furono via via sempre più contatti: io crescevo mentre lui era già un uomo adulto. L’eroe, col tempo, lasciava il posto all’amico» (a Stefano Mancini). Altra grande passione sin dall’infanzia, la Ferrari: «Era un sogno. Poi vedevo Schumi con la tuta rossa, e quando giocavo con le macchinine vincevano sempre quelle rosse. Arrivare a correre con questa macchina ha chiuso il cerchio» • «Il mio obiettivo principale era e rimane vincere con la Ferrari. Non è un progetto di un anno, ma a lungo termine: il meglio deve ancora venire» (a Daniele Sparisci).