5 settembre 2018
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Biografia di Luigi Di Maio
Luigi Di Maio, nato ad Avellino il 6 luglio 1986 (32 anni). Politico. Vicepresidente del Consiglio, ministro dello Sviluppo economico e ministro del Lavoro e delle Politiche sociali (dal 1° giugno 2018). Già vicepresidente della Camera (2013-2018). Deputato del Movimento 5 stelle (dal 15 marzo 2013). «Di Maio è solo un democristiano, ormai parla come Cetto La Qualunque» (Matteo Salvini, 2 febbraio 2018) • «Sono nato e cresciuto a Pomigliano d’Arco. Mamma è professoressa di latino e greco, papà ha una piccola azienda di costruzioni. Sono il primo di tre figli. […] Da primogenito con un padre molto rigido – se tornavamo dopo l’orario che ci indicava non si usciva più – ho sentito più degli altri il peso delle aspettative: dovevo eccellere. Ma, visto che non ero un gran studioso, dovevo cercare un’alternativa. Solo che non avevo particolari doti carismatiche e, soprattutto, non sapevo giocare a pallone. La mia passione, da sempre, sono piuttosto i motori e la Formula 1 – d’altra parte, Pomigliano, con la Fiat, era la città dove le auto si collaudavano in strada. Al liceo classico però le cose sono cambiate: un’altra mia passione sono i computer, e, quando sono capitato nella sezione sperimentale con indirizzo informatico, dove c’erano professori di matematica anche di una certa età che si erano dovuti convertire, è venuto naturale “aiutarli”: chiamavano per avere consigli, e il weekend ero spesso a casa loro a riparare il computer. È nata quindi una relazione speciale, mi consideravano un loro pari. Quando si è trattato di eleggere il rappresentate di istituto, gli altri studenti mi hanno scelto. Serviva uno che mediasse. Erano anni in cui c’erano le occupazioni. Io convinsi tutti che, se ci si batteva per una scuola migliore, dovevamo protestare fuori dall’orario scolastico. Da quando sono stato eletto non ci sono state più occupazioni nel mio istituto e io sono rimasto il più votato dai ragazzi, tanto che con la nostra associazione “Studenti di Pomigliano” abbiamo ottenuto che fosse costruita una scuola nuova. Questo spiega anche i miei ottimi voti: i professori hanno sempre riconosciuto questo mio impegno» (a Sara Faillaci). «La scintilla per la politica per Di Maio non l’ha fatta scoccare Grillo o Gianroberto Casaleggio, ma Antonio Cassese, suo professore di Storia e filosofia ai tempi del liceo. “Mi disse che fare politica non significava essere rosso, bianco o nero, ma occuparsi delle cose concrete come il riscaldamento della nostra scuola”. Primi anni Duemila: Di Maio diventa rappresentante degli studenti del liceo Imbriani per tre anni consecutivi, e poi si ripete anche all’Università Federico II, dove è presidente del consiglio degli studenti. Abbandona la passione per il nuoto. Si immerge in letture che diventano i suoi punti di riferimento. La Storia d’Italia di Indro Montanelli (scritta con Roberto Gervaso e Mario Cervi), Il libretto rosso di Pertini: un doppio pilastro a cui Di Maio aggiunge, in seguito, La cura di Michele Ainis» (Emanuele Buzzi). Dopo il liceo, s’iscrisse dapprima a Ingegneria, quindi a Giurisprudenza, senza però concludere gli studi. Nel frattempo ebbe qualche esperienza lavorativa come gestore di siti internet, assistente allo stadio San Paolo di Napoli, giornalista pubblicista, assistente regista, manovale e cameriere, coltivando il sogno di diventare poliziotto. «Quando Di Maio si iscrive alla facoltà di Ingegneria capisce subito che non fa per lui, però fa in tempo a creare l’“associazione di studenti di Ingegneria Assi”, prima di passare a Giurisprudenza, dove formerà l’associazione “studentigiurisprudenza.it”. […] Finisce fuoricorso, poi molla. […] Il padre, Antonio Di Maio, alle spalle una lunga militanza nel Movimento sociale di Almirante, avrebbe preferito che il figlio finisse l’università: “Gli dicevo: se tu dedicassi allo studio un quinto del tempo che dedichi alla politica… Invece niente: sempre stato matto per la politica”» (Andrea Minuz). «La politica l’ho sempre fatta con l’associazionismo, non ci siamo mai fatti inglobare dai partiti: alle loro riunioni c’era troppa ideologia e troppo poco parlare dei temi. Mio padre però a casa mi faceva la guerra, pensava che sottraessi tempo allo studio. E soprattutto, da candidato del gruppo locale di Alleanza nazionale, aveva idee opposte alle mie. Per di più, non accettava di vedermi sacrificare la vita a una causa che per lui, probabilmente, era stata una delusione. Il culmine del conflitto l’abbiamo raggiunto quando sono entrato nel Movimento 5 stelle. Il mio amico Dario De Falco mi ha convinto a sostenere la loro iniziativa legislativa “Parlamento pulito”, e il nostro gazebo in piazza ha raccolto 380 firme in un pomeriggio. Tra i parlamentari inquisiti elencati sul volantino c’erano molti del suo partito. La sera, a tavola, c’era il gelo. […] È stata proprio la grande libertà che ho respirato nel Movimento fin dal primo V-Day a convincermi, perché invece, lo ammetto, i toni accesi e i “vaffanculo” all’inizio mi avevano spaventato. E poi la genialità dell’intuizione di Gianroberto: unire la politica alla Rete collegando le persone sui temi in un grande network. Grazie a questa idea ho conosciuto le migliori intelligenze, anche nel mio territorio. Casaleggio è quello con cui mi sono sentito più affine, era la testa del Movimento, mentre Grillo è sempre stato il cuore». Il debutto elettorale dopo tre anni di militanza nel Movimento 5 stelle, alle Comunali di Pomigliano d’Arco del 2010, fu una delusione: appena 59 preferenze, insufficienti a farlo eleggere (non lo votò neppure il padre). «Ne bastano 189 alle parlamentarie online del dicembre 2012 per essere messo al secondo posto nella lista M5s in Campania 1: dietro Fico, che raccolse 228 voti. "Per la gioia non dormii per due notti". Quando arrivò a Montecitorio, "il cellulare squillò per 48 ore di fila". Il racconto ora si fa onirico: "Non risposi. Ero stonato, stanco, confuso. Non ricordo nulla di quei due giorni". Un mese dopo, 21 marzo 2013, è, a 26 anni, il più giovane vicepresidente della Camera di sempre, anche grazie ai voti del Pd. Perché scelsero lui? Nella Sala della Regina, dove si selezionavano i candidati M5s per la carica, "dissi semplicemente: ‘Non chiamerò mai più i deputati onorevoli’. E fui scelto subito"» (Concetto Vecchio). «Da lì è un crescendo. Partecipa ai tavoli con Matteo Renzi (che lo bolla come “tosto” nell’incontro-scontro con Grillo), diventa uno dei membri del direttorio. La base lo sostiene. Pochi mesi dopo lo sbarco in Parlamento, al Giffoni Experience, dichiara: “Mi sento un po’ come Superman che sta capendo che poteri ha”» (Buzzi). «Nelle mie sei legislature ho visto solo uno presiedere l’aula con più padronanza di Di Maio: Pier Ferdinando Casini, che però due o tre volte ha perso la calma. Luigi, mai» (Gianfranco Rotondi). «Fin dall’inizio, gli osservatori hanno elevato Di Maio sopra la massa grillina per pura disperazione. Gli si riconosceva la superiorità dell’orbo in terra dei ciechi. Ricordate gli M5s della prima ora? Ragazzotti scostumati e ragazzette erinniche che a Montecitorio assaltavano il banco della presidenza, salivano sul tetto del Palazzo gridando ai passanti, insultavano in aula e fuori. Di fronte ai camisardi, il ventiseienne di Pomigliano d’Arco parve Lord Brummel. Era educato, ben vestito, senza tatuaggi. Poiché si fermava a parlare con chi gli rivolgeva la parola – giornalisti o avversari politici –, fu giudicato dialogante. Andava in tv nonostante i divieti di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, che per lui chiudevano un occhio, e fu considerato telegenico. Così, prese piede l’opinione che fosse il cavallo di razza del grillismo. Tanto che, un giorno, lo stesso Beppe Grillo, ammirato dall’aplomb del giovanottello – nel frattempo invecchiato di due anni –, gli disse in pubblico, tra serio e faceto: “Maledetto Di Maio, tu sei il leader”. Divenne per tutti il candidato premier dei grillini» (Giancarlo Perna). «Arriva l’ormai celebre endorsement di Grillo: “Io mi fido di Di Maio anche quando sta zitto”. […] Allora Di Maio non si ferma più. […] Di Maio sposta il grillismo a destra sull’immigrazione, al centro sull’euro, scavalca la sinistra sul reddito di cittadinanza, reclama la chiusura dei negozi nei giorni di festa perché “i bimbi devono crescere a contatto con i loro genitori” – dice proprio così, “i bimbi”. Si definisce “profondamente cattolico” su Avvenire, bacia l’urna di san Gennaro, va a Cernobbio per “tutelare chi crea valore” promettendo “guerra alla spesa pubblica”, va a Campobasso perché “i molisani sono ostaggio del neoliberismo”» (Minuz). Alle primarie tenute dal Movimento 5 stelle il 21 settembre 2017, che lo videro unico candidato di spicco contro sette tesserati del partito misconosciuti ai più («Biancaneve e i sette nani», commentarono molti), con 30.936 voti su 37.442 (82,62%) Di Maio divenne ufficialmente il «capo politico» e candidato premier del partito. All’indomani delle elezioni politiche, entusiasta delle percentuali di voto ottenute dal M5s (32,66% alla Camera e 32,22% al Senato, sufficienti a farne il primo partito italiano ma non la prima formazione tout court, dato che la coalizione di centrodestra aveva riscosso rispettivamente il 37,00% e il 37,49% dei consensi), diede inizio a una spregiudicata e cangiante serie di prese di posizione: dapprima la pretesa dell’incarico per la formazione di un governo monocolore del M5s a maggioranze variabili, quindi il primo tentativo di accordo con la Lega accompagnato però da un veto su Berlusconi corredato da insulti (il quale rispose vietando a propria volta a Salvini di allearsi con Di Maio, pena lo stigma di traditore), poi un abboccamento col Pd del reggente Martina (platealmente troncato dal segretario uscente Renzi), quindi la ripresa del dialogo con la Lega con tanto di rinuncia alla guida del governo e omaggio a Berlusconi («Silvio Berlusconi è meno responsabile di altri di questo stallo e del ritorno al voto. Il nostro non è un veto contro di lui: vogliamo fare un governo solo con la Lega, che preveda due forze politiche») per ottenerne il nihil obstat, e infine, dopo la messa in stato d’accusa nei confronti del capo dello Stato repentinamente invocata per il rifiuto opposto da Mattarella alla nomina di Paolo Savona quale ministro dell’Economia e altrettanto repentinamente ritirata, il giuramento da vicepresidente del Consiglio al fianco di Salvini e ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro e delle Politiche sociali nel governo Conte. Oscurato nel primo mese dell’esecutivo dalla reboante onnipresenza mediatica del leader leghista, da ultimo Di Maio sta cercando di trovare la propria dimensione con l’approvazione del cosiddetto «decreto dignità» (contro precariato, burocrazia, gioco d’azzardo e delocalizzazioni) • «Di Maio non esiste. […] Di Maio è solo la sommatoria allucinata dei nostri peggiori incubi politici e tic culturali, una proiezione dell’inconscio italiano, un algoritmo, un replicante, un androide populista. […] Non democristiano solo per ragioni di età, Di Maio è il prodotto di un mosaico impazzito, un montaggio di deliri italiani familiari e antichissimi, una creatura che riaffiora dagli abissi della nostra politica, Di Maio come Frankenstein, messo su con gli avanzi dell’Italia dei movimenti e della società civile, delle monetine al Raphaël e dei girotondi, del popolo viola e del popolo dei fax, dei forconi e del pool di Milano, dei territori, delle trivelle, del veganesimo, dei beni comuni, del cumulo più formidabile di teorie antiscientifiche, complottistiche, antieconomiche, delle Iene, degli incontri sulla legalità, dei tassisti anti-Uber, dei talk-show di La7, della decrescita felice e dell’ancora più entusiasta distruzione del Pil, no Vax, no Tav, no Global, no Bilderberg, no Bolkestein, no euro, oppure sì, facciamo un referendum su Facebook» (Minuz). «Un professionista della politica messo a capo del partito antipolitico. È la controprova spietata del mio teorema per cui è sempre meglio la casta: anche a capo del grillismo ci è finito un professionista, perché uno non vale uno, e pure tra i grillonzi cliccati al computer è svettato uno che ha frequentato l’università solo per organizzarne le elezioni studentesche» (Rotondi). «Un bel musino da televisione» (Silvio Berlusconi) • Notoria l’idiosincrasia per il congiuntivo. Tra le sue uscite più discusse, l’aberrante definizione «lobby dei malati di cancro», la collocazione di Pinochet in Venezuela anziché in Cile, la sdegnata menzione tra i beneficiari di vitalizio di un deputato in realtà morto da tempo • Celibe. Fidanzato per tre anni con Silvia Virgulti, esperta di comunicazione assunta dalla Casaleggio Associati di dieci anni più grande, attualmente ha una relazione con l’avvocato Giovanna Melodia (36 anni), consigliere comunale del M5s ad Alcamo. «Mi sono sempre sentito più grande della mia età, e ho avuto difficoltà con le mie coetanee» • «La politica è un’esperienza di passaggio: per essere davvero libero devi avere un’autonomia professionale. Coprirò al massimo due mandati, e poi, se mi andrà bene, a 37 anni ne sarò fuori e potrò dedicarmi alla società di webmarketing dove mi aspettano gli amici con cui l’ho fondata all’università. Creare network, per esempio nel mondo dell’agricoltura: ecco il futuro».