5 settembre 2018
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Biografia di Kevin Spacey
Kevin Spacey (K. Spacey Fowler), nato a South Orange (New Jersey, Stati Uniti) il 26 luglio 1959 (59 anni). Attore. Produttore. Regista. Sceneggiatore. Due premi Oscar (miglior attore non protagonista nel 1996 per I soliti sospetti, miglior attore nel 2000 per American Beauty), un Tony Award (miglior attore non protagonista nel 1991 per Lost in Yonkers), un Emmy Award (miglior attore protagonista in una serie drammatica nel 2017 per House of Cards) poi revocatogli sull’onda dello scandalo sessuale esploso nell’autunno 2017. «Meno si sa di me, meglio è. Io sono solo ciò che interpreto» • Ascendenze per lo più inglesi (svedesi i bisnonni paterni). «Spacey» era il cognome da nubile della nonna paterna, attribuitogli come secondo nome e poi adottato come nome d’arte eliminando il cognome paterno Fowler • Terzogenito di un tecnico della Lockheed Corporation e di una segretaria d’azienda, trascorse una giovinezza inquieta e turbolenta, venendo anche espulso da un collegio militare per aver ferito un superiore, per diplomarsi infine a Chatsworth, in California. Nel frattempo, aveva già capito di voler fare l’attore. «"Avevo dodici anni quando l’ho deciso, ma per chi comincia è fondamentale incontrare gli insegnanti giusti, un mentore che ti guidi e ti incoraggi". Ha avuto una grande fortuna: è stato Jack Lemmon a incoraggiarla. "Jack era una persona fantastica, un interprete geniale che passava dai ruoli comici a quelli drammatici. Gli sono eternamente grato e non voglio che venga dimenticato. Ero timido, insicuro, a 13 anni ha cambiato la mia vita. Si rende conto della generosità? Lui, grandissimo attore, era venuto a seguire un workshop di studenti. Dopo che ho recitato la mia scena è venuto da me, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: ‘Sei nato per fare l’attore’. Mi consigliò di andare a New York a studiare recitazione"» (Silvia Fumarola). Seguì il consiglio, e dal 1979 al 1981 frequentò la prestigiosa scuola Juilliard di New York, abbandonandola però anzitempo per vivere la vita dell’attore su ogni genere di palco, fino ad arrivare a Broadway, dove incontrò nuovamente Lemmon: «Jack recitava a Broadway Il lungo viaggio verso la notte. Avevo 25 anni, e non immagina cosa non ho fatto per poter avere un’audizione. È stata davvero un’impresa. Alla fine riuscii a recitare la scena con lui quel giorno. Poi ho avuto la possibilità di diventare suo amico: è stato come un padre per me». «Mi invitò a partecipare a un workshop da lui condotto a Los Angeles, e fu lui ad introdurmi al mondo del cinema di Hollywood» (a Silvia Bizio). «L’esordio sul grande schermo è quantomeno bizzarro: l’anno è il 1986, il film è Heartburn – Affari di cuore di Mike Nichols, e Spacey compare per circa due minuti nei panni di un giovane rapinatore che pedina Meryl Streep fuori dalla metropolitana per poi derubare lei e i suoi amici dei quartieri alti. Qualche anno, ed ecco arrivare ruoli più sostanziosi in film come Americani di James Foley, in cui Spacey ha l’onore di dividere la scena con giganti quali Al Pacino e Jack Lemmon (Lemmon resterà sempre il suo nume tutelare), Iron Will e la commedia nera C’eravamo tanto odiati, accanto a Judy Davis. Ma è nel 1995 che arriva la consacrazione. […] Ne I soliti sospetti, diretto da un giovane Bryan Singer, Spacey è Verbal Kint, un furfante zoppo che, dietro la sua aria smarrita e spaventata, cela l’identità di Keyser Söze, leggendario criminale dall’astuzia sopraffina. Ancora più angosciante, se possibile, è John Doe, nome emblematico (un "signor nessuno", come in Arriva John Doe di Frank Capra) per identificare il serial killer che sta terrorizzando un’imprecisata metropoli americana commettendo atroci delitti ispirati ai sette vizi capitali: in Seven, primo capolavoro di David Fincher, Spacey compare per una manciata di minuti nella parte finale del film, ma tanto basta per consegnare all’antologia del cinema un altro villain indimenticabile, con la sua sarcastica compostezza e il raggelante sadismo lasciato trapelare con un semplice sguardo. Premiato con l’Oscar come miglior attore non protagonista per I soliti sospetti, nella fase successiva della sua carriera Kevin Spacey non si lascia ingabbiare nei ruoli da "cattivo": […] ecco dunque una galleria di personaggi umani, fragili, contraddittori, avvolti in un’ambiguità che può diventare addirittura una prigione. È il caso, ad esempio, nel 1997, di Jack Vincennes, detective della squadra narcotici della polizia di Los Angeles negli anni Cinquanta, pronto a sfruttare tutti i vantaggi della sua professione (pure in maniera poco “pulita”) in L.A. Confidential, gioiello noir firmato da Curtis Hanson, dal romanzo di James Ellroy; e di Jim Williams, ricco e mellifluo antiquario di una città della Georgia, accusato di aver ucciso il suo amante, il giovane marchettaro Billy Hanson (Jude Law), in Mezzanotte nel giardino del bene e del male, ottimo dramma dai risvolti gialli di Clint Eastwood. L’interpretazione più famosa e più celebrata di Kevin Spacey, però, è quella di Lester Burnham […] in American Beauty, folgorante opera prima di Sam Mendes: un quarantenne afflitto da frustrazioni in ogni ambito della propria esistenza, da un lavoro per nulla gratificante a una vita familiare che lo vede succube della moglie Carolyn (Annette Bening) e incapace di comunicare con la figlia adolescente Jane (Thora Birch). […] American Beauty si rivela un fenomeno mediatico trasversale e un gigantesco successo di pubblico, e conquista cinque premi Oscar, tra cui miglior film, miglior regia e la statuetta come miglior attore per Spacey. Contro le previsioni, il periodo successivo ad American Beauty non è particolarmente fortunato per la carriera di Kevin Spacey, con un discreto numero di film non molto apprezzati da critica e pubblico e il mezzo flop della sua seconda prova da regista, il biopic su Bobby Darin Beyond the Sea. Nel dubbio, a Hollywood tornano a puntare sul sicuro, riaffidando all’attore quelle tipologie di ruoli che lo avevano reso famoso: i villain. […] Però […] ora eccolo alle prese con cattivi più “cartooneschi” e sopra le righe, come lo spietato Lex Luthor del Superman Returns di Bryan Singer, cocente delusione datata 2006 con una saga troncata sul nascere. Più interessante e sfumato il suo ritratto sottilmente mefistofelico del professor Mickey Rosa, che circuisce il dotato studente di matematica Ben Campbell (Jim Sturgess) in 21, mentre si passa al puro camp nel 2011 con il sadico capufficio David Harken, feroce “aguzzino” del malcapitato Nick Hendricks (Jason Bateman) nella commedia sbanca-botteghino Come ammazzare il capo… e vivere felici. Ma […] Kevin Spacey trova un copione in grado di esaltare davvero le sue potenzialità: […] Margin Call del 2011, superbo film d’esordio di J.C. Chandor, in cui la crisi di Wall Street del 2008 è raccontata attraverso ventiquattro, folli ore all’interno degli uffici di una grande banca d’investimento. Nella parte di Sam Rogers, il "volto umano" di un sistema bancario marcio fin nel midollo, […] Spacey offre una delle sue migliori prove di sempre, distinguendosi all’interno di un cast di primo livello. E dal 2013 […] il pubblico si è abituato ad associare Kevin Spacey a Frank Underwood, uno dei personaggi simbolo della tv odierna, […] novello Riccardo III e fittizio presidente degli Stati Uniti (con un autentico esercito di scheletri nell’armadio) in House of Cards» (Stefano Lo Verme). «La storia è questa: durante la campagna elettorale, il rappresentante Frank Underwood supporta Garrett Walker, che diventa il 45° presidente degli Stati Uniti. Ma, quando Walker viene meno alla promessa fatta prima delle elezioni di affidare l’incarico di segretario di Stato a Underwood, quest’ultimo cerca una vendetta personale puntando ai vertici politici di Washington. […] Uno dei segreti del successo della serie è il magnetismo di Kevin. È lui stesso a rivelarlo: “Qui cade il quarto muro, quello della finzione cinematografica. Il mio personaggio nei momenti salienti, più intensi, guarda dritto nella camera, parla con il pubblico, chiarisce la sua tattica, commenta gli ultimi stratagemmi o deride i suoi nemici”» (Simone Porroveccio). «Francis è uno dei personaggi migliori che abbia mai interpretato. Imparo sempre cose nuove su di lui. Poco prima avevo recitato come Riccardo III a teatro, e mi è servito moltissimo. Dev’essere per questo che si ha la sensazione di un’interpretazione globale, non semplicemente americana. Lo sfondamento della quarta parete, ossia lo sguardo in camera, […] è stato creato da Shakespeare: avere la possibilità di essere su un palco e guardare negli occhi il pubblico di tutto il mondo è stato pazzesco». Parallelamente alle riprese di House of Cards, distribuita da Netflix a partire dal 2013, Spacey continuò a recitare in pellicole cinematografiche più o meno fortunate, quali Elvis & Nixon (2016), Una vita da gatto (2016) e Baby Driver – Il genio della fuga (2017). Nell’autunno 2017 aveva appena finito di interpretare il miliardario J. Paul Getty (1892-1976) in Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott, quando fu travolto dalla deflagrazione di uno scandalo: il 29 ottobre Anthony Rapp, attore e cantante di 46 anni specializzato in musical, accusò pubblicamente Spacey di aver tentato di sedurlo in stato di apparente ubriachezza nel 1986, quando il ragazzo aveva 14 anni (dunque non aveva ancora raggiunto l’età del consenso, negli Stati Uniti non inferiore ai 16 anni) e si era recato a casa dell’attore per partecipare a una festa, senza tuttavia che si consumasse alcun effettivo atto di violenza. Spacey replicò l’indomani su Twitter sostenendo di non ricordare quell’incontro con Rapp, ma pure che, «se davvero mi sono comportato come dice, gli devo le mie più sincere scuse per quello che sarebbe stato un comportamento da ubriaco profondamente inappropriato», e contestualmente ammettendo per la prima volta la propria omosessualità («nella mia vita ho avuto relazioni sia con uomini sia con donne, […] e adesso scelgo di vivere da uomo gay»). Nell’arco di qualche settimana, decine di ragazzi tra gli Stati Uniti e il Regno Unito denunciarono di aver subìto da parte dell’attore attenzioni e approcci più o meno espliciti (alcuni parlarono di veri e propri abusi), eccitando lo sdegno della pubblica opinione e il conseguente ostracismo nei confronti dell’attore, che – pur in assenza di rinvii a giudizio, tuttora inesistenti – fu prontamente estromesso dalla sesta stagione di House of Cards e da tutte le produzioni in cui sarebbe dovuto comparire, incluso il film Tutti i soldi del mondo, in cui il suo ruolo fu affidato a Christopher Plummer, che dovette girare nuovamente le scene in cui era presente Spacey, nel frattempo eliminate dalla pellicola. Dopo mesi di oblio, nel giugno 2018 è stata annunciata la partecipazione di Spacey a un nuovo film, Billionaire Boys Club di James Cox, la cui uscita nelle sale statunitensi è prevista per il 17 agosto 2018 • Indefesso animale da palcoscenico, dal 2003 al 2015 è stato direttore artistico dello storico teatro Old Vic di Londra, «impegno […] il cui aspetto più importante è la scoperta e guida di giovani talenti. […] Quando mio padre morì, Jack Lemmon diventò per me una figura paterna. Jack mi diceva spesso che, se hai avuto successo nella carriera che avevi sempre sognato, hai l’obbligo di scendere con l’ascensore fino al piano terra. Ovvero dedicarti a coltivare nuovi talenti, insegnare, promuovere i giovani, fare insomma quello che qualcuno nel passato aveva fatto per te. Questo "dare" reca più soddisfazione di qualsiasi altra tua affermazione professionale» (a Silvia Bizio). In virtù di tale impegno, nel giugno 2016 ricevette dal principe Carlo l’investitura di cavaliere comandante dell’Ordine dell’impero britannico • Molto attivo anche come produttore. «In qualità di produttore il mio lavoro è mettere insieme le persone giuste: scegliere il giusto regista, gli sceneggiatori, gli interpreti… Sono un “facilitatore”. Mi piace vedere tutto prendere forma: l’ho fatto per tanti anni all’Old Vic, e ora lo faccio per il cinema e la televisione» • Celibe e senza figli, prima dello scandalo è sempre stato estremamente riservato circa la sua vita privata. Il fratello maggiore Randall Fowler (eccentrico autista di limousine e imitatore di Rod Stewart, con cui da anni né Spacey né la sorella hanno più rapporti) ha invece più volte dichiarato alla stampa che il padre sarebbe stato un violento militante filonazista, e che avrebbe regolarmente perpetrato abusi fisici e sessuali nei confronti della moglie e dello stesso Randall (ma non di Kevin), giungendo a sostenere che l’attore, traumatizzato da un simile contesto familiare, non voglia avere figli per paura di trasmettere loro il «gene da predatore sessuale» • Fervente democratico, grande amico di Bill Clinton. Nel gennaio 2018 è stato però accusato di atteggiamenti razzisti nei confronti del personale afroamericano preposto alla sicurezza negli studi di House of Cards • «Io non giudico mai i personaggi che interpreto: non fa parte del mio lavoro. Io sono chiamato solo a raccontarli in quanto persone. Il Male, del resto, non è recitabile: tutto quello che si può fare, da attore, è riprodurre ciò che un singolo essere umano fa, pensa e dice. […] Il pubblico è attratto dai personaggi machiavellici, dagli antieroi con una personalità complessa. È così al cinema, ed è così anche in televisione, almeno da quando sono comparsi i Soprano». «Forse mi considerano troppo “serio”, e mi offrono poche commedie. Il mondo del cinema tende a chiudere gli attori in ruoli prefissati; invece a me, al contrario, piace spiazzare. Non mi piace eseguire sempre la stessa canzone, suonare sempre lo stesso disco. Mi piace sorprendermi ogni giorno, chiedermi ogni mattina: che cosa succederà?». «Le uniche parti che non voglio accettare sono quelle scritte male: io non mi censuro per nessun tipo di ruolo. […] Io posso solo interpretare le parti che mi vengono offerte, e sono aperto a qualsiasi cosa: ho paura solo della stupidità». «Trovo stupido che un attore dica "Oh, quanto è stato difficile questo ruolo!". Il nostro lavoro non è difficile: è fottutamente divertente. È una gioia unica guadagnarsi da vivere facendo finta di essere un altro. Io vado tutti i giorni al lavoro animato da grandissimo entusiasmo. Ricordo di aver recitato in un monologo in cui c’era un uomo che raccontava che da ragazzo il padre lo aveva mandato a lavorare in un campo di patate ed era faticosissimo perché faceva un caldo terribile. Poi, un giorno, il tizio aveva cambiato mestiere ed era stato impiegato in uno studio legale. Quando parlava del cambiamento, diceva: "Da quel momento non ho più lavorato un solo giorno in vita mia". Ecco, per me è lo stesso: non ho mai lavorato un giorno in vita mia».